venerdì 13 maggio 2022

OLTRE IL CONFINE! (libri dall'estero)

SPEECHLESS! 
L'arte di raccontare senza parole


Ancora una volta lo spunto arriva da uno degli incontri di Foto di gruppo con autore
Questa volta si tratta di un incontro per raccontare la carriera di un gigante dell'albo illustrato, e in particolare di quello senza parole, David Wiesner (Devid Uisnɚ)  
Le tre ore dell'incontro so già che faticheremo a farle bastare per andare in esplorazione, quindi di ciò che è rimasto fuori dal sacco - chi ci sarà saprà cosa ci sia dentro - si parlerà qui. 


I got it! è in effetti il penultimo libro di David Wiesner ed è stato pubblicato nel 2018. 
L'ultimo in ordine di tempo è Robobaby (del 2020) di cui qui non si parlerà perché è pieno di divertentissimi dialoghi, qualcosa di molto simile a un fumetto, genere con il quale Wiesner ha peraltro sempre dimostrato grande dimestichezza. 
Scriverne qui dell'arrivo di questo piccolo tutto meccanico di nome Flange sembra inutile, visto che a farlo in rete c'è lo stesso Wiesner, in modo esilarante, per di più.  
I got it! è allo stato attuale delle cose il suo ultimo libro senza parole e come tale si può utilizzare come guida per mettere in evidenza una serie di punti chiave nella poetica di questo autore. 
Rispetto alle sue storie passate, con poche o del tutto senza parole, questa appartiene alla categoria in cui sono gli esseri umani gli unici protagonisti, se si fa eccezione per uno stormo di uccellini che attraversa le pagine, della vicenda. 
Siamo ai bordi di un campo da baseball, precisamente dietro la recinzione, e un ragazzino di spalle guarda verso il campo e vorrebbe giocare con gli altri: ha un guantone che tiene nascosto dietro la schiena. Quelli che sono nel campo, forse una decina tra maschi e femmine, piccoli e più grandi, stanno decidendo le squadre: lo fanno entrare e lo mandano in base per verificare il suo livello di gioco. 
Per lui è una grande prova. 


La partitella ha inizio e il ragazzino si allunga per prendere la palla. Si allunga e si sbraccia ed è a un passo dall'averla nel guantone che grida l'unica frase che c'è in tutto il libro: I got it! Ce l'ho! ed è proprio in quello stesso istante che il suo bel gesto atletico si trasforma in un vero e proprio incubo - quello stesso genere di incubo notturno che sogni di correre e non ce la fai a muovere un passo. Qui se possibile è anche peggiore, perché lui inciampa in una radice perde una scarpa e finisce a terra e tutti i compagni di squadra lo guardano delusi. 
Ma qualcosa cambia: ora lo rivediamo in piedi, ancora più vicino all'atto di avere la palla nel guanto, forse ce la fa! No, ora alla radice si sostituisce un tronco di albero che gli ferma la corsa. Di nuovo un incubo. 


Ma ancora qualcosa cambia: la palla adesso è davvero a pochi centimetri dal cuoio, ma di nuovo il suo gesto per prenderla si trasforma nell'ennesimo incubo: la palla ora è gigante rispetto a lui. 
Ma di nuovo qualcosa è successo lui è di nuovo in piedi ed è lì per afferrarla quando un nuovo orrore gli si para davanti: tutta la sua squadra lo scavalca e lui è minuscolo rispetto a loro. 
Cerca di raggiungerli ma sono dei giganti, riesce ad attaccarsi ai loro vestiti e piano piano risale con dei salti all'altezza delle loro teste ed è proprio grazie a loro che anche nel suo peggiore sogno ad occhi aperti prende quella palla! 
Ed è proprio così che lo vediamo, in una immagine che sogno non è di certo: con la palla nel guanto e con i suoi compagni di gioco che esultano. Due tavole dopo, a fine libro, lo vediamo seduto con gli altri a riposarsi dopo la bella prova: è definitivamente in squadra e forse, d'ora in poi, anche un po' amico. 
La storia è semplice, ma è perfettamente doppia: da una parte c'è un racconto visivo della sua partita e dall'altro c'è la raffigurazione parimenti visiva di quello che è il suo stato d'animo, di tutto quello che è il portato della sua immaginazione in un momento di così forte tensione: la paura di non farcela, di deludere le aspettative di quelli che lo hanno chiamato in squadra. 
Tutto il peggio che potrebbe capitargli si para davanti a suoi occhi ma anche ai nostri. 


