Stare, andare, essere, cambiare. Ritornare.
Paradigmi dell’esistenza che si pongono solo apparentemente agli antipodi.
La semplificazione conduce sempre a ragionare in modo binario, la divisione permette la differenziazione e una più rapida ed immediata individuazione delle caratteristiche. Questo non conduce però necessariamente a una comprensione approfondita.
La scienza si è sempre mossa secondo assi, in alcuni casi verticali, in altri orizzontali, generando una ricchezza di nozioni che si sono sommate alle precedenti elaborate sulla base di un criterio stabilito.
Che cosa succede però quando le ragioni con cui abitualmente giudichiamo un essere vivente, o un organismo in generale, vengono sbaragliate, quando cioè non ci avviciniamo al nostro oggetto di osservazione giudicandolo secondo le consuete classificazioni, ma cercando qualcosa che possa accomunarlo agli altri, anziché differenziarlo?
Per accogliere una lettura di questo tipo occorre che ci si muova non più su uno spazio, ma sul tempo. Non ragionando più, o meglio non esclusivamente, su quello che può essere descritto in modo definitivo, ma su quanto ha ragione d’essere in relazione a un prima e a un dopo.
Così la classificazione per specie non costituisce più il punto di partenza e quello dell’habitat è solo un aspetto che ci consente di comprendere meglio ciò che la natura è in grado tutte le volte di inventare; il sapere comune attribuisce alla scienza una grande capacità di osservazione, calcolo e deduzione, raramente di invenzione.
Eppure la bibliografia in materia di scienziati e storia della scienza degli ultimi anni ci ha abituato a considerare come elemento essenziale per il lavoro di uno scienziato la sua capacità di immaginare. Se ci limitiamo a ipotizzare soluzioni unicamente logiche, a scegliere cioè solo quello che conferma il paradigma appreso in quell’ambito di indagine, probabilmente non andremmo molto lontano. Solo ammettendo che le soluzioni possono essere di gran lunga più estroverse possiamo riconoscere come plausibile ciò che apparentemente non lo è. E questo è un grandissimo esercizio di pensiero, perché spinge ad elaborare ipotesi al di fuori di un orizzonte esclusivamente umano.
Se prendiamo ad esempio le età di alcune specie, ci rendiamo conto che quella che noi giudichiamo una fase iniziale della vita, accostabile all’infanzia, in alcuni casi può avere una durata di gran lunga superiore a quella della così detta età adulta. E dunque lo stesso valore attribuito ai concetti di infanzia e maturità sarà messo in discussione, vista la notevole differenza di durata rispetto a quello che accade nella specie umana. Vale allora per tutti riconoscere nella prima fase della vita una crescita progressiva e una preparazione al completamento della fase conclusiva?
La scelta del titolo credo non sia casuale: cambiare, e non per esempio cambiamenti o trasformazioni. Il verbo all’infinito potrebbe essere anche un invito rivolto a tutti i lettori e quindi contenere già in partenza una connotazione di valore, una sorta di let’s change! Quante possono essere le ragioni per cui si cambia? il libro le esplora tutte indicandoci per ognuna il nome scientifico preciso e soprattutto ragionando e mostrando come questa adottata sia una soluzione alla quale le specie sono pervenute dopo secoli di evoluzione. In pratica nessuna di queste rappresenta l’unica possibile, o quello che potremmo dire la migliore in assoluto, ma quella che ha consentito la sopravvivenza in un contesto naturale particolare. E soprattutto nessuna di queste appartiene in esclusiva a una specie, ma possiamo rintracciarla in tante e scoprire come ogni volta sia stata adeguata a una necessità differente.
D’altro canto Darwin ci ha insegnato che non è l’individuo più forte che sopravvive, bensì quello che meglio degli altri è in grado di adattarsi. L’evoluzione è ancora sotto i nostri occhi e appartiene ad ogni specie, compresa la nostra! L’illusione dell’uomo probabilmente è tutta nella presunzione della scelta e nella convinzione che quella compiuta sia la migliore possibile.
Ciò che questo libro racconta e dimostra invece è che ogni cambiamento ha un costo e che il lungo tempo impiegato da ogni specie per metter a punto questo processo è servito in gran parte anche a renderlo più tollerabile.
I cambiamenti sono di forma, di dimensione, di colore, di sesso, di luogo. La migrazione fa parte di questa casistica perché gli ambienti per primi sono soggetti a cambiamento e chi li abita deve adeguarsi, attrezzarsi, in alcuni casi spostarsi.
A corredo di questi contenuti ci sono gli agili e quasi guizzanti disegni di Francesca Ballarini che bene si adattano ad illustrare proprio quello che non può restare fermo e immobile. Le sue tavole, che pure restituiscono una rappresentazione senza dubbio realistica, rivelano un certo gusto per il “non finito”, come schizzi veloci di una mano che non può indugiare a lungo sul soggetto.
Sebbene l’uomo sia incluso tra le specie animali e sia stato ovviamente oggetto di evoluzioni e cambiamenti morfologici e funzionali, a lui il libro dedica le ultime pagine attribuendogli un tipo di mutazione differente da tutte le altre: quella culturale. Quella sola che consente di fatto di simulare, riprodurre, riformulare tutte le altre, di compiere quegli atti cioè che appartengono all’arte, alle religioni, alla scienza e non meno al gioco.
Teodosia
Cambiare. Trasformismi, metamorfosi, migrazioni nel regno animale di Federica Buglioni, illustrazioni di Francesca Ballarini, Topipittori 2025
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