Cara,
carissima Formica,
Sai, hai
ragione: guardare la terra è troppo doloroso. Dove c’era il mio
amico stanno spuntando i primi fili d’erba. Tutto intorno a me
brulica e si muove. E’ primavera. Ormai Tasso sta diventando un
ricordo. Forse, dopotutto, i morti non vanno da nessuna parte. E’
strano da pensare. Stanno nella terra –fermi, finiti- e dentro di
noi – vitali ed infiniti - ma non esistono più. Siamo noi, i vivi,
che ci muoviamo. È nostro il viaggio. Proprio come i protagonisti
dell’ultimo libro di cui mi sento di parlarti prima di alzarmi da
qui a cercar qualcosa da mettere sotto i denti.
Lo hanno
scritto ed illustrato due italiane, Beatrice Masini e Arianna Papini.
Si intitola Si può1,
e racconta di Quello Grande, Bambino Medio e Bambina Piccola che
partono lasciandosi alle spalle una casa distrutta. Camminano e
camminano. Camminano davvero tanto. Anche loro come il bambino ed il
papà del libro che mi hai raccontato si aggrappano alle cose più
piccole del quotidiano per andare avanti: pensano al sonno, alle cose
strettamente necessarie, a trovare la strada.È un inizio davvero
straordinario, perché parla a tutti, trasformando il lutto in una
metafora del cambiamento.
Vedi, lo
spirito mediterraneo? Nemmeno una parola per nominare la morte. Anche
le immagini la evocano solo attraverso l’assenza di colore e sono
in generale allusive e mute, forse perché non ci sono immagini per
rappresentare un futuro che ancora non c’è.
Camminano e camminano, Quello Grande, Bambino Medio e Bambina
Piccola. Sono assieme, ma non si parlano. Hanno delle valigie, ma non
le aprono. Ci si siedono sopra piuttosto, e ognuno di loro si tiene
stretto il segreto del loro contenuto. Sono assieme ma sono anche
molto soli. Finché un bel giorno decidono di fermarsi nei pressi di
un buco. Il vuoto su cui si affacciano è estremamente pericoloso,
così decidono di riempirlo. E siccome lì attorno non c’è niente,
aprono le loro valige. E sai cosa tirano fuori? I ricordi, amica mia.
Quello che avevano, quello che non hanno più. Gettano tutto dentro
al buco, anche il libro delle storie che tanto sanno a memoria, anche
la chiave della casa distrutta. Con molta fatica il buco si riempie.
Sassi e conchiglie, giocattoli vecchi e foglietti. Tutto il passato
finisce lì dentro, finché non rimane che una bella superficie
piatta. Ora è possibile costruire una casa e ricominciare a vivere.
Costruire una
casa su un buco…
Sembra
incredibile, vero Formica? Eppure si può. Si può. Non solo guardare
per terra, non solo scrutare il cielo, ma anche partire e
ricominciare.
Loro lo hanno
fatto, ora vedo di farlo anche io!
Scrivimi
presto!
Scoiattolo
P.S. Sai,
avevo letto un libro in cui anche la Morte ricominciava a sorridere
dopo aver perso la sua piccola ed unica amica…2
Ah, caro
Scoiattolo,
siam qui che
continuiamo a inanellare metafore, come fossero perle, nella nostra
collana di pensieri. Quest'ultimo libro di cui mi parli per tutta la
lettera mi sembra che più di altri suggerisca una possibile risposta
alla questione. Fin dal titolo: si può. Mi sbaglio?
Io, d'istinto,
preferisco trovarle da me le risposte e mi piace anche poco dare
consigli in giro...
E men che meno
li vorrei leggere in un libro.
Ma, ciò
nonostante di Si può, accetto la costruzione - è proprio il
caso di dirlo - metaforica. A me piacciono tanto le metafore, mi sono
congeniali per comunicare con gli altri (se piccoli, ancora meglio):
li offro in giro perché sono succosi e irresistibili piccoli frutti
da raccogliere sulla pianta dell'immaginazione.
Ops, vedi, ci
sono caduta di nuovo.
