UN'ARCHITETTURA LEGGERA
Shaun Tan (trad. Omar Martini)
Tunué 2024
NARRATIVA ILLUSTRATA
"I DUE VIANDANTI
Le montagne e le vallate non si incontrano mai, mentre le persone lo fanno spesso, soprattutto quelle buone e quelle cattive. Così accadde che le strada di un calzolaio e di un sarto si incrociassero durante i loro viaggi. Il sarto era un uomo bello e piccolo, sempre allegro e di buon umore. Quando vide il calzolaio arrivare dall'altra direzione, capì dai suoi attrezzi quale fosse il suo mestiere e decise di cantare una breve filastrocca per prenderlo in giro. Però il calzolaio non sapeva stare agli scherzi e fece una faccia accigliata come se avesse appena bevuto dell'aceto. Di sicuro sembrava che volesse afferrare il piccolo sarto per la collottola."
Per sapere come quei due andarono avanti insieme, dovete leggervi l'intera fiaba. Ma preparatevi, non sarà una passeggiata...
Questo libro è fatto di settantacinque frammenti di settantacinque fiabe dei Grimm. Alcune molto conosciute, altre - come questa - molto meno.
Per ciascuna di loro, Shaun Tan ha realizzato come "illustrazione" un vero e proprio piccolo set teatrale in cui una piccola scultura viene fotografata, con tanto di fondali e luci di scena.
Va precisato che l'immagine, ossia la fotografia della scultura, si riferisce solo alle poche righe prescelte in testi molto più lunghi e complessi, pieni di magie, trabocchetti, trasformazioni. Insomma quello che di solito è nelle fiabe.
Il libro ha una genesi lontana.
Nasce in Gran Bretagna con sole 50 fiabe riscritte da Philip Pullmann, in occasione del bicentenario della prima pubblicazioni delle Fiabe del focolare. Poi l'anno successivo in Germania, Aladin decide di comprare i diritti e viene chiesto a Shaun Tan di illustrarle tutte e cinquanta. E lui decide di costruire per ognuna di esse una scultura.
Anna Patrucco Becchi le intercetta e ne scrive.
Ma la cosa non si ferma all'edizione di Aladin.
E per di più a Shaun Tan due vincoli stanno stretti in quel 2011, anno in cui realizza le sculture per il libro Grimms Märchen del 2013. Il fatto che il libro sia solo in lingua tedesca e che le sculture siano solo cinquanta. Quindi dal 2011 al 2013 ne realizza altre venticinque e decide per un'altra strategia narrativa, che gli corrisponde di più: non riscrive le fiabe prescelte, sa di non essere Gaiman o Pullmann, ma lavora per sottrazione, ossia inventa come al solito un'architettura leggera: ne tira fuori solo le parti che in qualche modo corrispondono alla sua illustrazione. O forse si potrebbe dire meglio: ne estrae solo quella parte, capace di rappresentare la fiaba per intero, e che per questo diventa per lui spunto ideale per creare l'immagine.
Quel che ne nasce è un libro possibilmente ancora più interessante.
Non solo perché le fiabe adesso sono settantacinque, e quindi anche le magnifiche sculture di corredo, ma perché in quel silenzio che si avvolge intorno alle due o tre frasi di ciascuna si nasconde un intero mondo da esplorare.
La cosa che succede è che la fiaba non c'è, ma c'è la sua evocazione.
E non a caso è lo stesso Shaun Tan che suggerisce ai suoi lettori di accettare la sfida e usare quelle poche parole come spunto di partenza per la creazione di un proprio racconto.
Un gioco non troppo dissimile da quello che fece Chris Van Allsburgh con Le cronache di Harris Burdick, altro libro - capolavoro, al pari di questo.
La magnanimità dell'editore australiano che lo ha pubblicato nel 2015 è stata quella di mettere in coda al libro settantacinque brevi sinossi che non superano mai le dieci righe.
Inoltre Allen and Unwin concorda sulla scelta di prendere in squadra Neil Gaiman e Jack Zipes, nel frattempo diventati grandi amici di Shaun Tan. Loro costituiscono in questo libro le due sostruzioni imprescindibili quanto solide, che hanno permesso a Shaun Tan di avventurarsi in un terreno tutto sommato, inesplorato, e di poterlo fare con la sua consueta semplicità e profondità.
