QUANDO L'OROLOGIO NON SUONÒ
Un tempo per ogni
cosa, Davide Calì, Isabella Labate
Kite 2020
ILLUSTRATI PER GRANDI
(dai 10 anni)
"Da sempre la
casa di Edgar era piena di orologi. Il loro tic tac
riempiva l’aria delle sue giornate. Gli orologi erano
regolati tutti, precisamente, sulla medesima ora. La pendola nella
sala batteva le ore, ogni ora.
L’orologio a cucù,
nel corridoio, faceva lo stesso. Il vecchio orologio
di metallo sopra al camino faceva, anche lui, lo stesso. In questo modo, in
qualunque punto della casa si trovasse, Edgar sapeva sempre,
precisamente, che ora fosse. Edgar aveva anche
sette orologi che battevano le ore, una sola volta
ciascuno."
La sua giornata è
scandita con precisione assoluta, dalla sveglia alle sette fino al
momento di regolare tutti gli orologi, a quattordici ore esatte di distanza:
le nove di sera.
Edgar è un uomo
preciso e abitudinario. Indossa una sola cravatta, esce tutti i
giorni alle due per una breve passeggiata, non frequenta nessuno, ma
telefona a sua madre tutti i giorni alle quattro... Beve sempre lo
stesso numero di tazze di tè senza zucchero, legge per quindici
minuti il giornale, ma non fa i cruciverba né legge le barzellette.
Niente spesa né cinema. Mai un viaggio.
La sua giornata è
scandita con regolarità esatta dai suoi orologi che ticchettano
all'unisono.
E tutto questo non lo
fa perché ossessionato dall'ordine, ma per una precisa scelta
consapevole. A lui piace così.
Fino al giorno in cui
uno dei suoi orologi non suona come dovuto alle 17 per il suo tè. Il
meccanismo si è rotto. La riparazione si rivela più complessa del
previsto, perché richiede un viaggio oltreoceano dove quei vecchi
orologi sono ancora in circolazione.
Il dilemma è: avere un
prezioso orologio rotto o attraversare mezzo mondo per farlo
riparare? C'è un tempo per ogni cosa...
Misurare il tempo. Se
ne potrebbe parlare per ore, giorni, mesi, anni.
La necessità biologica
di sapersi orientare nello spazio e nel tempo credo che lasci
indifferenti solo i sassi. L'enormità della questione non può
essere neanche scalfita qui e ora. Tuttavia, ragionare sulla storia
di un ometto che della misurazione cronometrica del tempo ne ha fatto
uno stile di vita, mi pare affrontabile e soprattutto degna di nota.
E, per di più, nel suo essere allusiva in più punti al ben noto
Phileas Fogg apre, come in Verne, un doppio scenario: misurare il
mondo e la realtà come fa Fogg o come fa Passpartout?
Se si sta a guardare e
sentire quello che Edgar, l'ometto, compie nel corso del tempo, possono succedere due cose. O ci si
sente soffocare da tanta regolarità, come era successo a Passpartout, fino al momento in cui optò per un impiego tranquillo, o ci si accomoda in quella scansione
ordinata e se ne trae un confortevole senso di sicurezza, come aveva fatto Phileas Fogg, fino a un momento prima di accettare la scommessa.
Lasciamo indietro Verne e torniamo a Calì che con grande onestà chiarisce che il suo Edgar lo fa per scelta. Come
tutti coloro che dall'abitudine traggono un qualche conforto. Tra
questi annovererei la categoria umana dei bambini (e dei
maggiordomi?).
Magari senza esagerare.
La questione che Calì
con tanta chiarezza mette sul foglio è interessante e offre diversi
spunti di ragionamento. Uno per tutti può essere il titolo stesso
che in modo assertivo dice che c'è un tempo per ogni cosa. E non
credo si limiti ad alludere solo alle abitudini di Edgar - un tempo
per il tè, un tempo per la passeggiata - ma anche e soprattutto
voglia dare spazio all'idea che c'è un tempo in cui ci facciamo
vincolare dalle routine perché ci piace sentirci al sicuro, ma ci
deve essere anche un tempo in cui siamo noi a dettare l'agenda.
Scavalcare l'abitudine,
guardare oltre il consueto orizzonte, presenta necessariamente delle
incognite, crea disorientamento, tuttavia offre opportunità che
altrimenti andrebbero perse.
La lingua chiara,
affilata ed esatta di Calì trova una sua eco nelle tavole di
Isabella Labate. Precisa all'inverosimile, come la conosciamo da
sempre, gongolante e puntuale, al pari del suo protagonista Edgar,
nei suoi dettagliati disegni. Eppure, sebbene in una cornice
rassicurante dove tutto è molto riconoscibile come se fosse uno
scatto fotografico, Isabella Labate si prende alcune libertà
narrative.
Non importa quanti lettori potranno riconoscere
Piccadilly, il Chrysler o la Trump Tower, o apprezzare la porcellana
cinese o gli orologi da tavolo a smalto cloisonné, di sicuro queste
immagini lavoreranno 'in remoto' alla costruzione di un gusto
estetico sempre più affinato nei confronti del bello.
Al contrario sarei
abbastanza sicura che invece dai suoi lettori vengano subito assunte tutte quelle
suggestioni quasi subliminali che mette, per fare un esempio, nelle sue
prospettive distorte a cannocchiale, a segnare appunto la svolta
nella vita al chiuso di Edgar (che se quel ponte del piroscafo lo
percorri tutto, a New York ci arrivi anche a piedi). Oppure ancora
nei risguardi di fine libro dove la circolarità dei quadranti (nei risguarid iniziali) è stata abilmente sostituita da un catalogo di
oggetti che del cerchio declinano il profilo in modo molto più vario
e potenzialmente più piacevole.
Se fossi un'insegnante,
magari di arte ma anche no, porterei questo libro in classe e, dopo
averlo letto e discusso, assegnerei a ciascuno una illustrazione con
l'intento di studiarne ogni dettaglio per rintracciarne eventuali
modelli o riferimenti iconografici. Verrebbero fuori un mucchio di belle sorprese.
Se fossi.
Carla
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