IL CORAGGIO NELLE TASCHE
Il vestito di Lia, Sara
Marconi, Daniela Costa
Edizioni Corsare 2020
ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)
"Il corso di teatro non lo
vuole fare, e sciare le dà il capogiro; le piace soltanto giocare
con la sua amica Emma, suonare il pianoforte e leggere storie di
animali. Per questo quel giovedì, la mamma, il papà, il nonno e
anche la mamma di Emma si telefonano preoccupati: Chi le darà la
notizia?"
Lia è una bambina
timida e molte cose le fanno paura. Eppure la notizia le va
assolutamente data.
Il papà pensa che
mangiando un gelato forse la notizia sarà meno aspra. Purtroppo quel
giorno piove, niente passeggiata con gelato.
Il nonno pensa che
in mezzo a un bel racconto, infilare la notizia la farà sembrare
meno spaventosa. Ma Lia si alza sul più bello e quando torna è il
coraggio del nonno a essere svanito.
Non resta che la
mamma. D'altronde - si sa - le maggior parte delle mamme hanno
coraggio da vendere e non si spaventano davanti a nulla, o quasi.
Così prende in braccio la piccola Lia e, tutto di un fiato, le dice
che il concerto di pianoforte per la fine del corso è lì a un
passo: domenica.
Chiude gli occhi e
aspetta di essere investita dall'elenco di tutte le paure della sua
bambina e da un perentorio: no! Non se ne parla, io su quel palco non
ci salgo.
E invece... Avvolta
e protetta nel suo vestito nuovo, quello con le tasche, Lia si sente
bella e forte. Sul palco, davanti a tutti, avrà con sé anche un
pianoforte e, questo lo sanno persino le rondini, la musica che lei è
capace di farne uscire la riempirà così tanto di gioia, che per
timidezza e timori bisognerà aspettare un altro tempo.
La percezione, lo
sguardo in particolare ma anche gli altri sensi sono coinvolti, per
quanto uno ne possa studiare i meccanismi, anche quelli
chimico/fisici del cervello, mantiene sempre una sua porzione di
mistero. Quindi per quanto uno si sforzi di razionalizzare, di
mantenere un oggettiva distanza per poter valutare un oggetto - un
libro in questo caso - per quello che è, ad alterare l'analisi
subentrano fattori che arrivano da luoghi e tempi diversi.
Qui di seguito, il
breve elenco di fattori che hanno alterato l'oggettività di
giudizio.
Il primo: irrompe
dalla memoria - per molte altre cose molto macilenta - il vestito
del compleanno di mia figlia Margherita per i suoi 5 anni. Con le
tasche, color rosso papavero con fiori stampati qui e là. E largo,
che se girava veloce su se stessa si apriva come quello di un
derviscio.
Il secondo: quella
stessa Margherita che a ogni compleanno fino almeno ai 6 anni
compiuti proibiva con pianti dirotti tutte le canzoncine o coretti o
anche solo sguardi concentrati su di lei al momento del soffio sulla
torta di compleanno.
Il terzo: quella
stessa Margherita, che a vent'anni si vergognava a ordinare una pizza
per telefono, durante la sua discussione di laurea magistrale alla
facoltà di chimica a Bologna (con il tocco e la toga e con un
biglietto aereo per la Spagna e un dottorato in tasca) che
padroneggiava davanti a un pubblico vario il puntatore laser su
molecole sconosciute quanto deliziose, sotto il profilo grafico,
nonché su composti dai nomi impronunciabili, ma da lei amatissimi.
Il quarto: la
commozione costante che da sempre mi genera la vista dei papaveri.
Sia singoli, sia a campi, sia a bordo strada, in filari.
Qui di seguito, il
meno breve elenco di cose che mi hanno riportato il più possibile a
riconquistare una qualche oggettività di giudizio.
In rigoroso ordine
di entrata.
Il primo: i colori
della copertina. Quattro in particolare, a coppie. Il bianco non
troppo bianco del fondo e il nero non troppo nero di matita del
pianoforte. I due colori del vestito: opposti e messi con sapienza
vicini a suggerire all'occhio di passare da uno all'altro e di
goderne in uno dei suoi giochi preferiti: caldo freddo caldo
freddo... Buona sensibilità e gusto.
Il secondo: i
risguardi. Occupati con intelligenza da una sequenza di topini
vestiti che stanno per accomodarsi (forse) nella storia e stanno
invitando lo sguardo a pedinarli. Ciò preannuncia che dell'oggetto
libro nulla resterà indietro.
Il terzo: la carta.
Uso mano, direi. Che è un piacere sfogliare le pagine. E che è
anche un atto di rispetto nei confronti dei propri lettori.
Il quarto: la
musicalità del testo. le prime quattro righe - che per crudeltà qui
non sono scritte - suonano.
Il quinto: la
conferma che i topi non erano lì per caso, ma a costruire micro
racconti paralleli alla storia principale. Ciò conferma un disegno
che sa raccontare a sua volta e non si limita ad appoggiarsi solo sul
testo.
Il sesto: un
disegno che invade lo spazio, domina la pagina in mille diversi tagli
di prospettiva, gente che esce o entra dal taglio del foglio, zoom
sui dettagli, sequenze di movimento. Ma anche e soprattutto capace di
essere nel contempo immaginifico -con animali e piante che sono quasi
pattern- come pure attento al dettaglio della realtà raccontata. Di
nuovo una gioia per gli occhi che vanno dal generale al particolare e
viceversa.
Il settimo: le
buone letture del nonno.
L'ottavo: un testo
pulito da ogni decorazione che corre dritto al punto senza sbavature
didascaliche. Una bella sorpresa che sembra così ben messa lì sul
finale, da far supporre che Sara Marconi ne sappia parecchio dello
stupore che ci riservano i bambini e le bambine. In altre parole, che
abbia la giusta sensibilità per saper raccontare l'infanzia.
Il nono: una buona
capacità di regolare in modo diverso il ritmo delle tavole con ogni
mezzo a disposizione di un illustratore, e farlo in buona armonia con
il testo.
Il decimo: la
questione intorno a cui tutto ruota. Anzi le questioni. Da una parte
il racconto sincero di una timidezza riconosciuta e protetta dai
grandi e dall'altra l'inaspettato coraggio di una bambina che della
sua passione fa il suo destriero che la porterà lontano.
Che sia la musica o
sia la chimica, l'importante è che ci sia.
Carla
Noterella al
margine. Ce ne sarebbe anche un undicesimo: il formato del libro è
esattamente uguale al piatto del mio scanner.
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