“La finestra dava sulla baia. La pioggia aveva ripreso a cadere sul mare come un enorme sipario spumeggiante. Una palma in vaso spingeva con tutte le sue forze contro il vento, in direzione della luce fioca (…).
Le palme... La California... Il sipario si strappò e la scena, stranamente, si capovolse... si illuminò. Tutto a un tratto. La finestra chiusa su quella grigia baia scozzese parve schiarirsi, ingrandirsi, aprirsi... E contro il paesaggio bianco di pioggia attraversato dai gabbiani, proiettò all’improvviso il ricordo dei miei 16 anni in Technicolor e su grande schermo”.
Ed è già cinema! Possiamo accomodarci e goderci la magia.
“Il ragazzo che sapeva troppo” è la storia di un film di fantasmi che diventa a sua volta un film fantasma: appare, poi scompare e infine riappare. Una storia circolare, rotonda come la bobina di un film di altri tempi. E Malika Ferdjoukh intreccia diversi dati di realtà per ospitare una storia di finzione.
I dati di realtà: Alfred Hitchcock all’età di 20 anni aveva assistito a una rappresentazione teatrale dal titolo Mary Rose, scritta da J. M. Barrie (l’autore di Peter Pan). Ne rimane profondamente colpito e negli anni successivi proverà a farne un film, che però non convincerà la produzione e dunque non sarà mai realizzato. Il testo teatrale che incantò il giovane Hitchcock, in estrema sintesi, racconta di una giovane donna, Mary Rose, che recatasi su un’isola scozzese scompare per poi riapparire di tanto in tanto in forma di un fantasma che la blocca all’età e al tempo della sua scomparsa. Quando dopo molti anni il figlio Henry ormai adulto si recherà sull’isola cercando le tracce della sua infanzia, incontrerà il fantasma di sua madre.
La finzione: Henry -che ora è il nome del protagonista della nostra storia- è un uomo che ha superato la sessantina e si sta recando con sua moglie su un’isola della Scozia (traghettato da un pescatore che si chiama Cameron, come il pescatore che traghetta Mary Rose sull’isola nel testo teatrale... e così comincia il valzer delle citazioni). Ha ricevuto un invito da una donna di cui al momento non sappiamo nulla. Mentre attende di essere ricevuto il suo sguardo intercetta quella palma: una visione che strappa il sipario (Il sipario strappato, Hitchcock, 1966) trasportando Henry e noi lettori in un lungo flashback che ci riporta a 50 anni prima.
Ora siamo a Parigi negli anni ‘60. Henry e suo padre condividono una profonda passione per il cinema, i due entrano ed escono in continuazione dalle sale che proiettano il grande cinema. Conoscono a memoria scene, trame, nomi dei divi, rivedono ripetutamente i film che amano. Per un caso assolutamente fortuito (e anche molto divertente) padre e figlio si trasferiscono da Parigi a Los Angeles e, per un caso ancora più fortuito, si ritrovano a lavorare a Hollywood, su un set segretissimo dove il grande Hitchcock sta girando, appunto, la storia di Mary Rose. Henry non poteva chiedere di più: di giorno si gode i fasti della California dei divi e di notte (poiché il film è top secret) sgrana gli occhi per lo stupore di vedere all’opera il grande regista. Ma la passione del giovane Henry per il cinema (ma anche un po’ il suo segreto innamoramento per Veronica, l’attrice che sul set interpreta Mary Rose) lo metterà presto in un brutto guaio e diventerà, suo malgrado, artefice della sparizione della pellicola.
La trama si fa sempre più rocambolesca, con personaggi che vengono via via disegnati con una inesorabile sequenza di dettagli che lentamente andranno a definirli a tutto tondo.
Un’avventura che segnerà la vita del giovane protagonista e che, nell’ultimo capitolo, lo porterà in quella casa su quell’isola scozzese dove ogni cosa ritroverà il suo posto.
Intrighi amorosi, furti, suspense, dialoghi serrati e ironici e soprattutto un inseguimento à bout de souffle (giusto per rimanere nel grande cinema di quegli anni) costruiscono una trama davvero degna di un film di Hitchcock.
In effetti è proprio Alfred Hitchcock il vero signore della storia e si ha l’impressione che Ferdjoukh abbia voluto costruire un racconto che è il risultato di un puzzle di pezzi hitchcockiani, una trama che, come si è detto, si insinua tra diversi dati di realtà. Ogni capitolo porta il nome (o il riferimento) a uno dei titoli del grande regista inglese e non c’è pagina in cui non si possa trovare, in maniera più o meno esplicita, un riferimento a lui, ai suoi collaboratori, alle trame e ai personaggi dei suoi film (compresi i corvi neri!). Nella storia trovano posto: Lina Lamont, il personaggio coprotagonista in Singing in the rain; la governante Madame Homolka, che porta il nome dell’attore Oscar Homolka che recitò in Sabotaggio; la costumista Edith Head, che lavorò con molti dei più grandi registi dell’epoca e per moltissime delle pellicole di Hitchcock portandosi a casa ben otto oscar; incontriamo anche Fred Astaire che scommette all’ippodromo e, sull’etichetta della bobina trafugata, troviamo il nome di Peggy Robertson che fu assistente alla produzione di Hitchcock per una trentina d’anni e che recitò per tre dei suoi film più noti. E chi avesse visto e rivisto i film del regista inglese di recente o ne serbasse una limpida memoria, potrà trovare innumerevoli richiami a singole scene e ai diversi personaggi dei suoi film.
Sono tantissimi i riferimenti al mondo hitchcockiano tanto che questo romanzo potrebbe essere utilizzato per una caccia la tesoro. Sicuramente fa venir voglia di rivedersi tutte le pellicole di quel gran genio.
E a parte Hitchcock?
A parte Hitchcock è la storia di un ragazzo che cresce dentro una grande passione. Una passione che lo aiuta a crescere. In questo senso possiamo dire che è un romanzo di formazione. Ma soprattutto è una dichiarazione d’amore al cinema e a chi, grazie al cinema, immagina e cresce.
Piacevolissimo da leggere, potrà essere proposto a partire dai 14 anni e ai fans di ogni età delle pellicole del grande Alfred.
Patrizia
“Il ragazzo che sapeva troppo”, Malika Ferdjoukh, trad. di Chiara Carminati, Pension Lepic 2025
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