ESTACIO FRAMANDI
Kite 2023
ILLUSTRATI PER GRANDI (dagli 11 anni)
Stazione della metropolitana, grande e centrale, all'ora di punta: il grande atrio è un viavai di persone diverse. Ognuno si dirige verso il proprio treno, la propria linea. Ognuno ha lo sguardo puntato sul proprio smartphone, compresi i bambini, e procede spedito e a testa china, senza prendere in considerazione gli altri.
Lo stesso accade lungo il binario in attesa del treno, e lo stesso accade nella vettura della linea 1, una volta saliti: compressi tra loro, seduti o in piedi, tutti continuano a 'spippolare' sul loro touchscreen. Nessun incrocio di sguardi, nessuna connessione reciproca. Su uno dei sedili, inspiegabilmente vuoto, è appoggiato un telefono portatile di molto tempo fa: grande pesante, con l'antenna, qualcosa che sembra più una ricetrasmittente che un cellulare.
Oggetto esotico, attira l'attenzione di un bimbetto in passeggino che, mollato il suo giochino elettronico, allunga la manina e lo afferra.
Nell'attimo in cui comincia a schiacciare i tasti a caso, inconsapevole di quello che potrebbe accadere, qualcosa per l'appunto accade: tutti gli smartphone dei viaggiatori vanno in tilt, perdono la connessione e così facendo mandano in crisi i loro proprietari.
In una sorta di blackout generale le loro complicate teste aliene, prismi poliedrici, occhi tentacolari e multipli, si smontano e tutte le singole componenti fluttuano per un tempo, mescolandosi le une con le altre, nel disorientamento generale.
Ma dura ben poco. Tutto torna magicamente a ricomporsi: dalle teste alle connessioni.
Il telefono portatile di altri tempi è di nuovo lì sul sedile. Abbandonato.
In un libro di sole immagini, quando sono le parole a trasformarsi in figura: la rete delle stazioni della metro, le targhe della stazione, i manifesti pubblicitari, il display sulla prima vettura della linea 1, l'epigrafe in latino lungo la cornice dell'arco Itineribus prefecti recapitulare populis, si può essere abbastanza sicuri che sono lì come le mollichine di Hansel, qualcosa di utile che segni o riconfermi il lettore di essere sulla giusta strada.
In Altroquando - nell'edizione originale di Alboroto, Messico, La Nacionalien per ribadire con un buon gioco di parole di che si parla - si assiste a un continuo rimando, una sorta di eco che allo straniamento manda e rimanda e ancora rimanda.
Bello e divertente nel suo essere vario.
Pieno di possibili espansioni da mettere in condivisione con altri lettori e lettrici.
Lingue coinvolte, dal danese di Fremmed al bengali di Bicchinna, dall'islandese di framandi al nostrano... strano. Le pubblicità che alludono a vacanze tropicanu, con le k al contrario. L'insegna ripresa da quella della metro di Madrid, ma leggermente diversa nella dicitura.
Insomma quello che Sandro Bassi fa per tutto il libro è disorientare lo sguardo e la testa per poi far convergere di nuovo tutto in un pensiero che però, a fine corsa, appare più complesso che alla partenza.
Per ottenere ciò, accanto a una variegata scelta di parole dal mondo, affianca un altrettanto estroso catalogo di teste aliene che colloca su personaggi del tutto comuni: ragazzotti in jeans e felpe, impiegati in abito scuro, signore uscite a fare shopping, e donne con le buste della spesa, gente con la valigia, con lo zaino, con la sciarpa, il cappello di lana o il giubbotto, mamme grintose di bambini curiosi.
Un vero e proprio repertorio di realtà umana - scenario quotidiano riconoscibile come tale anche nei gesti e negli atteggiamenti e nelle posture - cui Bassi conferisce teste che attingono all'immaginario più variegato dell'iconografia aliena. Nulla di mostruoso, ma pur sempre molto diverso dalla fisionomia di E.T., così tanto vicino a un cucciolo con i suoi grandi occhi azzurri.
Qui invece c'è tanta geometria solida, che torna utile nella fase di scomposizione, parecchi tentacoli e bitorzoli e forme tondeggianti, dal fiore di zucchina/finocchio alla mina navale, ma nulla di spaventoso.
Beh, sarebbe bello ricostruirne le radici. Comunque sia, stanno lì a dimostrare una molteplicità.
A parte la grande questione che questo albo mette nero su bianco e di cui tanti hanno già scritto, sembrerebbe interessante andare a leggere nelle pieghe di tutto questo corredo visibile in secondo piano e ragionarci un po' su.
È un caso che il deus-ex-machina sia un bambino?
È un caso che il granello che inceppa il passo generale segni l'origine di tutta quella tecnologia che teniamo in tasca e che ci scandisce la vita?
È un caso che durante la scomposizione delle teste aliene i singoli elementi si toccano ma non si legano tra loro e tornano nel loro assetto originale, senza nessun margine di ibridazione?
E ancora: è un caso che la lingua parlata da Bassi al suo primo albo - che sembra non essere la sua consueta di artista amante del colore - alluda per contesto, per stile e voce, proprio a quella di Selznick? Perché cerca questo legame?
E di conseguenza, verrebbe da chiedersi, tutti presi dalla grande questione, come mai siano solo in pochi a notare la scelta, ancora fin troppo controcorrente, di concepire un libro illustrato senza parole (si è ben dimostrato che non è poi così vero) anche e soprattutto per lettori già più robusti?
E ancora e ancora: perché non abboccare, per espandere il pensiero, ai mille ami che Bassi nasconde sullo sfondo di una storia che se fosse solo quella dell'alienante iperconnessione h24, sarebbe fin troppo chiara e al limite della didascalia?
In conclusione, la comprensione di un buon albo illustrato, e Altroquando lo è per certo, visto che di cose ne dice un bel po', merita una lettura che tenga conto di tutto quello che c'è sulla pagina, una lettura che sia capace di andare in molte direzioni, compresa quella tortuosa verso la complessità.
Solo così, mi pare, si arriva al giusto riconoscimento.
Carla
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