A SFRONDARE NON SI FA MAI PECCATO
La grande Illusion 2025
ILLUSTRATI
"CAPITOLO I
Di quando gli uccelli, affamati senza il becco di un quattrino, si domandano se rubare sia una soluzione da considerare.
Del parere negativo di uno di loro.
Come la questione viene risolta."
Gli uccelli in questione, quattro, di cui uno con l'occhio di vetro, sono tornati nella loro residenza invernale perché è primavera. E, aspettando l'arrivo dell'autunno, si mettono comodi.
Fanno piccole attività come pescare, come visitare una chiesa in cerca di qualcosa da rubare o come leggere a voce alta i Fioretti di San Francesco, in particolare quello dedicato alla Predica agli uccelli. Cosa questa che gli provoca un gran diletto.
E con altrettanta gioia liberano un loro confratello chiuso in gabbia per poi vederselo sparire davanti...
Gli uccelli è la prova provata che, se la storia è buona, a sfrondare non si fa mai peccato.
Se non ho contato male questo libro, diviso in un prologo, cinque capitoli e un epilogo, conta circa duecento parole di testo (escludendo le parole prologo, epilogo e capitolo I, capitolo II ecc. ecc.).
Conta quattordici tavole ad acquerello, tutte a destra e quindici disegnini a china, che segnano una pagina sì e una no le pagine bianche di sinistra.
Eppure Gli uccelli è un libro (la prima pubblicazione è del 2002, con Despina).
Ed è anche un libro esilarante almeno quanto è raffinato.
Lo pubblica La Grande Illusion in 800 copie, brossura, filo refe su carta Fedrigoni con una sovracoperta che anima la copertina vera e propria, che altrimenti ospita solo il nome dell'autore, il titolo e l'editore.
Dunque.
Duecento parole, quattordici acquerelli in cornice e altrettanti disegnini a china riescono a fare insieme un bel po' di cose.
Come mai succede?
La prima cosa che viene in mente sono le buone idee che contiene e che si manifestano capitolo dopo capitolo e che sono così potenti da poter da sole reggere il peso di una narrazione.
Per esempio, far leggere loro la Preghiera di San Francesco, oppure mandarli a pescare, o ancora porli davanti a questioni importanti, come la liceità del furto in caso di bisogno.
La seconda cosa che viene in mente è l'ironia che questa narrazione attraversa.
Ma questa ironia non sta solo nel racconto in sé, quanto piuttosto nel dialogo fitto fitto che esiste tra immagine e testo.
Quindi Gli uccelli diventa un piccolo quanto sapiente manuale per chi studi le regole del buon albo illustrato, o forse dovrei chiamarlo libro con le figure? Vabbè.
In estrema sintesi si tratta di questo: il testo indica un percorso a cui il lettore deve credere per contratto, un percorso che deve compiere in una precisa direzione, salvo poi rendersi conto che l'autore si è appena preso gioco di lui, perché, cambiando codice dal testo all'immagine, nella successiva tavola (meglio se dopo un giro di pagina, quindi con una pausa più lunga nella lettura) tutto è andato un po' diversamente.
Si chiama contrappunto ed è il sale dei buoni libri illustrati.
Questo gioco di asserzione e smentita capita qui con una certa sistematicità: si parla di residenza invernale e si vede invece un appartamento totalmente spoglio, salvo un allampanato attaccapanni.
Si scrive di una diatriba tra i quattro e si fa menzione di una soluzione non meglio definita e quando si gira pagina si vede come i quattro hanno deciso di risolverla...
Stesso gioco con il diletto raccontato per la liberazione del compagno prigioniero...
Va da sé che a ogni capriola dell'immagine rispetto al testo si ride con gusto.
Ma l'ironia si nasconde anche nei giochi di parole - per un uccello essere senza il becco di un quattrino è amaro quanto ineluttabile destino. O no?
E tutto questo solo con un pugno di parole e di immagini. E in particolare queste ultime sono lì a dirci, ancora una volta di più, che Ruzzier meno disegna e più efficace si dimostra.
Panorami spogli, con alberi secchi, qualche collinetta che segna l'orizzonte come negli affreschi di Lorenzetti a Siena, qualche nuvola che nasconde il cielo, appartamenti spogli, con un solo divano e una libreria, ma un pavimento a mattonelle intarsiate reso con una meticolosità "fiamminga".
E poi loro: i quattro uccelletti nasuti e storti. Alette da pollo, zampe da gallina ma un'espressività inequivoca.
E per concludere i quindici schizzetti a china che sono un niente, ma se non li si nota è davvero un peccato.
Non so dire quanto sforzo abbiano richiesto a Sergio Ruzzier per essere realizzati, ma non credo molto. Eppure il loro essere lì a segnare un emblema, il senso ultimo di quanto è detto e disegnato, è l'ennesima prova provata che, se la storia è buona, a sfrondare non si fa mai peccato!
Carla





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