lunedì 23 marzo 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


HAROLD E IL SUO PAPA' -  II PARTE

Harold e la matita viola, Crockett Johnson (trad. Sara Saorin)
Camelozampa 2020


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

Harold, il nome è quello del bambino adottato dalla sorella di Johnson, ebbe un impatto sul pubblico che neanche in casa editrice si aspettavano così imponente. Quando la Nordstrom e la sua collaboratrice Ann Powers vedono il dummy del libro hanno qualche dubbio sul fatto che lo si possa considerare davvero un libro per bambini, ma entrambe maturano la sensazione che quel bambino lì e la sua "dannata" (così in una lettera della Nordstrom a Johnson) matita viola hanno qualcosa che non esce dalla testa di chi lo legge.
Nonostante entrambe non riescano a riconoscergli nulla di sensazionale, tuttavia quella storia incita silenziosamente alla lettura e alla rilettura.


Effettivamente alcuni passaggi del racconto le avevano parecchio convinte " ma ormai stava affondando nell'oceano", altri molto meno, ovvero la pagina immediatamente seguente in cui Harold inspiegabilmente torna in superficie e comincia a disegnare la sua barca oppure quando è in cerca della propria finestra e disegna due tipi di case diversissime. 
Tuttavia la loro conclusione, fortunatamente, è la seguente "the more I look at the book, the more I like it".
E il libro si pubblica. 
Dopo piccoli aggiustamenti su suggerimento della Nordstrom, Johnson rimanda il manoscritto e il libro va in stampa nel 1955. La prima edizione di 10000 copie va esaurita in un soffio tanto che Harper ne ordina una ristampa da 75000. Circostanza questa che suggerisce ad Harper di chiedere a Johnson di mettere in cantiere altre storie di Harold (cosa che lo vedrà all'opera per i successivi 10 anni e non solo su Harold, ma anche su altri titoli). 


Le recensioni sui quotidiani sottolineano subito l'accento forte che Johnson conferisce alla forza dell'immaginazione.
Ma non è solo in questo che sta il valore di questo libro.
E non è un caso che Harold e la matita viola abbia segnato l'immaginario di molti artisti, tra cui quello di Chris Van Allsburgh, all'epoca seienne, che lo cita espressamente nel suo discorso in occasione del conferimento della Caldecott Medal nel 1982 per Polar Express, come il libro memorabile della sua infanzia. 
E lo fa sulla scorta di due ragioni principali.
La prima, il potere che Johnson assegna all'immaginazione.
La seconda, la sua grandiosa capacità di sintesi nel descrivere un'idea decisamente inafferrabile.
Sulla questione del potere dell'immaginazione si può riflettere dopo.
Mentre ora è più interessante partire dal ragionamento di Van Allsburgh sull' 'inafferrabilità'.
In sostanza si può affermare che il libro, così come è concepito, incoraggi la riflessione sul rapporto che lega la rappresentazione e la realtà (questione centrale per l'arte in generale e per il Surrealismo in particolare, quest'ultimo non a caso 'saccheggiato' da una infinità di illustratori per l'infanzia). 
I disegni di Harold possono essere definiti metafigure, come anche quelli di Saul Steinberg, ovvero il loro significato cambia con il cambiare della figura, del disegno. 


Per capire meglio: quello che Harold disegna come un cerchio diventa un pallone e quindi una mongolfiera, nel momento in cui ci disegna sotto un cestello. Lo stesso vale per le linee iniziali che possono essere lette non solo come la strada per la passeggiata di Harold, ma -metafora- come il percorso che ci viene suggerito per entrare nella logica 'inafferrabile' di questo libro.
Non mi è possibile verificare se Iela Mari avesse avuto per le mani Harold e la matita viola, ma è un fatto che Il palloncino rosso (di una dozzina d'anni più giovane) ragioni sullo stesso concetto.
Questo concetto che è alla base di Harold e la matita viola si esalta a livello emotivo in alcune particolari situazioni: il tremore del gesto che trasforma il segno in ondine di acque increspate oppure la montagna che è disegnata oggettivamente solo per metà e genera il capitombolo in basso. 