La coerenza millimetrica che caratterizza i libri di Wiesner (la sua volontà di trasmettere in modo non dichiarato un codice di lettura) qui ha una sua forma esatta, come sempre: la cornice delle tavole segna l'esperienza vissuta da questo ragazzino nella realtà, il suo incubo è disegnato, invece, al vivo. 
E ancora: la luce della realtà è quella di una giornata di sole su un campetto da baseball di una qualsiasi cittadina americana, la luce dell'incubo è quella sfumata che attenua anche i contorni e i colori. Lo sfondo della realtà è il cielo azzurro, lo sfondo del sogno è bianco (quel bianco della pagina che tanto lo intriga), ovvero non esiste, se non per il fatto che è occupato da tronchi e soprattutto da uccellini che lo attraversano volando con il merito di dare profondità a uno spazio virtuale, oltre che sostegno psicologico a uno stress vero, e nello stesso tempo essere capaci di attraversare l'immaginario per irrompere nella realtà, per attestare la permeabilità dei due stati e anche festeggiare con i ragazzini.
I got it! è la realizzazione concreta di quello che è uno dei temi portanti di tutta la poetica di Wiesner: la domanda che è sempre alla base di ogni suo lavoro: what if
Ancora una volta a lui spetta il merito di averlo saputo raccontare in assoluto silenzio, in modo che il libro abbia agio di entrare da sé nella testa del lettore, secondo un numero di possibilità pari a al numero di chi lo starà leggendo. 
La voce di Wiesner tace e lascia spazio a quella degli altri. In questo modo il ruolo del lettore è quello di stretto collaboratore dell'autore stesso. 
 I got it! è anche specchio di un'altra questione nodale che ha segnato l'inizio della carriera di Wiesner e che ancora oggi è per lui fondamentale: quella di raccontare storie e di farlo attraverso un mezzo espressivo particolare: l'immagine, molto più che non la parola. 
Per farlo, ne è molto consapevole, occorre che la storia sia così potente - ovvero coerente, logica e autoportante - da poter tenere sulle proprie spalle le divagazioni, vere e proprie finestre che si aprono sull'immaginario. La storia deve essere così convincente per il lettore che qualsiasi salto nell'immaginario le poi faccia, il lettore la seguirà!
Qui nella semplicità tutta diversa dalle complessità di libri come Flotsam, The three pigs, June 29 1999 è tutto molto chiaro ed evidente: Wiesner vuole raccontare un piccolo fatto: un ragazzino che ha voglia di farsi una partitella a baseball e magari fare anche amicizia. 


Su questa base costruisce il lato onirico, ovvero l'aspetto della narrazione che attiene all'immaginazione, e così, accanto alla partita vera e propria, disegna e dà forma anche lo stress di un incubo bello e buono. In libri come Tuesday che di fatto raccontano una storia semplice, ossia una notte brava, partono invece da un evento straordinario, che con assoluta logica e coerenza, attraversano la realtà, lasciando dietro di sé oltre alle foglie di ninfea, un perdurante senso di meraviglia. E noi rimaniamo come sempre senzaparole, Speachless!! 

Carla

Domenica 15 maggio dalle ore 10 presso la libreria Svoltastorie di Bari tutto il resto che so su David Wiesner.

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