VIVERE LEGGERI
Edizioni Clichy 2021
ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)
"Mi sono detto: 'Ho bisogno di cambiare aria! Forza facciamo i bagagli!' Tre paia di calzini, un coltello svizzero, una scatola di fiammiferi, un kit di pronto soccorso, una macchina fotografica, due rotoli di carta igienica, una mappa, uno spray antizanzare, una racchetta da tennis, un guanto da doccia, un asciugamano, una forchetta, una borsa termica, la crema solare, un cappello, un taccuino e una penna, un paio di occhiali da sole, una tazza, due bottiglie di acqua minerale, un sacco a pelo, un ombrello, un fucile per proteggermi dagli orsi, una saponetta, una tenda un telefono, una sveglia, un maglione pesante, un costume da bagno, tre paia di mutande, un paio di guanti, una sciarpa di lana, una zanzariera, due paia di pantaloni, una corda, un pettine, le pinne, dentifricio e spazzolino.
Ho messo la chiave sotto lo zerbino e, senza voltarmi, sono partito, guardando sempre dritto davanti a me."
Con uno zaino che, come era prevedibile, è molto più grande di lui, si mette in viaggio. Arriva davanti all'oceano e l'acqua è tempestosa e scura, il vento fortissimo gli strappa di mano la mappa.
Il primo incontro avviene con un uomo che è seduto all'ombra di un albero e che lo rassicura di essere sulla strada giusta per andare da quella parte. A lui regala la tenda e anche la macchina fotografica non riesce a rimetterla nel bagaglio. Il viaggio continua.
Il secondo incontro - si guardano dritto negli occhi - è con un orso nella foresta scura attraversata da un fiume. Il fucile che ha tolto dallo zaino, però non lo punta contro l'orso, ma lo dimentica ai piedi di un albero. Il viaggio prosegue.
E anche nel villaggio assolato scambia tre pezzi del suo bagaglio per un succoso grappolo d'uva.
Giorno dopo giorno, passo dopo passo, attraversa il mondo e via via dimentica, regala, scambia tutti gli oggetti che rendevano pesante il suo zaino. Poi, come ha fatto anche Forrest Gump dopo aver corso per 3 anni, 2 mesi, 14 giorni e 16 ore, anche lui si ferma e decide che è arrivato il momento di tornare a casa. Sul fondo del suo zaino, da condividere una manciata di semi e un bel po' di cose da raccontare...
Qui le cose sono andate diversamente.
Complice forse il tema che mi è particolarmente caro, oppure è dipeso dalla circostanza che personalmente ho sempre sulle spalle uno zaino di ragguardevoli dimensioni che contiene la maggior parte delle cose che potrebbero essermi utili nel corso della giornata: dallo spray contro le zanzare (estate e inverno) al power bank da un chilo, dall'Opinel francese con la punta tonda al coprisella impermeabile, fatto sta che questo libro l'ho guardato e riguardato per mesi, senza mai lasciarlo andare.
La cosa che colpisce subito è il segno nero, largo, dato con grandi pennellate veloci e il colore dato a rapide campiture di acquerello; mi sembrano, a livello espressivo, molto più efficaci del consueto tratto a china che, come il bagaglio, svanisce strada facendo. Sembra quasi una contaminazione con il Barroux che illustra per i grandi, che lascia dietro i dettagli e la palette di colori consueta.
Qui c'è una dominante, anzi due, in perfetto contrasto visivo fra loro: il verde che va dal petrolio del mare in tempesta al quasi nero del cielo di New York cui si contrappongono mille diverse varianti di arancione, delle montagne, del deserto, dei grattacieli.
Ma non solo.
Il tema trattato, ovvero la relazione che abbiamo con gli oggetti e il loro spesso patologico desiderio di possederli e di averli sempre a disposizione, mi è parso altrettanto interessante e in qualche modo più originale e più intrigante rispetto ad argomenti come il peluche per vincere la paura o l'accoglienza di chi è diverso da te.
Non che queste questioni non abbiano la loro rilevanza, ma è più difficile distinguersi dagli altri millemila libri che ne parlano e affrontare in 32 pagine la complessità della paura e dell'accettazione dell'altro senza cadere in troppo facili soluzioni e stereotipi.
La questione che Barroux sottopone qui ai suoi lettori in realtà si sdoppia: da una parte c'è la partenza, il viaggio, l'andarsene con il comprensibile desiderio di 'cambiare aria', ma nello stesso tempo si delinea un sentimento molto comune che è quello di portarsi dietro 'la casa'.
La questione, posta in questi termini, sembra dividere l'intera umanità in due parti, bambini compresi: da un lato coloro che vivono il viaggio come un salutare salto in leggerezza verso l'ignoto, e dall'altro coloro che invece, nonostante la bellezza della novità, patiscono il distacco dall'abitudine e dalla propria comfort zone.
In passato, mi è capitato di discutere di questo anche con ragazzi e ragazze delle scuole medie e le risposte che mi arrivavano circa la programmazione di un ipotetico viaggio erano le più varie.
Ma l'acme - che ha avuto anche un esito nei fatti - è stato raggiunto quando ho chiesto loro di preparare una valigia ipotetica e di portarla fisicamente a scuola.
Si sono visti soprattutto zaini come quelli che Barroux mette sulle spalle del protagonista, e in alcuni sporadici casi bagagli poco più grandi di un beauty-case.
Nessuno di loro aveva lasciato a casa il cellulare e solo due o tre il loro pupazzo dell'infanzia, o il loro talismano.
Il tema, dunque, è caldo.
Barroux si schiera e dà anche qui una sua proposta di soluzione, che vede il protagonista lasciare, cammin facendo, tutto quello che lui considera superfluo, anche se si fa fatica ad ammettere che una macchina fotografica e una tenda possano davvero considerarsi tali.
Vero è che viaggiare leggeri, ma io direi meglio: vivere leggeri, è più stimolante e vivace che appesantirsi e faticare sotto il peso e il vincolo delle cose che possediamo e che ci rallentano nel cammino. Ne parlo con cognizione di causa.
La questione è: quante sono le persone che davvero ci credono e lo praticano? In un emisfero in cui possedere è spesso sinonimo di esistere, una riflessione del genere va davvero in controtendenza. Per questo portare i bambini, fin da piccoli, a ragionarci sopra, è cosa buona e giusta.
Dopo un viaggio, presentarsi al mondo solo con un pugnetto di semi e tanti bei ricordi da raccontare e nient'altro (neanche una foto!) è una rarità, ma parrebbe essere forse la scelta vincente.
Soprattutto per chi crede nella fertili novità che può riservare il futuro.
Carla
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