DI ANATROCCOLI BELLI (II)
Brutto Anatroccolo,
Daniela Pareschi
(testo di Biagio Russo,
liberamente ispirato alla fiaba di H. Ch. Andersen)
Lavieri 2019
ILLUSTRATI PER MEDI
(dai 6 anni)
"Che bella
l'estate in campagna! Le spighe altissime avevano il colore dell'oro,
l'avena era di un verde intenso e nei prati si ergevano cumuli di
fieno, intorno ai quali passeggiava un'elegante cicogna, originaria
del Nilo. Oltre i campi le fitte chiome dei boschi nascondevano
laghetti che sfumavano nell'azzurro e l'indaco. Una natura maestosa.
Sotto il sole, in prossimità di un vecchio rudere circondato da un
fossato, crescevano grandi piante di farfaraccio, così alte da
nascondere un bambino. E proprio in quel luogo così selvaggio,
un'anatra aveva costruito il suo nido. La cova era iniziata da tempo
e avvertiva un po' di stanchezza."
Ancora
una volta la fiaba del Brutto Anatroccolo. Ancora una volta un adattamento di buona qualità: sebbene io abbia gioito per il ritorno della cicogna, continuo a rammaricarmi che non biascichi più egiziano... E a questo punto,
due casi su due, temo di intuire il perché. Ma meglio non divagare.
Se
si legge il ragionamento fatto per l'anatroccolo precedente, si può
proseguire la riflessione e constatare ancora una volta che la
materia fiabesca è terreno fertile per l'invenzione e
l'interpretazione.
L'anatroccolo
di Daniela Pareschi prende una strada precisa sin dal principio,
perdendo l'articolo determinativo originale. Senza quel Il
che lo circoscrive a quella fiaba, ci spiega con un pizzico di
pedanteria Biagio Russo, che nei panni di brutti anatroccoli ci si
può trovare senza necessariamente essere nati da una covata di
anatre danesi.
È
storia nota che Andersen l'ha scritta pensando a sé stesso, ma è
altrettanto storia nota il fatto che le fiabe hanno la missione di
raccontare l'umanità. Con l'articolo o senza, è storia nota che
quell'anatroccolo è il simbolo di tutti coloro che cercano un posto
nel mondo, verso l'affermazione di una propria identità, come
testimoniano i dialoghi con gallina e gatto, un proprio affrancamento
dal giudizio della società, che Andersen restituisce nel cicaleccio
nell'aia di quella fattoria.
Le
fiabe, che al contrario della favola fortunatamente ci dispensano
dalla morale scritta in coda, questo fanno. Da sempre.
Se
si torna all'argomento iniziale, ovvero all'invenzione e
all'interpretazione, si nota come Daniela Pareschi organizzi la
narrazione con un taglio originale, sostanzialmente dividendola in
tre capitoli, con titoli emblematici sotto il profilo
interpretativo: Io, Chi, Sono. Non credo sia necessario spiegare il
perché. Ma piuttosto complimentarci con lei per la capacità di
sintesi nell'arrivare al nocciolo della questione che sta alla base
di questa fiaba. Dal punto di vista iconografico, si assiste
all'evoluzione della schiusa di un uovo: prima tondo, poi fratturato,
quindi rotto e vuoto. Anche qui sta alla sensibilità del lettore
creare i giusti nessi. E secondo questa chiave interpretativa,
Daniela Pareschi gioca tanto di invenzione che diventa
interpretazione: si nota subito il lavoro che fa sull'oggetto uovo,
ovvero sul guscio, che non abbandona mai l'anatroccolo, ma piuttosto
rimpicciolendosi e diventando un elmetto, ne segna la crescita e
quindi anche la determinazione alla resistenza.
L'oggetto uovo è
formalmente simbolo di perfezione e di mistero, ma anche di crescita
ed evoluzione e Daniela Pareschi nell'illustrazione esplora in tutte
queste direzioni.
E ancora. Costruisce e regala ai lettori, attraverso alcuni dettagli della figura (per esempio quella del cigno che si specchia) un percorso interpretativo che non è banale, ma anzi ha il merito di accendere la riflessione che nasce dall'osservazione di una evidente anomalia.
Ulteriormente,
offre personali chiavi interpretative, decidendo di allontanare i pochi
personaggi raccontati da Andersen che rimangono ovviamente nel testo,
ma non nei disegni.
Si prende la libertà di costruire un libro di
altri tempi con l'incorniciatura della pagina, di inserire piccoli
intermezzi 'giocosi', vere e proprie digressioni, riguardo alle
tipologie dell'uovo e della sua cottura, degli stili di tuffo e
nuoto, riguardo all'immaginazione degli animali dell'aia, riguardo al
risultato finale di guazzabuglio tra burro farina e latte che ha per
esito un ciambellone con l'anatroccolo imprigionato. Gioca con i
simboli, gioca con il suo immaginario, gioca con ironia, ma
soprattutto disegna e colora così bene, che è sempre una gioia
avere un suo libro in mano.
Carla
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