Il Natale sono io!, Olivier Tallec (trad. Tommaso Gurrieri)
Edizioni Clichy 2024
ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)
"Abele l'abete pensa che non vorrebbe crescere qui, all'ombra di centinaia di alberi sinistri, che lo terrorizzano.
Ha ambizioni un po' diverse dal diventare un armadio.
E tra l'altro non gli piacciono quei mobili commerciali, costruiti in serie.
Lui sogna luci e colori. Se solo potesse sentire i suoi rami piegarsi sotto il peso degli addobbi e avere un'enorme stella in cima alla testa...
Perché Abele ha un unico sogno: diventare un albero di Natale."
Parafrasando il motto di Luigi XIV, l'etat c'est moi (!), questo piccolo abete, di nome Abele (!) cerca di dare una svolta alla sua carriera di albero: di certo non ha le fisique du role e nemmeno la predisposizione d'animo per diventare un mobile componibile Ikea. Non è neppure credibile che voglia finire come fiammifero, o peggio ancora come bara...
Abele sogna altro. Già si vede con lucine, decorazioni laccate, una stella sulla testa e nastri colorati che pendono dai suoi rametti, essere il centro dell'attenzione durante la festa più importante dell'anno, almeno nel mondo occidentale...
Questo suo progetto cozza con la circostanza di essere piantato in un terreno in mezzo a tanti altri abeti come lui. Spostarsi potrebbe sembrare un problema oggettivo, visto che lui è albero, ma in verità con un buon lavoro di scavo delle proprie giovani radici con i rami più lunghi e più bassi, anche quel vincolo si supera.
Il problema, semmai, viene dopo, quando il natale gli sfreccia letteralmente sotto gli aghi...
Ho giurato a me stessa che non avrei scritto una riga su libri esplicitamente natalizi prima dell'arrivo di dicembre.
Lo considero immorale.
Questo albo che dell'intero circo natalizio mette a fuoco un solo aspetto, il desiderio di un abete sognatore, è un altro di quei preziosi racconti che Tallec offre ai suoi numerosi e affezionati estimatori.
A parte lo sguardo affettuoso che dimostra nei confronti dell'abete Abele (!), a parte la qualità del disegno,Tallec fa succedere un altro paio di cose interessanti, anzi tre: da una parte piega la realtà a suo uso e consumo, dall'altro mette fra le righe un suo preciso punto di vista sul natale e sul modo frettoloso e meccanico in cui lo celebriamo, ma accende anche una lucina sulla questione dell'autodeterminazione (di un abete). Cose, queste che mi paiono interessanti a prescindere.
Terza cosa: Tallec, come molti altri buoni autori di storie per bambini, non disdegna affatto il piacere di rivolgersi anche ai grandi, quando scrive e disegna.
Qui come altrove si percepisce la sua volontà di parlare (complice anche il suo sapido traduttore), sia ai suoi lettori sotto il metro e quaranta sia a quelli sopra detta misura.
Credo dipenda dal fatto che Tallec, come molti altri, quando scrive, scrive. Punto. Non pensando troppo ossessivamente all'età dei propri lettori.
Torniamo al punto uno: piegare la realtà verso l'assurdo. A parte il gioco di dare a ciascun abete naso e occhi - l'antropomorfizzazione è cosa diffusa nelle illustrazioni dei libri per bambini - Tallec fa un passetto in più.
Concede ad Abele un know-how non comune per un abete: quello di sradicarsi, come se nulla fosse. L'idea di crescere in mezzo ai suoi simili già adulti, con un futuro prestabilito, proprio non gli piace, quindi Tallec gli affida il superpotere di sradicarsi e di camminare, e poi di correre verso il suo nuovo destino. Perché questa è un po' la questione che attraversa l'intero racconto... In questo scarto totalmente assurdo però non perde l'occasione di disegnare le cose come "dovrebbero essere", ovvero se si osservano le gambette di Abele si noterà un certo irsutismo, dato dalle piccole radicette, ora all'aria.
Tacerò sulla pallina rossa, e il suo ruolo di oggetto transizionale.
Il secondo pregio del libro sta appunto nelle due questioni intorno a cui il racconto ruota. La prima ragiona sulle aspettative personali. In questo caso, contrariamente all'abete di Andersen, Abele riesce nel suo obiettivo, con la complicità del suo illustratore, tuttavia la cosa che gli preme è poter scegliere di non crescere come un pollo di batteria, ma godersi il suo momento di unicità e celebrità.
A onor del vero, con l'abete di Andersen condivide anche un certo senso di insoddisfazione.
L'abete di Tallec, nello specifico, è molto deluso nei confronti del tanto decantato natale.
Tanto rumore per nulla!
Tuttavia, rispetto al suo più famoso predecessore, il finale che lo aspetta è molto meno lacrimevole.
A meno che non si tratti di lacrime dal troppo ridere.
Carla
Nessun commento:
Posta un commento