LA GIUSTA DISTANZA
Prima che
sia notte, Silvia Vecchini
Bompiani 2020
NARRATIVA PER
GRANDI (dagli 11 anni)
"Ma
quella ragazzina ha qualcosa. E' una specie di guardiana, di
sentinella. L'impressione è più chiara. Davanti a quella ragazzina,
l'infermiera si sente piccola. Vorrebbe che una volta prendesse la
sua, di mano. Immagina che si sprigioni una specie di corrente buona.
Di chi sa che non può fare niente eppure resta e non abbandona."
Quella ragazzina è Emma, la sorella di Carlo.
Carlo è sordo e cieco da un occhio e dall'altro ha solo quello che
si chiama residuo visivo: un sottile spiraglio luminoso da cui tutto
l'esterno deve entrare.
E' in ospedale e sta per affrontare un'altra dura prova, perché
anche il suo occhio buono ha cominciato a dare problemi.
Con lui, come sempre, c'è l'intera famiglia. Oltre a Emma, ci sono
anche i genitori, una squadra potente che non molla mai.
Sono tutti lì, intorno a lui, a sperare e a pregare che per lui non
sia arrivato il momento del buio per sempre.
Il bendaggio assoluto dura dei giorni, ma alla fine quello spiraglio
non si è chiuso ed è ancora lì.
Bene, dunque. Perché da lì entra tutto il fiume di comunicazione
che scorre tra questo ragazzino e il mondo che lo circonda. A Carlo
il silenzio lo avvolge, quindi non interessano le parole sonore. Ma
quelle che escono dai gesti, la lingua dei segni, il linguaggio
corporeo fatto di contatto tra le mani, tra le pelli, queste sono le
lingue per comunicare con lui.
In famiglia tutti le sanno parlare, anche il cane Lulù. Ma anche
l'uomo del supermercato che mette di nascosto nel sacchetto della
spesa della madre caramelle per i due fratelli, o le infermiere, o il
grandioso maestro sordo di LIS e anche un suo vecchio compagno di
classe.
L'incapacità di comunicare con lui la dimostra solo la scuola,
bidella e segretario esclusi, le cui porte ormai sono chiuse per lui.
Questa è una storia vera nel suo nocciolo, una storia di resistenti.
Carlo ed Emma sono, così li definisce la stessa Silvia Vecchini, due
suoi giovanissimi amici sardi.
La forza di questi due ragazzini (e dei loro genitori), del loro
indistruttibile rapporto di fratellanza, ma soprattutto del loro modi
inconsueti di comunicare reciprocamente hanno reso necessario per
lei il racconto.
Per chi scrive di mestiere, ragionare sul senso della parola
comunicare, ovvero sui diversissimi modi che nella verità di questa
storia si mettono in pratica - dalla Lis al Braille, dalla carezza
all'urlo demolitore - sembra ineludibile.
Lo è a tal punto che, nella costruzione della parte di finzione di
questa storia, è la stessa Silvia Vecchini che racconta di essersi
servita di lingue diverse: prosa, poesia, calligrammi, scelte
grafiche. E con questo ha dimostrato al mondo che sono tutti
ugualmente ed efficacemente 'parlanti'.
A parte l'inevitabile coinvolgimento umano che la storia di Carlo,
Emma e co. porta con sé, è forse questo l'aspetto più intrigante
di tutta la questione.
L'oggetto insolito che ne è nato merita qualche riga di riflessione.
Da un lato è un oggetto editoriale interessante in questa sua
doppia, tripla veste perché costringe chi legge a cambiare ritmo,
registro, prospettiva. Dall'altro è un interessante spunto di
riflessione su cosa possa essere detto meglio in poesia e cosa invece
meriti il flusso ininterrotto del racconto. E ancora, i diversi
effetti che producono i versi o la prosa in un unico lettore.
Alla poesia affida il pensiero e la voce di Emma che rappresenta una
sorta di io narrante. Emma è l'interprete ideale dei pensieri di
Carlo. Emma è quella che anche fisicamente gli si sdaia accanto.
E' quella che per età e per ruolo meglio di altri comunica con lui:
in questa prospettiva, l'episodio del molare giù nello scarico del
gabinetto è esemplare.
La voce di Emma, la poesia, è anche quella della sorellanza. E'
quella delle emozioni forti. In questo senso, tutta la parte dedicata
al rapporto di amicizia e forse di primo innamoramento nei confronti
dell'ex compagno di Carlo, che la scuote a livello emotivo, è
elettivamente scritta in versi. La poesia diventa la voce della
paura, del dubbio, della forza, della risata, del gioco e dello
scherzo, dell'affetto, dell'amore a tutti i costi.
Intorno a questo nocciolo duro, come fosse quello di una galassia,
ruota una sorta di universo periferico che è attratto da questo
centro, ma che nello stesso tempo ne è necessariamente distante:
questa è la prosa.
Il racconto, con la voce di un narratore esterno, di tutti i
personaggi che orbitano intorno a Carlo ed Emma e alla sua famiglia.
Questa seconda voce racconta le persone coinvolte emotivamente, i
testimoni sensibili ma, pur sempre, esterni. E' strano da dire, ma a
questo gruppo appartengono talvolta gli stessi genitori e la stessa
Emma, le rare volte che non è l'interprete preferita di Carlo.
Costituiscono una piccola comunità di belle persone a diverso titolo
cui è dato il compito di dare la propria versione dei fatti,
rispettando la distanza - la giusta distanza - di sicurezza.
Non saprei dire se dipenda dal fatto che Silvia Vecchini nella realtà
dei fatti a questo gruppo di spettatori coinvolti appartenga, ma
questa è la voce che ho preferito.
Per autenticità e giusta distanza, appunto.
Carla
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