giovedì 6 aprile 2017

LETTERE DI SCOIATTOLO A FORMICA (idee a due teste)


Cara Formica,
Mi devo scusare con te per aver bruscamente interrotto la lettera senza nemmeno salutarti.
Nella mia mente una domanda pulsava come una ferita: “Dove? Dove? Dove è Tasso adesso? “
Hai notato che più definiamo il posto della morte nella vita, più diventa quasi impossibile capire dove vanno i morti. Non ti fa girare la testa, questa domanda?
E io che pensavo di saper rispondere a tutte le domande sulla morte! Ora non faccio che leggere e ragionare alla ricerca di spiegazioni convincenti. Ma un libro in particolare mi ha fatto capire che forse posso provare a rispondere da solo.
Si intitola Il paradiso di Anna1 del norvegese Stian Hole, che ha un approccio molto diverso da tutti gli altri scrittori ed illustratori del Nord che abbiamo conosciuto.
La piccola Anna ha appena perso la mamma, e lei ed il papà devono affrettarsi ad andare in chiesa per il funerale. Ma prima di partecipare al rito, Anna chiede del tempo per elaborare la sua personale visione del Luogo in cui secondo la sua cultura vanno i morti e provare a consolare il dolore del suo papà.


Lo sguardo puro ed innocente che tanto somiglia a quello di Bruno è puntato proprio lì, nell’aldilà.
Non credo sia un caso che questo libro esista anche per noi lettori mediterranei: la morte non viene nominata direttamente. Piuttosto è la premessa per una indagine che avviene tutta oltre la sottile linea che separa i morti dai vivi. Un confine netto che si trasforma in un asse attorno a cui tutto può essere ribaltato. 

 
È difficile cambiare, Formica, e che cambiamento di prospettiva sconvolgente deve comportare la morte di una madre. Ogni ordine viene sovvertito, e in questo libro la vertigine di questa dolorosa trasformazione è evidente. Per Anna però la possibilità di trasformazione delle cose diventa una risorsa, un gioco. Anna utilizza gli strumenti che la mamma le ha dato per trasformare, ribaltare, interpretare e lenire: i chiodi che cadono dal cielo potrebbero trasformarsi in fragole con il miele, Dio potrebbe non essere smemorato come la nonna. In fin dei conti ogni cosa ha due lati, come il suo nome.
Anna e il papà si tuffano oltre la sottile linea di cui ti parlavo, rappresentata dalla superficie di uno specchio d’acqua, alla ricerca della mamma. Anche qui c’è una barca, ma i nostri amici non ci pensano nemmeno ad usarla. Loro non vogliono allontanarsi dal dolore scivolando sulla superficie, vogliono andare in profondità, talmente in profondità da raggiungere il cielo. 



Nuotano assieme ai pesci volanti, ascoltano un canto che sembra provenire dal cielo, vedono il nonno, e tanti altri morti famosi e sconosciuti, ma la mamma non la trovano. Quando si arrendono a questa evidenza, tornano a casa con una capriola, la stessa che gli permetterà di dare nuovi nomi alla nuova vita che li attende. Finalmente il papà sorride, e possono andare celebrare il rito funebre. 

 
Cara Formica, ho capito che le cose non sono solo quelle che sembrano: tutte celano la possibilità di una metamorfosi. Ed esiste un luogo preciso e sottilissimo in cui con molto coraggio e fantasia, si può facilitare il cambiamento.
Forse anche la morte può essere un inizio?

Scoiattolo

Ps. Cara amica...ti avevo detto che i due protagonisti del libro non riuscivano a trovare la mamma nel cielo, eppure... prova a guardare meglio le illustrazioni...




