MA IO GLI CREDO...
Il viaggio, Peter Van den
Ende
Terre di Mezzo 2021
ILLUSTRATI
"Con The Wanderer in testa, di
recente mi sono imbattuto in una video intervista di Maurice Sendak,
in cui racconta del suo amore per William Blake. Nel video Sendak
dice: Non riesco a capire cosa sia... cosa mi attragga tanto in
lui... non lo capisco. Non so di cosa diavolo stia parlando. Ma lo
amo. Se fossi religioso, proverei le stesse sensazioni. Lui è un
illustratore, io sono un illustratore. Illustra poesia, le sue poesie
oniriche e mitologiche. Presumo che sia la sua profonda fede in
qualche cosa. Sembra idiota, ma io gli credo. Credo nella sua
passione."
Queste sono quasi le ultime parole a
chiusura di una riflessione che Brian Selznick fa dalle pagine del
NYT il 13 novembre 2020 sul primo libro illustrato di Peter Van den
Ende. La stessa fede e lo stesso amore che Sendak aveva espresso nei
confronti di William Blake in quel video, Selznick li prova nei
confronti di questo autore belga, e conclude il suo ragionamento,
prendendo a prestito le stesse parole di Sendak: I know, it might
sounds crazy, but I believe him...
Il libro esce nel
2019 per Querido, Amsterdam, con il titolo Zwerveling, ovvero
il girovago, il giramondo ed è subito un successo planetario: viene
pubblicato nel 2020 in lingua inglese, The Wanderer, francese,
Odyssée, spagnola, Travesía (anche catalana) e
tedesca, Treiben lassen, quindi in Italia, Il viaggio.
E non mancherà molto che sbarchi anche in Oriente, se non è già
accaduto nel frattempo.
Un lavoro durato
tre anni che è nato nella testa di Van den Ende quando ancora era
nelle isole Cayman come guida naturalistica (ha una formazione da
biologo) attraverso le foreste di mangrovie e lungo la barriera
corallina.
Di questo libro due
tra i migliori - Brian Selznick a Shaun Tan - hanno subito
riconosciuto la qualità.
Un libro imponente,
96 pagine rigorosamente silenziose e rigorosamente in bianco e nero e
incorniciate, che racconta un viaggio che non sembra avere una meta
precisa. Il viaggiatore, almeno così crediamo fino alla penultima pagina, ci viene presentato all'inizio: si tratta di una
barchetta di carta che due altri personaggi, un ragazzo e una figura
di cavaliere nero la cui testa è attraversata da una falce di luna,
stanno costruendo con le consuete piegature. Il viaggio per la
piccola barca, fragile perché di carta, minuscola in un mare
sconfinato tra galeoni e megattere, comincia. E se al principio tutto
sembra essere riconoscibile e noto, già al terzo giro di pagina il
nostro sguardo si perde nella ricchezza dei fondali, resi con il
segno sottile di un pennino.
In un continuo gioco di forme diverse,
di chiari e di scuri, che si alternano incastrandosi alla perfezione
come in un puzzle, in un vero e proprio trompe-l'oeil che richiede ai
nostri occhi una messa a fuoco continua, il viaggio va avanti. Ora
non ci sono solo le forme conosciute dei gabbiani, delle tartarughe,
e dei banchi di centinaia di diversi pesci tropicali, caraibici, ma
cominciano a vedersi forme ibride che attraversano quei fondali. La
navigazione della barchetta prosegue sulla superficie del mare che
una volta segna il limite superiore della pagina, oppure, il fondo
del foglio quando sta per addentrarsi in un intreccio fittissimo di
mangrovie. Le creature del mare cominciano a incuriosirsi di quel
lento e silenzioso passaggio: un ippocampo prende un passaggio sulla
barca fino al momento in cui ne discende per unirsi a una piccola
comunità di suoi simili.
Tavola dopo tavola
si attraversa un immaginario sempre più complesso e intricato in cui
continuano a riconoscersi i profili di animali noti, i quali però
mostrano di avere sempre qualcosa di ambiguo nelle loro forme. Questo
non essere mai qualcosa di completamente riconosciuto, fa sì che il
nostro sguardo sia di continuo attirato da un quid di insolito.
In questa
prospettiva, forse alla centesima rilettura potremmo dire di aver
notato molte cose, ma non tutte.
Se il gioco delle
forme cattura, non di meno accade con i punti di luce: un firmamento
che punteggia il nero del cielo notturno si specchia in centinaia di
occhi luminosi dei pesci che ancora sott'acqua accorrono e circondare
la barchetta. Il chiarore di aurora boreale realizzata a tratteggio
anticipa il candore del grande iceberg nella pagina successiva.
Via via che il
viaggio prosegue anche le interazioni e i contesti che la barca
attraversa diventano narrazione (uno sguardo su quello che è
l'impatto dell'uomo sull'ambiente è forse il più dichiarato di
tutti, ma ce ne sono anche altri) e quindi si costruisce una rete a
maglie larghe che permette al lettore di infilarsi per trarne
significati ulteriori. Questo accade sempre nel silenzio assoluto
delle parole e nella grande discrezione dell'autore nei confronti dei
propri lettori - quella che Shaun Tan appunto definiva un'
'architettura leggera' che accoglie il lettore perché la abiti a suo
piacimento.
Questo crescendo
che da una parte vede occupati gli occhi a distinguere e dall'altra
la testa a cercare di capire e di orientarsi è attraversato da una
costante trepidazione, sempre più alta, nei confronti della barca
che viene colpita, finisce in fondo al mare, rischia di finire a
pezzi, ma ogni volta trova qualcuno o qualcosa su cui fare
affidamento verso un possibile obiettivo finale.
Tacere su questo è
doveroso per non 'bruciare' il libro e per non dare la mia lettura
come l'unica. Credo, che ognuno debba trovare la propria, come
succede sempre con i bei libri.
Tre anni di
durissimo lavoro, per raccontare, è lo stesso Peter Van den Ende a
dirlo, una storia in cui il coraggio e la tenacia sono centrali.
Piccolo, fragile e indifeso, quel pezzetto di carta piegato e messo
in mare dai suoi originali 'genitori' e da una squadra di 'angeli
custodi', tra cui l'assiduo palombaro che tanto somiglia all'autore,
non molla mai.
Va e va sempre avanti - nella calma e nelle avversità,
in superficie e nell'abisso - con la stessa determinazione iniziale.
E noi siamo lì con lei, a palpitare.
E per chiudere il
cerchio, viene facile pensare che tanto coraggio e tanta passione
siano stati centrali anche per Van den Ende quando ha deciso di non
mollare e continuare con fede nel realizzare le sue quasi cento
pagine di disegni minuziosissimi e magnifici. Ha reso omaggio a chi
lo ha ispirato, Édouard Riou e Alphonse De Neuville nelle loro
illustrazioni dei libri di Verne (i loro nomi sono le poche parole
che Van den Ende ci concede come se fossero scritte sulla mappa dei
suoi riferimenti), ma anche a Verne stesso e, come nota Selznick,
allo stesso Shaun Tan, a Edward Gorey, a Tim Burton, a Salvador Dalì
e a Jacques Cousteau.
E forse, ma questo lo dico io, a un altro
grande maestro dell'illusione, Maurits Conelis Escher. La lista potrebbe proseguire.
Carla
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