Adelmo che voleva essere Settimo, Daniele Mencarelli
Mondadori 2025
NARRATIVA PER MEDI (dai 9 anni)
"Adelmo vorrebbe correre coi fratelli, ma il fiatone gli spezza il respiro, ha le gambe troppo corte per andare allo stesso passo degli altri, è uno scricciolo di bambino, perso dentro pantaloni tanto più grandi della sua taglia. Quei pantaloni hanno camminato assieme alle gambe di tutti e sette i fratelli, da Primo a lui. Consumati e rattoppati, allungati e poi riaccorciati, ne avrebbero di corse e di avventure da raccontare!
Col mento che trema per il pianto trattenuto a fatica, con passo da soldatino arrabbiato, Adelmo rientra in casa.
'Sempre la stessa storia'."
La storia è questa: Settimo figlio di Evelina ed Ernesto, il piccolo Adelmo viene sempre lasciato indietro dai suoi fratelli: Primo, Secondo, Terzo, Quarto, Quinto e Sesto. Ogni due anni un figlio e solo all'ultimo Evelina decide di dare un nome che è un nome più che un numero al neonato. Forse è questo che lo rende diverso agli occhi dei suoi fratelli che come possono lo prendono in giro, lo lasciano solo e lo accusano di essere il cocco di mamma, perché è quello che ha bisogno di più cure degli altri.
Nella casa di Ernesto, valente muratore, e di Evelina, valente madre e massaia, non si naviga certo nell'oro, ma anche di fronte a qualche digiuno i due genitori sono bravi a non far mai perdere il buon umore a quella masnada di ragazzini. E anche quando la crisi si diffonde nel Regno della Pianura Piccola dove loro abitano, Ernesto riesce a stare a galla onorevolmente con il suo mestiere. A tal punto da potersi permettere qualche anno di scuola per il piccolo Adelmo.
La morte improvvisa di Ernesto, però, cambia tutto. Una morte sul lavoro.
I sei figli partono per cercare, ognuno, il proprio posto nel mondo e a casa restano solo Evelina, consumata dal dolore e dagli anni, e il giovane Adelmo che, oltre a prendersi cura della madre, lavora in campagna dal sor Fiorenzo, si prende cura dei suoi animali.
Questa è la sua storia, la storia del suo viaggio alla ricerca dei sei fratelli da riportare a casa, perché la vecchia Evelina non vorrebbe proprio dover morire senza riabbracciarli tutti almeno un'ultima volta...
Ma è anche la storia di Adelmo che parte ragazzo e torna uomo.
Ma è anche e ancora la storia di uno che combatte contro la solitudine e la sconfigge!
Tutti, ma proprio tutti, parlano di questo libro di Daniele Mencarelli come del suo esordio nel panorama dell'editoria per ragazzi.
Le cose non stanno esattamente così.
Più o meno un anno fa, a Natale, usciva il primo testo di Daniele Mencarelli per ragazzi: C'era questa donna. Un testo breve, illustrato magnificamente da Beatrice Bandiera, che quindi è diventato un albo illustrato.
In quell'occasione Daniele Mencarelli, su suggerimento di Goffredo Fofi se non erro, aveva scritto e proposto un testo a orecchio acerbo. In quel caso, una natività di una donna africana in un bagno di un'area di servizio, sola e spaventata. Una santissima nascita annunciata - come quella ben più nota - non da angeli, ma da un uomo, anche lui di pelle scura che tutti considerano un matto, ma che non si è risparmiato di correre ai quattro angoli del mondo ad annunciare la lieta novella: è nato un bambino...
Decisamente nelle corde di Mencarelli, se si conoscono i suoi magnifici romanzi con storie di persone che vivono, per ragioni diverse, sempre ai margini. Altri due 'invisibili' di Mencarelli.
Se è pur vero che non si tratta di un esordio in piena regola, è pur vero che Adelmo che voleva essere Settimo è il primo romanzo di Mencarelli e quindi Mondadori che lo pubblica, lo annuncia come un grande evento.
A parte queste spigolature, qui Mencarelli si cimenta effettivamente in un ambito che non è il suo: ossia decide di scrivere una storia che ha il passo della fiaba.
Non esordisce con il consueto "C'era una volta", ma decide di cancellare ogni punto di riferimento cronologico, ambientando le vicende in un passato indefinibile con certezza, dove ci sono regni rivali, dove arrivano le carestie, dove si va a dorso di mulo, dove a raccontare è una giovane cantastorie.
Come nel canone della fiaba anche qui c'è l'eroe (o l'antieroe, visto che a scrivere è Mencarelli) che ha una precisa missione da compiere, e per questo deve attraversare territori e superare prove per poi tornare al punto di partenza vittorioso e, naturalmente, cambiato!
Quasi del tutto assente è l'aspetto magico: non ci sono fate o streghe, non ci sono oggetti fatati, c'è solo un fiume che si personifica per aiutarlo. Il magico, come sostiene la piccola Evelina, è proprio lui, Adelmo.
