I.A.
Quale argomento più fascinoso di
quello dell’Intelligenza artificiale, già declinato in molti modi
dalla fantascienza classica e reso popolare anche da film come ‘2001
Odissea nello spazio’, ‘Blade Runner’, ‘Io, Robot’. E’
stato riproposto recentemente anche in un romanzo, ristampato in
versione economica l’anno scorso, del 2008: ‘Genesis’, di
Bernard Beckett.
Proprio perché è un tema molto
visitato, è difficile orientarsi in una produzione che lo ha
affrontato da diversi punti di vista: le macchine ostili, gli
androidi dominati da sete di vendetta e desiderio di distruzione, le
macchine eredi di una terra spopolata.
Ma per fare un raffronto più
ravvicinato ho scelto un racconto del grande Philip Dick:
“Impostore”, contenuto nella mitica raccolta, curata da Sergio
Solmi, “Le meraviglie del possibile”. In questo racconto del
lontano 1953, un personaggio, Olhman, viene accusato di essere una
spia degli extraterrestri, nemici della Terra e di essere un androide
che ha preso le sembianze di un umano, con lo scopo di far esplodere
una potentissima bomba. Olhman è convintissimo che ci sia un errore,
ma gli agenti che lo fermano e vogliono ucciderlo affermano che lui è
stato programmato per sostituirsi all’uomo di cui deve prendere il
posto, acquisendone anche i ricordi, tanto da convincersi di essere
effettivamente lui, un umano. Olhman conduce tutti dove è caduto un
razzo nemico e lì giace in effetti il corpo senza vita di un altro
Olhman; tutti sembrano convincersi della sua tesi fin quando non
compare un coltello. Olhman stesso si convince dell’inganno e in
quel momento, innestata dal suo momento di consapevolezza, esplode la
bomba.
Dunque, qui non la macchina al servizio
dell’uomo, come nelle tre leggi della robotica create da
Asimov, ma una tecnologia aliena capace di confondere il confine fra
umano e non umano. Questo è proprio il punto cruciale: se una
macchina non solo può mimare le sembianze umane, la voce, i tic, ma
può assumerne la personalità e i ricordi, qual è il confine che
lo separa dall’originale? Quindi cosa è squisitamente umano? Nel
racconto di Asimov, e nel seguente romanzo scritto con Silverberger,
‘L’uomo bicentenario’, scritto nel ‘76, la risposta è
l’immortalità. L’androide Andrew, alla fine del suo progressivo
processo di identificazione con i creatori umani, chiede di poter
morire come loro perché solo la caducità dà senso alla vita.
La risposta di Bernard Beckett è molto
diversa e passa attraverso un lungo colloquio fra la giovane Anax e i
saggi che la devono forse ammettere all’Accademia. L’esame verte
sulla vita di un uomo leggendario, Alan Forde, di cui Anax
ricostruisce le imprese, in particolare il suo rapporto con
l’androide Artfink, dall’aspetto scimmiesco. Si sviluppa un lungo
dialogo, direi piuttosto pretenzioso, sul tema della libertà. Alan
Forde è stato un irregolare, una persona incline alla ribellione,
che non sottosta volentieri alla legge. Riuscirà a contagiare il
suo interlocutore non umano? Il finale dà la sua risposta, che
conferma l’ipotesi di partenza dell’autore, che una società
ordinata, basata sul controllo, è antitetica alla libertà di
scegliere, senza la quale non è data umanità.
Il tema umano-non umano, che ha
moltissime declinazioni e che qui abbiamo visto sommariamente
esplicitato nel rapporto fra uomo e macchina pensante, è ricchissimo
di implicazioni: nel tentare di rendere una macchina, perché un
androide, un replicante direbbe Ridley Scott, tale è, sempre più
simile al modello umano, si gioca con la creazione, con l’attribuire
a essa un’anima, ovvero una individualità che va oltre una serie
di chip e di circuiti complessi. La fantascienza si è sbizzarrita su
questi argomenti, vedendo di volta in volta le minacce o il fascino
di una alterità vivente.
Nel romanzo di Beckett sta in
sottofondo anche un altro quesito: a cosa si è disposti a rinunciare
per vivere in una società ordinata, sicura; qui il tema è
squisitamente politico e investe una delle più grandi questioni del
‘secolo breve’: il consenso ottenuto da sistemi politici
autoritari se non dittatoriali. La rinuncia alla propria capacità di
pensare non è un tratto del mondo futuribile, è un tratto
ineludibile della storia recente.
Come si vede sono temi densissimi, che
queste storie e molte altre, scritte nel secolo passato, rendono
affascinanti, costringendo anche i più riottosi a farsi domande
radicali sulle sfide della scienza e della storia. Queste letture,
piuttosto impegnative, richiedono maturità personale e le propongo,
quindi, a lettrici e lettori motivati, a partire dai quattordici
anni.
Eleonora
“Genesis”, B. Beckett, Rizzoli
2008, 2019
“Impostore”, P. Dick, in “Le
meraviglie del possibile”, Einaudi 1959, 2014
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