venerdì 6 gennaio 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


A CACCIA DELL'ORSO
Mio padre è un orso polare, Michael Morpurgo, Felicita Sala
(trad. Alessandra Valtieri)
Lapis 2016


NARRATIVA PER MEDI (dagli 8 anni)

"Terry mi ignorò e andò dritto a pagina ventisette. 'La regina delle nevi' lesse a voce alta, 'un adattamento - o qualcosa del genere - del famoso racconto di Hans Andersen, messo in scena dalla Young Vic Company'. C'era una grande fotografia in bianco e nero che prendeva mezza pagina - una foto di due orsi polari dall'aspetto feroce, con la bocca spalancata e i denti scoperti, pronti ad avventarsi su due bambini, un maschio e una femmina, che avevano un'aria terrorizzata."

Terry, il fratello maggiore del bambino di cinque anni che sta raccontando la storia, con la torcia sotto le coperte indica l'orso a sinistra in quella foto di giornale e dice secco: 'quello è nostro padre. Il nostro vero padre. Il suo nome è Peter Van Diemen, ma tutto questo deve rimanere un segreto.'
Tutti in quella famiglia conoscono la verità, soprattutto i grandi, è ovvio, ma la madre di Terry e Andrew e il suo secondo marito, Douglas, non amano parlarne.
Al contrario, i due ragazzini, sono inevitabilmente attratti dal mistero fatto di silenzi e omissioni degli adulti e quindi non mollano la presa.
Le cose, racconta il piccolo Andrew come le ha sapute ben oltre i suoi cinque anni, sono andate più o meno così: Peter Van Diemen era soldato a Baghdad quando qualcosa accadde nel cuore della loro madre: si innamorò di un altro uomo, e quando Peter tornò dalla guerra provò a riconquistare il suo amore, ma senza successo. Molto educatamente i due si dissero addio e Douglas diventò di lì a poco il nuovo padre - a detta della madre, l'unico padre di Terry e Andrew. Il cognome Van Diemen però rimase a testimoniare questa paternità 'originaria'.
Nel frattempo, nella scatola da scarpe che contiene i tesori di questi due fratelli, è arrivata quella rivista di teatro in cui Peter Van Diemen fa bella mostra di sé in abiti da orso.
Da lì, con un pizzico di buona sorte, il passo è breve per arrivare a lui.
Grazie alla sua determinazione, Terry riesce ad arrivare nel camerino, sfuggendo per qualche minuto alla sorveglianza della zia che, ignara di tutto, li ha condotti in quel teatro. Al piccolo Andrew rimane la magra consolazione di leggere le due righe scritte dall'orso polare sul programma di scena.
La fortuna è strana, però, cova sotto la cenere, e quando meno te lo aspetti ti si ripresenta davanti. Questa volta sotto forma di programma televisivo natalizio, va in onda Grandi speranze di Dickens e l'evaso Magwitch è di nuovo il babbo orso polare.
È vero: anche un papà che non c'è, può, in qualche modo esserci. E se Andrew, a cinque anni, aveva mancato la sua occasione con La regina delle nevi, venticinque anni dopo non mancò quella con Falstaff.

"This story is a tissue of truth - mostly. As with many of my stories, I have woven truths together and made from them a truth stranger than fiction. My father was a polar bear - honestly."
Così apre la prima versione di questo racconto di Michael Morpurgo, nell'edizione originale (Of Lions and unicorns, Harper and Collins, 2013). E, come spesso accade, nelle prime tre righe di un racconto ben fatto, ci si può nascondere la chiave di tutto ciò che segue.
Personalmente non credo che la finzione sia sempre più debole del racconto della realtà, ma so per esperienza che la forza della realtà, fosse anche costituita di solo un piccolo dettaglio, può rappresentare solide fondamenta per un racconto di finzione di più di cinquecento pagine.
Ed è questo che accade anche qui, anche se le pagine sono solo una sessantina.
La potenza e la bellezza di Mio padre è un orso polare sta proprio in quell'intento di tenere assieme tanti fili di verità, intrecciandoli per farli diventare una verità che per bizzarria supera qualsiasi finzione.


Gioca Morpurgo con la doppia identità del suo padre naturale, così come fa anche Felicita Sala, tra la figura e la sua ombra. E questo crea una intrinseca ironia che dal titolo in poi 'sdrammatizza' sulla serietà del tema, ovvero quello di non aver mai conosciuto il proprio padre e, più in generale, di dover fare i conti con il proprio passato.
Nessuno può, o deve, sapere quali siano i fili di verità di questa storia, ma sono sotto gli occhi tutti i punti in cui il racconto tocca vertici di tensione emotiva che lo rendono una storia struggente e, a mio parere, di grande autenticità.
Provo ad elencare i miei che, però, non è detto corrispondano a quelli di altri lettori o lettrici.
Il primo: la relazione forte di complicità, ma anche di subalternità, attraverso gli anni, tra fratelli. Un'intesa così robusta che non è in grado di essere scalfita da altri affetti importanti, come per esempio quello nei confronti della propria madre.


Il secondo: la mitizzazione di un personaggio cruciale nella vita di ogni essere umano, che lo si voglia a o meno: il proprio padre. Il racconto dal tono epico di quel bambino a teatro di fronte all'orso polare interpretato da Peter Van Diemen ne è testimonianza, come pure lo sono le poche frasi finali di quel medesimo bambino ora diventato uomo, ugualmente piene di tenerezza.


Il terzo: l'ammissione della propria impotenza di fronte a un evento di grande importanza, ovvero l'incontro tanto sognato con il proprio genitore. E l'amarezza che accompagna anche a distanza di anni, nel ricordo di una occasione perduta.
Il quarto: la constatazione, ancora una volta, della distanza che intercorre (e io correggerei che deve intercorrere) tra il mondo dei grandi e il mondo dell'infanzia. La diversa lettura della realtà che hanno i due fratelli rispetto a quella degli adulti fa scuola.


Con questi fili di verità si intreccia il disegno di Felicita Sala. Attente e sensibili alla forte carica emotiva di questo racconto, le sue matite sanno cogliere appieno il tono della narrazione, ne rispettano il tono 'familiare' quasi di confessione tra amici.
Illuminano gli stati d'animo di quei due ragazzini in cerca di padre, sanciscono le direzioni diverse che hanno preso le vite di mamma e papà, 


attestano la distanza, il silenzio, tra i figli e la madre. Ma soprattutto costruiscono i due incontri nel camerino di un teatro con un assoluto rispetto della grande emozione che è palpabile nelle spalle dei protagonisti, nel gioco di sguardi diretti, senza dimenticare la testa dell'orso appoggiata, oppure nei due visi che si incontrano attraverso lo specchio. 
 


Brava, davvero brava. E bravo anche chi l'ha voluta per dare forma al racconto di Morpurgo.

Carla

Noterella al margine. Prendetevi 25 minuti di tempo e ascoltate la lettura del racconto dalla voce di Michael Morpurgo in persona e converrete che sia una storia che ad alta voce acquista all'istante quel tono colloquiale e nello stesso tempo meraviglioso e quasi epico che è proprio del tempo dell'infanzia.





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