Robusto è l'impianto: con uno schema che si ripete per quattro volte, sostanzialmente senza grandi variazioni: ricerca del fratello, incontro con il fratello, partenza con il fratello in cerca dell'altro fratello, prova diversa da superare, prova superata senza troppa fatica.
E chiusura perfettamente rotonda tra inizio e finale.
A onor del vero, va detto che tutto decolla e diventa meno routinario proprio a un terzo dalla fine, quando smettono i fratelli e arriva una prova di coraggio che ad Adelmo lo stende per bene.
Forte è soprattutto il lato 'umano' della vicenda. Il protagonista, il piccolo Adelmo, che fin dalla nascita è segnato da un gesto di affetto materno, quel nome diverso dagli altri, che gli si ritorce contro come uno stigma. Lo rende, suo malgrado, un estraneo, tenuto lontano dai suoi fratelli maggiori, cui lui invece tende sempre le braccia.
Io l'ho visto accadere e d'istinto ho preso le parti del più fragile: i più piccoli di un gruppo, gli ultimi in ordine di età e di altezza, sono sempre lasciati indietro dai più grandi. Devono sgomitare per farsi accettare. E qui il canone è perfettamente rispettato: snobbato dai fratelli, protetto dalla madre.
Adelmo combatte la solitudine. Questo è il punto di partenza. Ma ha bisogno di armi per arrivare in fondo e vincerla. Così Mencarelli lo dota, per contraltare la sua apparente debolezza, di una serie di qualità, veri 'attrezzi' del mestiere, che lui - talvolta inconsapevolmente - usa per andare avanti nel mondo.
In primo luogo è parecchio intelligente ed è più istruito degli altri. Ha in dotazione una forte dose di empatia, in particolare con gli animali (altri subalterni come lui), di cui capisce al volo i pensieri e che riempie di attenzioni, ricambiato nel momento del bisogno. E possiede un senso del dovere più alto di lui: più e più volte capita di vederlo farsi carico del peso del mondo o, quanto meno, del rischio in cui lui ha messo i suoi fratelli che decidono di seguirlo.
Il senso del dovere e l'intelligenza gli offrono su un piatto d'argento la terza sua dote: il coraggio.
Non è esattamente vero che lui parta fifone e torni coraggioso, perché già il solo fatto di decidere di incamminarsi verso l'ignoto a dorso d'asino in cerca di ben sei fratelli di cui non sa più nulla da tempo, lo si può considerare già una bella prova di coraggio.
Allora se da una parte sono la struttura e la costruzione psicologica del personaggio a convincermi, dall'altra ci sono invece un pugno di cose che mi hanno lasciata perplessa.
E tutte hanno in qualche modo a che fare con la prudenza.
Troppo a freno è tenuta la possibilità di 'sterzare' da un sentiero sicuro e benevolo.
Sulla ragione per cui questo accada, provo dopo a fare un'ipotesi. Ma alla fine.
Torno al colpo di sterzo: credo che lo scrivere debba muoversi in molte direzioni diverse e lo debba fare per costruire spessore, complessità e quindi senso.
Una trama robusta che si riempie di eventi inaspettati, di prospettive differenti, di molteplicità di letture dei fatti sono elementi che tengono alta l'aspettativa e l'attesa, la curiosità e lo stupore, l'emozione e quindi l'attenzione nel lettore.
Nel momento in cui Mencarelli decide di farlo accadere, uscendo dal sentiero, creando problemi seri all'eroe, oppure facendo entrare in scena qualcuno che un fratello non è, puntualmente il racconto lievita e si gonfia.
Prudenza nei confronti dei personaggi: in particolare i fratelli che, a parte i diversi mestieri che svolgono, a parte la loro storia personale, sono agli occhi di chi legge quasi interscambiabili. E tutti molto - troppo - condiscendenti.
È vero che loro - nell'economia della morale della storia - sono un blocco unico, ossia il tesoro da riportare a casa, tuttavia Mencarelli è uno che sa scrivere, sa osare e sa raccontare molto bene la complessità umana, quindi perché negarselo in questa occasione? Sarebbe stato bello vederli interagire tra loro nella diversità: giocare, litigare, prendersi in giro, volersi bene, discutere. Insomma, vedere un pugno di fratelli un po' più autentici e un po' meno ingessati nel loro ruolo di stazioni di passaggio lungo il percorso di maturazione del piccolo Adelmo.
E adesso l'ipotesi sul possibile perché questo sia successo.
Non è che per caso, tutto è dipeso dall'aver pensato troppo al lettore finale?
Come se qualcuno, più avvezzo di Mencarelli a conquistare il pubblico dei più piccoli, gli avesse suggerito di non perderlo mai di vista il suo lettore bambino. Suggerendogli che forse i bambini è meglio tenerli lontani, un po' all'oscuro, dalla complessità del mondo e dalla difficoltà dei rapporti interpersonali, dalle troppe cattiverie, dalle troppe ingiustizie, da troppi inciampi, cercando invece di fargli solo vedere, come in una fiaba (!), dove sia il Bene, per farlo trionfare, per pacificare gli animi in cerca della tanto anelata morale della storia?
Forse.
Carla
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