mercoledì 4 dicembre 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


DELLA SOGNANZA

La bambina di ghiaccio e altre fiabe,
Mila Pavićević, Daniela Iride Murgia (trad. Elisa Copetti)
Camelozampa, 2019



NARRATIVA PER MEDI (dai 7 anni)

"Un tempo, quando la gente credeva ancora alle fiabe ed elfi e fate percorrevano la terra, si narrava la storia di una maschera di legno. La leggenda viveva assai comodamente nelle chiacchiere di nani, maghe e draghi, perché era molto semplice. Infatti diceva così..."

Un re possedeva una maschera di legno, a dire il vero piuttosto brutta, che tuttavia lo rendeva ogni giorno più ricco. Come spesso accade, la ricchezza si sposa molto volentieri con l'avidità e così quel re, oltre essere diventato disgustosamente ricco, era anche diventato a tal punto avido che la sorellanza delle fate decise di punirlo, sottraendogli ricchezze e maschera. Quest'ultima, viste le sue doti, fu cercata da tutti ma a trovarla fu uno che dei suoi poteri magici nulla sapeva: il principe Giorno la vide che galleggiava lungo un fiume verde. Il giovane principe, incuriosito dalla forma di quell'oggetto, lo prese e lo conservò nel suo castello. Quando suo padre si ammalò gravemente, il principe in sogno seppe che proprio quella testa di legno era l'unico rimedio utile per guarirlo. Niente di più facile, andarla a prendere nella sua stanza, a patto che il fato non abbia deciso una sorte diversa per quella brutta testa di legno.

Questa è una delle tredici fiabe, forse la più 'fiaba' di tutte, che compongono questo piccolo libro Camelozampa che dimostra fin da subito di contenere più di una manciata di elementi inconsueti.
E dove c'è rarità e particolarità è buona norma dimostrarsi interessati.


Tra i molteplici elementi di originalità due spiccano più degli altri e, a ben vedere, sono anche in buona armonia e dialogo fra loro: sembrerebbe che la lingua parlata e quella disegnata condividano lo stesso timbro di voce.
Esso si caratterizza per un'ampiezza 'vocale' che al suo interno è in grado, è capace, di contenere l'antico e il contemporaneo senza alcuna contraddizione, senza alcuna stonatura. 
Sempre con più di una sfumatura di ironia.


Mila Pavićević è poco più che trentenne e questo ha un'eco forte nella costruzione delle sue fiabe, con le quali ha vinto già nel 2009 un prestigioso premio. Sia che si occupi di danza e coreografia a Berlino, sia che insegni, o abbia semplicemente studiato, letteratura comparata a Zagabria poco cambia riguardo alla suo modo di trattare il canone classico. Il primo dato di fatto è che lo conosce profondamente. A tal punto da potersi permettere ogni poche righe digressioni continue per poi rientrarvi in modalità di assoluto rispetto.
In tal modo ai sovrani e all'aristocrazia si sostituiscono gli statisti e le fate sono femministe o dark. Nello stesso modo gioca con una nomenclatura allusiva, Giorno, Oscura, Bianco, Nocti, Veglia e attinge a un immaginario che valica i confini già ampi di quello delle fiabe: senza tema inserisce cavallette e cerberi e clown. Per ogni fiaba costruisce, forse sulla scia delle città calviniane, universi a sé stanti, toponomastiche e usanze tutte nuove.


Tutti questi continui riverberi letterari e queste invenzioni/incursioni nel contemporaneo non possono che giovare a chi le legge, queste fiabe. Sono frequenti campanellini che tintinnano nelle teste degli adulti lettori un po' accorti e in quelle di bambini e bambine che hanno voglia di farsi sorprendere e di sorridere per la delicata ironia.
Fiabe così funzionano da antidoto nei confronti di quelle altre pericolose derive che invece si dirigono verso stereotipi da film di cassetta.
Mettere a fianco di racconti del genere il repertorio figurativo di Daniela Iride Murgia, e ancor di più l'immaginario che lo alimenta, è stata proprio una bella idea (bel salto di qualità, se si guarda la prima edizione della casa editrice croata datata 2006). Perché anche lei, come si accennava all'inizio, nelle sue 'incisioni' stabilisce lo stesso rapporto con il canone e la contemporaneità e quindi anche lei si diverte ad attraversare il tempo, come se nulla fosse.
Come accade quasi sempre nel soffermarsi a guardare le sue complesse 'architetture' visive, o le sue intricate botaniche, ci si perde, ovvero lo sguardo è soggetto a un continuo canto di sirene che ti porta altrove, che ti solletica la memoria di cose già viste, che da un lato ti confonde, ma dall'altro ti rassicura nel suo essere 'classico', ovvero conosciuto e condiviso (magari anche solo inconsapevolmente). 


E tutto questo esercizio di sguardo che senso ha per gli occhi di bambini? Che ne sanno loro dell'equilibrio tra le parti di un corpo umano, o della facciata a vela con il suo campanile romanico o della dama da café chantant? La risposta è molto semplice: tutto questo contribuisce a educarli (o per i 'più ideologici' ad abituarli) al bello.
Non è poco.

Carla

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