BINOMI FELICI
Il Barbagianni 2023
NARRATIVA PER GRANDI (dai 10 anni)
"Strider sembra contento quando rido. Qualche volta penso che il mio miglior amico sia Strider, non Barry. Sarò contento di rivedere Barry ma mi dispiacerà di... beh, non si può avere tutto.
Metà di un cane è meglio di niente, come si dice.
Strider ha una nuova abitudine. Quando ci fermiamo, mi mette una zampa su un piede. Non è un caso perché lo fa tutte le volte. Mi piace pensare che non voglia lasciarmi andare."
Seduto sulla spiaggia e fermamente deciso a non muoversi di lì, salvo poi convincersi con un salsicciotto e una bella corsa di due ragazzini, Strider è un bel randagio che cammina a passo veloce, grandi falcate, da cui il nome che si guadagna su strada. I due ragazzini, Barry e Leigh, io narrante, sono amici. Alcune cose li distinguono altre li accomunano: hanno entrambi genitori separati. Barry vive con suo padre, le sue numerose e rumorose sorelline e la nuova moglie del padre. Un mese all'anno lo passa invece con sua madre in un posto che lui non ha difficoltà a definire Los Chifo. Leigh, invece, vive con sua madre, perché suo padre fa il camionista e non ha una casa vera e propria, se non la cabina del suo camion. Di rado si vedono, e quando accade non va sempre bene: ci sono silenzi, malinconia e rimpianto. Barry è sempre circondato da tanta gente e la sua è una casa spaziosa, Leigh è spesso da solo perché sua madre deve lavorare molto per riuscire a pagare tutto e vive in quella che lui non ha difficoltà a definire baracca.
Alla vigilia dell'estate, in una delle loro passeggiate al mare, incontrano questo cane. Solo. Impossibile solo pensare di lasciarlo lì, quindi i due decidono di tenerlo con loro, ovvero applicano quello stesso principio che tiene insieme le loro famiglie: l'affido condiviso.
Un cane, un po' per uno.
Questo è un pezzetto della loro storia a tre. Dei cambiamenti che la attraversano, tra un'estate e una nuova scuola. Tra allontanamenti, tra paura e coraggio, tra nuove amicizie e vecchie sicurezze. Con in vista, finalmente, un po' di tranquillità. E molto correre.
Lo avevamo lasciato che aveva una dozzina d'anni e lo ritroviamo a 14. Sulla soglia delle superiori. Continua a non digerire la sua situazione familiare, ma adesso ha decisamente più frecce al suo arco per imparare a conviverci. E soprattutto, complice un'ispezione sotto il suo letto, richiesta espressamente dalla madre che vorrebbe vedere la camera di Leigh un po' più in ordine, riemerge il suo vecchio diario, che riaccende in lui il desiderio di continuare a raccontarsi, nero su bianco.
La indiscussa piacevolezza nel leggere le storie di questo ragazzino californiano, dipende da tre fattori, principalmente.
Una, la scrittura che, forse anche complice la traduzione di Mattiangeli, scorre che è una bellezza.
La seconda, invece, dipende dall'angolo visuale. Ossia va riconosciuto a Beverly Cleary una capacità evidente nel saper raccontare senza incursioni troppo adulte il mondo dei ragazzini. Merito che le viene riconosciuto dalla critica, che con Caro Mr. Henshaw l'ha premiata con la Newbery Medal. È indubbio il suo talento nel raccontare un undicenne alle prese con una serie di guai - quali la separazione dei genitori, il trasferimento, una scuola del tutto nuova e quindi piena di sconosciuti - nonostante non si possano considerarle come questioni nuove per la letteratura per ragazzi. Insomma, pur non montando un contesto e dei personaggi particolarmente originali, ciò nonostante riesce a dare loro la giusta profondità e complessità e non essere mai troppo didascalica.
La forma del diario le permette di 'sdoganare' il lato riflessivo di tutto il percorso e così risultano autentici i malumori di questo ragazzino, le sue paure, e altrettanto credibili sono gli adulti che lo circondano, con le loro fragilità o necessarie durezze.
Come già in Caro Mr. Henshaw, anche qui a interrompere la quotidianità di Leigh, tra la scuola e un unico amico, tra le assenze del padre, e quelle della madre per motivi tra loro molto diversi, anche qui arriva un granello di sabbia che lo fa deviare dalla sua routine.
E qui subentra il terzo elemento di interesse di Strider. Che è proprio Strider, ossia questo randagio che ha il pregio di riempire i vuoti che caratterizzano le giornate di Leigh. Ma non solo.
Come spesso succede, cani e ragazzini sono binomi felici e costruttivi.
E anche questa storia sembra dimostrarlo.
Un po' per esperienza, un po' per teoria, mi sentirei di dire con una certa sicurezza che far crescere sotto lo stesso tetto dei ragazzini e dei cani (i gatti hanno altri pregi, ma non sono adatti allo scopo) è cosa buona e giusta. In estrema sintesi, credo dipenda dal fatto che da entrambe le parti ci si riconosca - al di là di ogni apparente differenza - come simili. Appartenenti entrambi a una sfera primigenia, a una stessa foresta originaria.
Quindi l'intuizione della Cleary di mettere insieme cani e ragazzini è buona. Diventa addirittura ottima, dal punto di vista del plot e non solo, il fatto di metterne due e uno, ossia di creare in innesco naturale alla competizione, tra due amici e un unico cane. Con tutte le relative prove d'affetto del caso.
E puntualmente, accade. E altrettanto puntualmente mette in moto una serie di interessanti riflessioni su ciascuno di loro, dandogli la possibilità di esprimere la complessità che li tiene insieme o li divide.
E ancora, il cane Strider, come succede nella vita vera, con la sua semplice presenza mette in moto una serie di altre relazioni umane che altrimenti sarebbero rimaste sopite (quante sono le amicizie fatte al parco con il proprio cane?) e con la sua semplice presenza spinge verso piccole e grandi prove di coraggio, dall'indossare proprio quella camicia all'entrare nella squadra di atletica, dall'affrontare la padrona di casa all'invitare a un primo appuntamento quella ragazzina per raccogliere insieme le erbacce nel quartiere. Il coraggio, se si è in due viene fuori, e ancor di più se si percepisce forte e chiara la piacevole responsabilità verso l'altro da sé.
E se poi questo "altro" è peloso e ha quattro zampe e una coda mozza, ancora meglio.
Carla
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