Caro Scoiattolo,
Tu parli di cielo, io parlo di stelle...insomma sembra proprio che lo sguardo delle persone debba alzarsi da terra, chissà, forse perché la terra è, nell'immaginario di tutti, il posto che da sempre è stato capace di accogliere le spoglie di chi è morto. La terra è impenetrabile, è anche scura, è certamente fredda e nasconde a perfezione ciò che contiene. Mentre il cielo, non importa se nero della notte, o chiaro, o corrusco di nuvole, il cielo non nasconde, lo sguardo lo attraversa, ma è una zona che non ci appartiene: noi siamo terreni, terrestri, eppure nonostante non ci competa come spazio naturale, non facciamo altro che desiderare di muoverci nella sua trasparenza. Diamo alla terra ciò che non vogliamo vedere e al cielo ciò che possiamo solo immaginare.
Non credo che sia un caso che in molte religioni è il cielo il luogo ideale per ciò che l'umanità sogna ci sia dopo la morte. E allora pare quasi naturale che il nostro sguardo si sollevi dal luogo che accoglie i corpi di chi non c'è più, che il nostro sguardo non regga la visuale della morte, e cerchi un nuovo respiro nel cielo, con il naso puntato in su, per aria.


Penso a quel papà, che al suo bambino che ha appena perduto la mamma e non riesce a dormire senza, propone una passeggiata notturna per lasciar da mangiare ai pettirossi, alla volpe e guardare in su. Neve nei piedi, silenzio intorno, nessun colore nemmeno sulla pagina, e disegni così affilati da essere ritagliati nella carta stessa...
Il libro norvegese di cui ti sto parlando è Eg kan ikkje sove no2, Non posso dormire senza..., di Stein Erik Lunde e Oyvind Torseter.
Gli adulti perdono spesso la parola, sopraffatti dal dolore. Questo papà con il filo di fiato rimasto riesce a dire le cose giuste e laddove non sa dire, usa il corpo: accoglie, abbraccia, contiene. Tra le sue ginocchia il bambino si accoccola. Le guance si toccano, la barba un po' lunga che sfiora la fronte...
Nella loro casa, seppure così insolitamente silenziosa, c'è un fuoco che brucia nel camino. Rimane punto di riferimento, luogo conosciuto dove i due si muovono nelle loro consuetudini, anche se ora tante consuetudini non ci sono più. In casa c'è la capacità di progettare semplici cose per domani: il taglio dell'albero. Piccoli passi, obiettivi di corta gittata. E per curare l'insonnia, e la malinconia ci sono i pettirossi da nutrire. I pettirossi, che come dice la nonna, sono i morti che tornano a trovarci.
Fuori c'è il mondo notturno che aspetta papà e bambino e che li racchiude, come loro si avvolgono reciprocamente: quel bambino in braccio al suo papà, che con il suo corpo si incunea negli spazi liberi di quello paterno: la testa nel collo, le gambe che penzolano dalle braccia. Il nero della notte li rende ancora più piccoli e inermi, ma li unisce in un unico profilo che è più robusto.


Fuori li attende la volpe, una macchia rossa in tanto bianco, che ha fame anche lei. In un susseguirsi di percezioni tattili raccontate a parole, arriva la domanda, secca, diretta, che non lascia dubbi o false interpretazioni nel lettore e, ancora meno, scappatoie nella risposta: la mamma sta dormendo e non si sveglierà più?
La risposta è onesta: dove si trova ora, no.
Tanta onestà richiede, tuttavia, il ricorso a qualcosa di più grande, di più alto verso cui guardare per poter essere sopportata: il cielo stellato, ancora una volta. Le connessioni tra la risposta e la proposta di andare a vedere le stelle le può creare il lettore, se vuole. Oppure può lasciare il cielo e le stelle dove stanno e rimanere giù a terra, vicino a quel bambino in braccio al suo papà, che lui immagina come una barca - al pari della luna - che naviga e attraversa la notte..
Ancora abbracciati, l'uno dentro l'altro, dopo aver condiviso, forse, lo stesso desiderio davanti a una stella cadente, tornano a casa. Sul divano davanti al fuoco, nonostante il sonno, il bambino ripete 'non posso dormire senza...'
'Tutto andrà bene' 'Ne sei certo?' 'Ne sono certissimo'.


A entrambi resta, dunque, il compito di progettare un nuovo domani. Insieme.
Ecco, domani.

Ti aspetto

Formica (in cerca di un proprio divano)





1S. Hole, Il paradiso di Anna, (trad. B. Berni), Donzelli 2013
2S. E. Lunde, O. Torseter, Eg kan ikkje sove no, Samlaget 2008

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