Fortunatamente Harold è un bambino pieno di risorse (cosa che fa immediatamente pensare alle geniali soluzioni di Ned in Fortunatamente di Remy Charlip, posteriore di meno di dieci anni) e con la sua matita disegna la soluzione ai suoi problemi.
Molto correttamente Philip Nel, a tal proposito, costruisce una somiglianza forte tra il piccolo Harold e il grande Crockett. E' l'ennesima convalida della frequente esistenza di meravigliose quanto naturali genealogie tra gli autori e i loro personaggi.
A parte la circostanza fisionomica che li assimila, Harold e Crockett sono entrambi calvi, hanno un'altra caratteristica comune: entrambi hanno scelto la matita con strumento di salvezza. Per Harold non credo occorra aggiungere nulla, per Johnson va forse detto che la sua questione con l'FBI era andata avanti fino al 1954 (per poi risolversi positivamente proprio alla fine del 1955 in concomitanza con l'uscita del libro) a tal punto che proprio mentre lavorava ad Harold due agenti lo tenevano d'occhio e lo aspettavano al varco per 'intervistarlo', all'esterno della sua casa, e lui, all'interno li controllava dalla finestra del suo studio senza sognarsi di uscire, ma creando un'altra realtà, disegnando, disegnando e ancora disegnando. Esattamente come il dio in pigiamino, Harold.
Tanto Ruth Krauss cercava nei bambini che aveva modo di osservare la sua fonte di ispirazione (come d'altronde anche la Wise Brown), tanto Crockett Johnson la cercò e la trovò in sé. Harold per molte ragioni sembra essere il ritratto del piccolo Dave, che da piccolo disegnava sempre.
Disegnare di notte è l'altro tratto che li tiene insieme. E ancora, la passione, quasi un'ossessione, per il colore marrone di Johnson, che amava circondarsi solo di cose di quel colore e si vestiva praticamente solo di marrone è la ragione per cui, accanto al viola c'è solo un lago di bianco e quanto più marrone possibile. 


A partire dalla copertina, quella originale è ancora visibile nelle vecchie edizioni e marrone è ancora quella dell'edizione sacrificatissima fatta da Einaudi. Oggi purtroppo è perduta, ma l'amato marrone resiste nel contorno di Harold e nel retino di testa e mani e nella tipografia. Diventa colore dominante nel libro successivo dove il fondo di quasi tutte le pagine è marrone - assoluta novità per l'epoca - a indicare un cielo buio da attraversare. Anche in chiave più strettamente politico/sociale Harold e il suo papà si rassomigliano.
Se si mette in luce la poetica di Johnson si nota subito che il suo impegno di fumettista e di autore consiste nel dire al mondo, anche attraverso questo bimbetto in pigiama, che le cose nel mondo si possono cambiare e che, attraverso l'immaginazione, è possibile creare le condizioni per una vita migliore.
L'immaginazione è lo strumento che abbiamo per provare a modificare la realtà, ma è anche lo strumento del bene morale, come diceva Shelley.
E solo così per esempio si spiega l'attenzione di Johnson a non mandare sprecate, lì sul prato, le torte. Basta disegnare un alce e un riccio che se le finiscano. 


La sua responsabilità morale è salva. O ancora, in Harold e il viaggio nello spazio (Einaudi Ragazzi, 2000), il protagonista decide di sabotare, come sempre attraverso il disegno con la sua matita, il disco volante del marziano che altrimenti avrebbe potuto spaventare i bambini sulla terra.
L'immaginazione mostra che ciò che esiste non è necessariamente ciò che dovrebbe o potrebbe esistere.
E per chiudere il cerchio perfetto che è questo libro, si torna su di lei, che ha illuminato anche il principio di tutto, la luna: testimone muta di questa 'inafferrabile' creazione dell'immaginazione. 


Non credo di dire fesserie se affermo che Sendak, con quella luna che veglia sul suo bambino divino, di nuovo vestito di bianco, è stato il primo e grato discepolo del suo grande amico, Dave.

Carla

Noterella al margine. La conoscenza e le riflessioni su Crockett Johnson, sulla sua poetica e sui suoi libri più significativi sono parte di una ricerca più ampia da me condotta su alcuni degli autori e delle autrici più importanti dal Dopoguerra a tutti gli anni Sessanta nel panorama della cultura occidentale. 


Tale lavoro di ricerca è diventato argomento per un seminario, tenutosi a Roma lo scorso novembre.









Nessun commento:

Posta un commento