IL MESTIERE DELL'ARTE
Il bambino tutto
solo, Roland Topor
Vanvere Edizioni 2019
ILLUSTRATI PER MEDI
(dai 6 anni)
"C'era una
volta un bambino che viveva tutto solo... nel cavo di un albero in
mezzo alla foresta.
Non aveva né padre
né madre.
Non parlava mai e
non aveva nemmeno un nome, perché non c'era nessuno a chiamarlo."
Ogni
sera arrivava un uccello con un paniere di cibo nel becco.
Tra una
visita a l'altra però lui si annoiava. Tutto cambia un giorno quando
il bambino trova per terra una piuma di quell'uccello e se la metta
come avrebbe fatto un indiano.
La
grande novità è che ora intorno a quell'albero sono in due: il
bambino e l'indiano. Dividono e spartiscono tutto: insieme giocano,
si azzuffano e soprattutto si contendono la giovane principessa che
l'uccello un giorno qualsiasi ha scaricato dal paniere. Per avere il
suo amore il bambino e l'indiano farebbero di tutto. E quando lei,
malinconica, sogna di tornarsene al suo castello, entrambi le
promettono di ricondurla dal padre. Litigano forte tra loro per la
supremazia e nella zuffa la piuma va persa. Senza di lei, non c'è
più neanche l'indiano e tutto ritorna come era un tempo: silenzio e
solitudine e albero cavo. Finché un giorno un taglialegna passa di
lì, e lo prende con sé.
E
di nuovo tutto cambia.
Ecco.
La chiave forse che rende un libro migliore di un altro sta proprio
in questo cambiamento che porta in sé: un movimento, talvolta una
giravolta, che sposta i connotati della questione e necessariamente
costringe l'osservatore a impostare un nuovo, e inedito, punto di
osservazione.
Direi
che questo è il mestiere dell'arte.
Topor
di cose ne ha spostate un bel po'.
Copertina di Graphis N° 151 1970 |
Basta scorrere rapidamente i suoi
disegni per rendersi conto del suo originale modo di leggere il
mondo. Lui stesso ha più volte dichiarato insopportabile la realtà
e ha suggerito il gioco come unico rimedio praticabile per resistere
al suo peso:
"La realtà in
sé è orribile, mi dà l’asma. La realtà è insopportabile senza
gioco, il gioco consente una immagine della realtà. Io non posso
perdere il contatto con la realtà, ma per sopportarla ho bisogno di
questo gioco astratto che mi permette di trovare quello che può
essere ancora umano.”
Prisoners of Conscience 1977 |
Da
qui, viene naturale creare un legame con il Surrealismo, in cui Topor
ad evidenza radica. E se si chiama in causa il Surrealismo non è
possibile non chiudere il cerchio chiamando altrettanto in causa
l'infanzia e la lettura istintivamente 'surrealista' che della realtà
fanno i bambini, e per l'appunto attraverso il gioco.
Se
ne deduce che Topor, se messo in mano a ragazzini e ragazzine, si
rivela molto adatto a loro. Semplicemente perché linguaggio e
visione sono condivisi.
Il
lato perturbante, qui lievemente sadico, di Topor, che tanto me lo fa
amare e avvicinare a Gorey, se offerto a dei giovani lettori potrebbe
potenziare l'affinità di cui sopra, sempre che superi il vaglio
'moraleggiante, perbenista, politicamente corretto e protettivo'
degli adulti.
Facciamo
finta che (!) l'adulto non si curi del fatto che questo bambino sia
solo, non si preoccupi del suo sdoppiamento, non si allarmi del fatto
che nel libro si succedono diverse scazzottate, e non si turbi se
l'oggetto del
contendere è una 'femmina', per di più principessa. E speriamo
anche che l'adulto in questione conosca almeno un po' l'arte di Topor
e la riconosca come tale. Ecco, date tutte queste condizioni, il
libro potrebbe arrivare serenamente nella mani di un bambino o di una
bambina.
Cosa
piacerebbe a loro?
In
ordine:
1)
La sconfinata solitudine in cui agisce il protagonista. Un vero
alieno che ha preso casa in un albero.
2)
La semplicità del vivere. Occorre un tronco cavo, un corvo puntuale
e generoso. Una banana ogni tanto. Degli abiti. E una buona dose di
immaginazione.
3)
La fiaba (c'era una volta) e l'oggetto magico. La piuma che accende l'immaginario temporaneamente
sopito, e la principessa, immancabile simbolo per eccellenza.
4) La sostanziale autonomia di pensiero delle principesse.
5)
Il gioco, di ruolo. Il facciamo finta che
che diventa immediatamente realtà. Lo so che è un gioco, ma ci
credo.
6)
L'onnipotenza, ovvero essere senza sforzo contemporaneamente molte
persone diverse.
7)
La sfida. Combattere e guerreggiare per vincere. Non per partecipare.
8)
La seconda possibilità. I bambini, se lasciati fare, sono maestri
delle sconfitte e, nella continua ricerca di un percorso che si
riveli per loro vincente, apprezzano molto le seconde possibilità
che vengono loro offerte per ritentare.
9)
Una mano sulla testa. Qualcuno che, nel momento estremo, arrivi a
salvarli, riconoscendo l'urgenza del caso.
10)
C'è un tempo per ogni cosa. Avere ben chiaro nella testa che c'è il
tempo per l'amicizia, per la lotta e poi anche quello per l'amore.
11)
L'economia, ovvero il percorso più dritto per arrivare al dunque.
Anche a costo di sacrificare un po' di realismo sull'altare
dell'assurdo.
12)
Il nitore. Di testo e figura. La loro 'luminosa chiarezza'. Nulla
abbonda (meno di 400 parole, una pagina bianca ogni due), tutto quello che si vede è
semplicemente necessario.
13)
Il lieto fine...è pur sempre una fiaba, o no?
Più di una
dozzina di ragioni per farlo arrivare nelle mani giuste.
Carla
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