lunedì 25 ottobre 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

MA IO GLI CREDO...

Il viaggio, Peter Van den Ende
Terre di Mezzo 2021


ILLUSTRATI

"Con The Wanderer in testa, di recente mi sono imbattuto in una video intervista di Maurice Sendak, in cui racconta del suo amore per William Blake. Nel video Sendak dice: Non riesco a capire cosa sia... cosa mi attragga tanto in lui... non lo capisco. Non so di cosa diavolo stia parlando. Ma lo amo. Se fossi religioso, proverei le stesse sensazioni. Lui è un illustratore, io sono un illustratore. Illustra poesia, le sue poesie oniriche e mitologiche. Presumo che sia la sua profonda fede in qualche cosa. Sembra idiota, ma io gli credo. Credo nella sua passione."
 
Queste sono quasi le ultime parole a chiusura di una riflessione che Brian Selznick fa dalle pagine del NYT il 13 novembre 2020 sul primo libro illustrato di Peter Van den Ende. La stessa fede e lo stesso amore che Sendak aveva espresso nei confronti di William Blake in quel video, Selznick li prova nei confronti di questo autore belga, e conclude il suo ragionamento, prendendo a prestito le stesse parole di Sendak: I know, it might sounds crazy, but I believe him...
Il libro esce nel 2019 per Querido, Amsterdam, con il titolo Zwerveling, ovvero il girovago, il giramondo ed è subito un successo planetario: viene pubblicato nel 2020 in lingua inglese, The Wanderer, francese, Odyssée, spagnola, Travesía (anche catalana) e tedesca, Treiben lassen, quindi in Italia, Il viaggio. E non mancherà molto che sbarchi anche in Oriente, se non è già accaduto nel frattempo.

Un lavoro durato tre anni che è nato nella testa di Van den Ende quando ancora era nelle isole Cayman come guida naturalistica (ha una formazione da biologo) attraverso le foreste di mangrovie e lungo la barriera corallina.
 
 
Di questo libro due tra i migliori - Brian Selznick a Shaun Tan - hanno subito riconosciuto la qualità.
Un libro imponente, 96 pagine rigorosamente silenziose e rigorosamente in bianco e nero e incorniciate, che racconta un viaggio che non sembra avere una meta precisa. Il viaggiatore, almeno così crediamo fino alla penultima pagina, ci viene presentato all'inizio: si tratta di una barchetta di carta che due altri personaggi, un ragazzo e una figura di cavaliere nero la cui testa è attraversata da una falce di luna, stanno costruendo con le consuete piegature. Il viaggio per la piccola barca, fragile perché di carta, minuscola in un mare sconfinato tra galeoni e megattere, comincia. E se al principio tutto sembra essere riconoscibile e noto, già al terzo giro di pagina il nostro sguardo si perde nella ricchezza dei fondali, resi con il segno sottile di un pennino. 
 

In un continuo gioco di forme diverse, di chiari e di scuri, che si alternano incastrandosi alla perfezione come in un puzzle, in un vero e proprio trompe-l'oeil che richiede ai nostri occhi una messa a fuoco continua, il viaggio va avanti. Ora non ci sono solo le forme conosciute dei gabbiani, delle tartarughe, e dei banchi di centinaia di diversi pesci tropicali, caraibici, ma cominciano a vedersi forme ibride che attraversano quei fondali. La navigazione della barchetta prosegue sulla superficie del mare che una volta segna il limite superiore della pagina, oppure, il fondo del foglio quando sta per addentrarsi in un intreccio fittissimo di mangrovie. Le creature del mare cominciano a incuriosirsi di quel lento e silenzioso passaggio: un ippocampo prende un passaggio sulla barca fino al momento in cui ne discende per unirsi a una piccola comunità di suoi simili.
Tavola dopo tavola si attraversa un immaginario sempre più complesso e intricato in cui continuano a riconoscersi i profili di animali noti, i quali però mostrano di avere sempre qualcosa di ambiguo nelle loro forme. Questo non essere mai qualcosa di completamente riconosciuto, fa sì che il nostro sguardo sia di continuo attirato da un quid di insolito.
In questa prospettiva, forse alla centesima rilettura potremmo dire di aver notato molte cose, ma non tutte.
Se il gioco delle forme cattura, non di meno accade con i punti di luce: un firmamento che punteggia il nero del cielo notturno si specchia in centinaia di occhi luminosi dei pesci che ancora sott'acqua accorrono e circondare la barchetta. Il chiarore di aurora boreale realizzata a tratteggio anticipa il candore del grande iceberg nella pagina successiva.
Via via che il viaggio prosegue anche le interazioni e i contesti che la barca attraversa diventano narrazione (uno sguardo su quello che è l'impatto dell'uomo sull'ambiente è forse il più dichiarato di tutti, ma ce ne sono anche altri) e quindi si costruisce una rete a maglie larghe che permette al lettore di infilarsi per trarne significati ulteriori. Questo accade sempre nel silenzio assoluto delle parole e nella grande discrezione dell'autore nei confronti dei propri lettori - quella che Shaun Tan appunto definiva un' 'architettura leggera' che accoglie il lettore perché la abiti a suo piacimento.
Questo crescendo che da una parte vede occupati gli occhi a distinguere e dall'altra la testa a cercare di capire e di orientarsi è attraversato da una costante trepidazione, sempre più alta, nei confronti della barca che viene colpita, finisce in fondo al mare, rischia di finire a pezzi, ma ogni volta trova qualcuno o qualcosa su cui fare affidamento verso un possibile obiettivo finale. 
 
 
Tacere su questo è doveroso per non 'bruciare' il libro e per non dare la mia lettura come l'unica. Credo, che ognuno debba trovare la propria, come succede sempre con i bei libri.
Tre anni di durissimo lavoro, per raccontare, è lo stesso Peter Van den Ende a dirlo, una storia in cui il coraggio e la tenacia sono centrali. Piccolo, fragile e indifeso, quel pezzetto di carta piegato e messo in mare dai suoi originali 'genitori' e da una squadra di 'angeli custodi', tra cui l'assiduo palombaro che tanto somiglia all'autore, non molla mai. 
 

Va e va sempre avanti - nella calma e nelle avversità, in superficie e nell'abisso - con la stessa determinazione iniziale. E noi siamo lì con lei, a palpitare.
E per chiudere il cerchio, viene facile pensare che tanto coraggio e tanta passione siano stati centrali anche per Van den Ende quando ha deciso di non mollare e continuare con fede nel realizzare le sue quasi cento pagine di disegni minuziosissimi e magnifici. Ha reso omaggio a chi lo ha ispirato, Édouard Riou e Alphonse De Neuville nelle loro illustrazioni dei libri di Verne (i loro nomi sono le poche parole che Van den Ende ci concede come se fossero scritte sulla mappa dei suoi riferimenti), ma anche a Verne stesso e, come nota Selznick, allo stesso Shaun Tan, a Edward Gorey, a Tim Burton, a Salvador Dalì e a Jacques Cousteau. 
 

E forse, ma questo lo dico io, a un altro grande maestro dell'illusione, Maurits Conelis Escher. La lista potrebbe proseguire.
 
Carla


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