Non va sottovalutato il fatto che lui, da australiano, era obiettivamente un po' lontano dall'orbita europea dei Grimm. Cenerentola o Raperonzolo lui, all'epoca, le ha conosciute solo attraverso le trasposizioni cinematografiche disneyane.
Così è successo che Zipes si è preso l'incarico di fare luce sulla vicenda letteraria dei due fratelli e della loro raccolta - credo di non sbagliare dicendo che è il massimo esperto vivente dei Grimm; Gaiman invece - che è nello stesso tempo uno dei massimi scrittori viventi - si è assunto il compito di riflettere sul senso che la tradizione del racconto popolare o della fiaba abbia in una prospettiva antropologica. Nel mettere in fila una serie di incontrovertibili fatti, dà senso al grandissimo lavoro di Shaun Tan. Ne nota la capacità di essere nel contempo straniante e accogliente, di essere parsimonioso di parole e anche di forme. Un po' come succede nelle fiabe stesse: pochi tratti per definire i protagonisti. Di fatto sono i dettagli a dare spessore.
Per essere chiari:
Il sarto era un uomo bello e piccolo, sempre allegro e di buon umore [...]
Però il calzolaio non sapeva stare agli scherzi e fece una faccia accigliata come se avesse appena bevuto dell'aceto.
Ad evidenza realizza con una curva l'incedere e con un'altra curva le due opposte espressioni.
Ecco fatto!
Giustamente, a tal proposito, Gaiman nota il valore primordiale che hanno i testi delle fiabe e quindi sa perfettamente che ogni raffigurazione delle stesse porta con sé anche il suo limite.
Per questo, di Shaun Tan apprezza la capacità di togliere, riassumere, di sintetizzare in un gesto, in un dettaglio il senso ultimo del tutto.
A tal proposito, suggerirei di guardare il lavoro fatto da Negrin quando ha illustrato le molte fiabe, da quelle siciliane a quelle danesi, per Donzelli. Delle poche prescelte, ha sempre tirato fuori una suggestione e non una descrizione di personaggi o fatti. Anche lui ha scelto la strada di evocare lo spirito dell'intera fiaba e non altro.
Ma torniamo a Gaiman. Di queste singole immagini lo affascina la qualità tattile, nonostante la loro bidimensionalità.
Il desiderio che lui esprime - e che tutti provano nello sfogliare il libro - è quello di poterle tenere in mano, toccare.
Ed è forse questa il filo comune che tiene insieme queste magnifiche settantacinque perle.
Due cose sono a mio parere importanti da sapere.
La prima: Shaun Tan finalmente si riconnette con la sua infanzia appassionata per la scultura (molto più che per il disegno o la pittura...). Tornano a galla i suoi ricordi di bambino levigatore di pietre, con l'intento di riuscire a cogliere una figura all'interno di una forma già data, quella della pietra che ha in mano.
Quasta condizione gli ha insegnato a lavorare sulla semplicità, sul profilo evocativo.
La seconda cosa ha a che fare con la scultura precolombiana e con quella inuit, che nei suoi viaggi ha avuto modo di conoscere e apprezzare.
Il fatto che indubitabilmente le due tradizioni si assomiglino nonostante la distanza è per Shaun Tan motivo di riflessione: l'arte dei primordi condivide qualcosa con le fiabe, che sono quanto di più diffuso al mondo ci sia. In fondo l'arte primitiva e le fiabe sono espressione di un archetipo.
Il loro essere straordinariamente semplici e allo stesso tempo molto evocative, ha fatto il resto, nel ragionamento di Tan.
E il risultato è questo libro pazzesco.
Carla
Noterella al margine. Va da sé che Shaun Tan nel 2015 ha messo in mostra a Melbourne le sue sculture. Ma siccome l'allestimento non è stato affatto semplice all'epoca, adesso è semplicemente impossibile riproporlo.
Sculture a tutto tondo, non più alte di 40 cm, realizzate con materiali diversi: carta, argilla, vernice, cera, zucchero, sabbia, spago, fil di ferro, ramoscelli, fiori, bacche, tessuto, chiodi, legno, decorazioni da dolci...
Quindi chi le ha viste allora, sappia di aver vissuto una esperienza irripetibile. Accidenti!
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