A CACCIA DELL'ORSO
Mio padre è un
orso polare, Michael Morpurgo, Felicita Sala
(trad. Alessandra
Valtieri)
Lapis 2016
NARRATIVA PER MEDI
(dagli 8 anni)
"Terry mi
ignorò e andò dritto a pagina ventisette. 'La regina delle nevi'
lesse a voce alta, 'un adattamento - o qualcosa del genere - del
famoso racconto di Hans Andersen, messo in scena dalla Young Vic
Company'. C'era una grande fotografia in bianco e nero che prendeva
mezza pagina - una foto di due orsi polari dall'aspetto feroce, con
la bocca spalancata e i denti scoperti, pronti ad avventarsi su due
bambini, un maschio e una femmina, che avevano un'aria terrorizzata."
Terry,
il fratello maggiore del bambino di cinque anni che sta raccontando
la storia, con la torcia sotto le coperte indica l'orso a sinistra in
quella foto di giornale e dice secco: 'quello è nostro padre. Il
nostro vero padre. Il suo nome è Peter Van Diemen, ma tutto questo
deve rimanere un segreto.'
Tutti
in quella famiglia conoscono la verità, soprattutto i grandi, è
ovvio, ma la madre di Terry e Andrew e il suo secondo marito, Douglas,
non amano parlarne.
Al
contrario, i due ragazzini, sono inevitabilmente attratti dal mistero
fatto di silenzi e omissioni degli adulti e quindi non mollano la
presa.
Le
cose, racconta il piccolo Andrew come le ha sapute ben oltre i suoi
cinque anni, sono andate più o meno così: Peter Van Diemen era
soldato a Baghdad quando qualcosa accadde nel cuore della loro
madre: si innamorò di un altro uomo, e quando Peter tornò dalla
guerra provò a riconquistare il suo amore, ma senza successo. Molto
educatamente i due si dissero addio e Douglas diventò di lì a poco
il nuovo padre - a detta della madre, l'unico padre di Terry e
Andrew. Il cognome Van Diemen però rimase a testimoniare questa
paternità 'originaria'.
Nel
frattempo, nella scatola da scarpe che contiene i tesori di questi
due fratelli, è arrivata quella rivista di teatro in cui Peter Van
Diemen fa bella mostra di sé in abiti da orso.
Da
lì, con un pizzico di buona sorte, il passo è breve per arrivare a
lui.
Grazie
alla sua determinazione, Terry riesce ad arrivare nel camerino,
sfuggendo per qualche minuto alla sorveglianza della zia che, ignara
di tutto, li ha condotti in quel teatro. Al piccolo Andrew rimane la
magra consolazione di leggere le due righe scritte dall'orso polare
sul programma di scena.
La
fortuna è strana, però, cova sotto la cenere, e quando meno te lo
aspetti ti si ripresenta davanti. Questa volta sotto forma di
programma televisivo natalizio, va in onda Grandi speranze
di Dickens e l'evaso Magwitch è di nuovo il babbo orso polare.
È
vero: anche un papà che non c'è, può, in qualche modo esserci. E
se Andrew, a cinque anni, aveva mancato la sua occasione con La
regina delle nevi, venticinque
anni dopo non mancò quella con Falstaff.
"This story is
a tissue of truth - mostly. As with many of my stories, I have woven
truths together and made from them a truth stranger than fiction. My
father was a polar bear - honestly."
Così
apre la prima versione di questo racconto di Michael Morpurgo,
nell'edizione originale (Of Lions and unicorns, Harper and
Collins, 2013). E, come spesso accade, nelle prime tre righe di un
racconto ben fatto, ci si può nascondere la chiave di tutto ciò che
segue.
Personalmente
non credo che la finzione sia sempre più debole del racconto della
realtà, ma so per esperienza che la forza della realtà, fosse anche
costituita di solo un piccolo dettaglio, può rappresentare solide
fondamenta per un racconto di finzione di più di cinquecento pagine.
Ed
è questo che accade anche qui, anche se le pagine sono solo una sessantina.
La
potenza e la bellezza di Mio padre è un orso polare sta
proprio in quell'intento di tenere assieme tanti fili di verità,
intrecciandoli per farli diventare una verità che per bizzarria
supera qualsiasi finzione.
Gioca
Morpurgo con la doppia identità del suo padre naturale, così come
fa anche Felicita Sala, tra la figura e la sua ombra. E questo crea
una intrinseca ironia che dal titolo in poi 'sdrammatizza' sulla
serietà del tema, ovvero quello di non aver mai conosciuto il
proprio padre e, più in generale, di dover fare i conti con il
proprio passato.
Nessuno
può, o deve, sapere quali siano i fili di verità di questa storia,
ma sono sotto gli occhi tutti i punti in cui il racconto tocca
vertici di tensione emotiva che lo rendono una storia struggente e, a
mio parere, di grande autenticità.
Provo
ad elencare i miei che, però, non è detto corrispondano a quelli di
altri lettori o lettrici.
Il
primo: la relazione forte di complicità, ma anche di subalternità,
attraverso gli anni, tra fratelli. Un'intesa così robusta che non è
in grado di essere scalfita da altri affetti importanti, come per
esempio quello nei confronti della propria madre.
Il
secondo: la mitizzazione di un personaggio cruciale nella vita di
ogni essere umano, che lo si voglia a o meno: il proprio padre. Il
racconto dal tono epico di quel bambino a teatro di fronte all'orso polare
interpretato da Peter Van Diemen ne è testimonianza, come pure lo
sono le poche frasi finali di quel medesimo bambino ora diventato uomo, ugualmente
piene di tenerezza.
Il
terzo: l'ammissione della propria impotenza di fronte a un evento di
grande importanza, ovvero l'incontro tanto sognato con il proprio
genitore. E l'amarezza che accompagna anche a distanza di anni, nel
ricordo di una occasione perduta.
Il
quarto: la constatazione, ancora una volta, della distanza che
intercorre (e io correggerei che deve intercorrere) tra il mondo dei
grandi e il mondo dell'infanzia. La diversa lettura della realtà che
hanno i due fratelli rispetto a quella degli adulti fa scuola.
Con
questi fili di verità si intreccia il disegno di Felicita Sala.
Attente e sensibili alla forte carica emotiva di questo racconto, le
sue matite sanno cogliere appieno il tono della narrazione, ne
rispettano il tono 'familiare' quasi di confessione tra amici.
Illuminano
gli stati d'animo di quei due ragazzini in cerca di padre, sanciscono
le direzioni diverse che hanno preso le vite di mamma e papà,
attestano la distanza, il silenzio, tra i figli e la madre. Ma soprattutto costruiscono i due incontri nel camerino di un teatro con un assoluto rispetto della grande emozione che è palpabile nelle spalle dei protagonisti, nel gioco di sguardi diretti, senza dimenticare la testa dell'orso appoggiata, oppure nei due visi che si incontrano attraverso lo specchio.
Brava,
davvero brava. E bravo anche chi l'ha voluta per dare forma al
racconto di Morpurgo.
Carla
Noterella al margine. Prendetevi 25 minuti di tempo e ascoltate la lettura del racconto dalla voce di Michael Morpurgo in persona e converrete che sia una storia che ad alta voce acquista all'istante quel tono colloquiale e nello stesso tempo meraviglioso e quasi epico che è proprio del tempo dell'infanzia.
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