lunedì 22 febbraio 2016

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


FENOMENOLOGIA FANTASMATICA

Storie di fantasmi per il dopocena, Jerome K. Jerome, Umberto Mischi
(trad. e adattamento di Irene Scarpati)
Biancoenero Edizioni 2016


NARRATIVA PER MEDI (dagli 8 anni)

"Era la vigilia di Natale.
E' sempre la Vigilia di Natale, nelle storie di fantasmi.
La Vigilia di Natale è la notte di gala dei fantasmi. E' la loro festa annuale.
Una volta l'anno, la Vigilia di Natale, i fantasmi escono per mostrarsi in pubblico: per vedere e farsi vedere.
Per mostrare il proprio lenzuolo da fantasma e per criticare il lenzuolo degli altri."

A Tooting, quella Vigilia di Natale, a casa dello zio John intorno a un tavolo sono riuniti sei uomini. Sei gentiluomini. La zia è appena andata a letto.
Dopo una cena ottima e dopo aver bevuto vari punch al whisky e uno al gin, dopo aver giocato a carte, i sei amici cominciano, a turno, a raccontare le loro storie di fantasmi come richiede la tradizione.
La Vigilia di Natale è la notte ideale per farlo: fuori fa freddo, c'è un gran fango sulle strade e tutti sono rintanati in casa tra amici e parenti. Tutti vivi. Cosa c'è di meglio che evocare tombe, cadaveri, assassini e sangue in una serata così festosa?


Sarà per questo che anche da parte dei fantasmi c'è questa predilezione per uscirsene proprio la sera del 24 dicembre. Anche se, talvolta, si fanno vivi -ops!- anche in altre ricorrenze particolari: la Vigilia di Ognissanti, l'anniversario di qualche impiccagione o, più semplicemente, in occasione della predizione di una qualche prossima sventura.
A seguito di una introduzione sulla fenomenologia dello spettro, i quattro racconti di fantasmi che si susseguono quella sera sono a dir poco emblematici. Apre la lacrimevole storia di Johnson un fantasma, amante fedele, partito per l'Australia in cerca di fortuna per aver modo di chiedere in moglie l'amata Emily. Al suo ritorno, dopo vent'anni, di lei non c'è più traccia; tuttavia un po' di estro, del buon marmo e uno scalpellino compiacente gli doneranno la pace. 

 
Pace interiore di cui gli spettri inquieti sono sempre in cerca.
Di inquietudine, di avarizia, di dabbenaggine si occupa la storia del cugino Joe che, in sole tre settimane, demolì pezzo dopo pezzo, la sua nuova bella casa per dar retta al fantasma secco e curvo del mugnaio che gli appariva ai piedi del letto ogni notte.
Degli altri fantasmi tacerò.


Ho cinquantasei anni e ho una certa contezza, maturata nel tempo, di cosa distingua dal resto del mondo gli abitanti della grande isola del Mare del Nord, e che riassumerei in un unico fatale aggettivo: BRITISH.
Già la sua traduzione in italiano, britannico, lo svilisce di un po'.
E, affermandolo, sono certa di non impantanarmi in alcun luogo comune.
Sotto l'etichetta british si cela una comunità fatta di uomini e di donne dal polso di ferro, orgogliosi conquistatori e consapevoli 'dominatori del mondo' per un bel po' di tempo, finissimi letterati, guidatori prudenti sull'altra corsia, estimatori entusiasti di porridge e pudding, distaccati osservatori delle altrui passioni.
Ma soprattutto, uomini e donne che dell'ironia tagliente hanno bisogno come dell'aria, per sopravvivere. Umorismo che gela e che 'tutti gli altri' - i non britannici - definiscono, come per difendersene, humor inglese.
Jerome Klapka Jerome è uno dei più distinti utilizzatori di sense of humor che la letteratura ci abbia regalato.
E, come se non bastasse, è un fine letterato.
Se il sanguigno mediterraneo da un lato si sente gelare di fronte alle raffinate freddure di un inglese, dall'altro ne irrimediabilmente attratto.
Io sono fra questi. Per tale motivo, con un lieve tremore ai polsi, anni fa proposi ai ragazzi con cui lavoravo sul tema del viaggio Tre uomini in barca. Temevo che me lo avrebbero tirato dietro: la storia di tre amici e di un cane chiusi in un microcosmo asfittico, una barchetta che naviga lentamente lungo il Tamigi. Temevo che gli interminabili battibecchi tra J., George, Harris, sotto gli occhi pazienti di Montmerency, costruiti su inezie, sfiancassero la pazienza di lettori alle prime armi. Temevo che il linguaggio affettato, espressione del noto autocontrollo inglese, fosse lontano anni luce dall'eloquio pimpante di ragazzini e ragazzine del Duemila.
Mi sbagliavo, oh quanto mi sbagliavo. Hanno letto e, nel leggere, hanno riso a crepapelle. E allora gioisco nel pensare che Biancoenero regali, ovvero ripubblichi (la prima edizione del 2010), un altro piccolo gioiello 'so british' e che lo faccia, per di più secondo i criteri dell'alta leggibilità, attraverso un curato adattamento di Irene Scarpati.
Contravvenendo alla tradizione delle storie di fantasmi da raccontare soprattutto nella Christmas Eve, ne consiglio la lettura tutte le sere dell'anno!

Carla


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