Tra i libri di
cui ti ho parlato, alcuni sono treni che attraversano diretti la
questione che ci interessa, ma più d'uno invece è stato costruito
su una metafora: penso al libro di Ringtveg, con il matrimonio tra
Sconforto e Dolore e Gioia e Letizia oppure a quello di Jeffers, con
il cuore stretto in una bottiglia.
Però, vedi,
qui in The heart in the bottle3,
è così tanto potente la metafora che quasi puoi dimenticare per un
momento la ragione che ha spinto quella bambina a chiudere il proprio
cuore in bottiglia, ovvero il suo bisogno di metterlo al sicuro dal
dolore. Quando ormai grande, un giorno, girando sulla spiaggia dove
andava da piccola, incontra una bambina che, come lei, fa domande,
succede qualcosa. In quell'istante a lei si riannoda nella testa il
ricordo della propria infanzia felice e appagante con il nonno. Per
questo vorrebbe non doversi limitare a dare risposte a quella
bimbetta, ma volerle anche un po' di bene, essere affettuosa attenta
e premurosa, come allora lo fu suo nonno con lei.
Serve il
cuore, per farlo. Ma il suo è imprigionato al collo in un vetro che
sembra non cedere. Jeffers gioca, gioca sereno con questa situazione
d'impasse.
Non percepisce
nessun peso sulle spalle, che gli impedisca di far partire una
risata, in chi legge. Scuotere la bottiglia, prendere delle tenaglie
per estrarlo, un martello per romperla, una sega o un trapano, un
candelotto di dinamite (ah, i meravigliosi crescendo di
Jeffers. Tu che sei scoiattolo musicista sai a cosa alludo, vero?)...
Niente da
fare: il cuore è sempre lì in bottiglia. Non serve neanche salire
su un altissimo muro e buttar la bottiglia così dall'alto, a meno
che essa non rotoli fino in spiaggia, ai piedi di quella bimbetta
curiosa che, molto seplicemente, lo estrae con il suo ditino felice.
Si stappa un
mondo, ovviamente.
E a coloro che
sono in cerca di risposte pacificatorie, lieti fini, o morali di
facile apprendimento e scontate, Jeffers nega la soddisfazione di
vedere - davanti alla donna, seduta finalmente sulla poltrona del
nonno, lmentre legge curiosa miliardi di nuove storie - la bambina in
rapito ascolto.
Lei non c'è.
Non c'è ora? È appena andata via? Forse arriverà, o forse no.
Semplicemente no.
Ecco,
Scoiattolo mio bello, questo è ciò che vado cercando nei libri. Gli
e forse, i ma chissà...
La metafora
che però mi ha fulminato per tutto questo tempo di lettere con te è
nel libro più solare che abbia mai letto su un tema così ctonio.
Ti ricordi il
cane e il topo ad arrovellarsi sulla panchina per trovare un posto
alla coniglia appiattita? 4
Ecco, loro,
dopo tanto pensare, tanto guardarsi attorno, hanno finalmente la
soluzione per lei. Costruiscono una croce, o meglio un telaio a
croce, per un grande aquilone grigio. Con delicatezza, la prendono e
con chiodi e martello (!), forbici e nastro adesivo le fissano mani e
piedi, orecchie, naso e fianchi alla croce. Impiegano un bel po' a
farla decollare, dopo 42 tentativi il cane finalmente riesce e la
coniglia comincia a salire, salire e salire. 'Pensi che si stia
divertendo lassù?' chiede l'uno all'altro, provando a immaginare
come possa apparire il mondo da lassù.
La risposta,
caro Scoiattolo, il poeta direbbe che è nel vento, ma quel cane che
poeta non è (sic?) dice più umanamente 'non so...non so'. Poi,
passa il filo al topo, 'vuoi provare?' e il topo fa... la cosa
giusta.
E io sono con
loro.
Abbimi cara
Formica
[fine]
1B.
Masini, A. Papini, Si può, Carthusia 2014
2K.
Crowther, La visite de Petit Mort, L'ecole des Loisirs 2005
3O.
Jeffers, The Heart and the Bottle, HarperCollins 2010
4B.
Oskarsson, The Flat Rabbit, Owlkids Books 2014
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