mercoledì 25 aprile 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


IN BILICO SULLA MEZZALUNA

La ricetta della strafelicità, Matteo Razzini, Alessandro Ferraro
(trad. del testo in inglese Sylvia A. Notini)
Corsiero editore 2018


ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni)

"L'estate era il periodo dell'anno che Michele amava di più, perché poteva passare molto tempo da solo con la nonna Isa: la sua gioia più grande era di vederle cucinare la strafelicità. La nonna la preparava seguendo una ricetta segretissima, che custodiva gelosamente tra le pagine di un quaderno a quadretti.


'Un pomo d'amore sopra al tagliere:
trita, sminuzza, poi stallo a sentire;
La voce suadente
induce al pianto
che infine fiorisce
e diventa incanto!'"

Comincia così la ricetta della strafelicità. Occorre pesare la gioia e il ricordo di un succo d'arancia, aggiungere il burro alla nebbia e, tra vulcani di farina che covano uova, tutto si mescola con il cielo azzurro. È una ricetta che mischia ingredienti comuni a ricordi, sensazioni, emozioni e odori. Ma come tutte le ricette per cui valga la pena, deve passare di mano in mano. La nonna lo sa bene e la custodisce fino al giorno in cui il signor Lafine, avvolto nel suo grande mantello, con quella testolina scheletrica, la porta via con sé. '...ma tu continua a cucinare la strafelicità'...
In un inseguimento che ha il sapore del sogno, Michele attraversa grandi spazi, incontra mille cuochi e una giovane donna che lo riporta al punto di partenza, la casa della nonna Isa e soprattutto al quaderno a quadretti. Nelle sue pagine però non è segnato nessun ingrediente: spetta a lui, che viene dopo, scriverla, la ricetta.
Ripercorrere con la mente i sapori, gli odori, i giochi e il tempo passato con lei guideranno la sua penna. E Michele, il bambino che era maldestro, oggi è un cuoco al suo primo giorno di lavoro. In tasca, la ricetta e una foto.

I libri, come molti altri manufatti, hanno bisogno di precisi ingredienti e di un po' di arte nel metterli assieme.
I buoni libri nascono da buone ricette e da buone materie prime. Hanno bisogno di un testo (non sempre), di figure (non sempre), di carta, di colore, di cura e attenzione e di un buon cuoco che li sappia dosare con sapienza. 


Prendendo in mano La ricetta della strafelicità, ancora prima di aprirlo, ci si accorge che c'è qualcosa che ha a che fare con l'equilibrio, ovvero con la labilità dello stesso: un braccio di stadera da cui pende un donnone in altalena entra da sinistra (da contrappeso in quarta di copertina c'è un ragazzino e una mongolfiera che regge il tutto). Unica nota a colori, a parte titolo ed editore, in un mare di grigio in cui caracollano bilance tra mucchietti di farina che nascondono tuorli per l'impasto.
Ecco, l'equilibro mi sembra una dote che una buona ricetta, così come un buon libro devono avere.
Se apriamo il libro, ancor prima del frontespizio, appare la pagina della dedica, a Gianni De Conno, allagata in un cielo di notte, con un ragazzino, di nuovo in bilico su un pomello di legno della mezzaluna. L'anomalia è che non sia una pagina bianca, come spesso succede. No, questa è la pagina della cura, ovvero quella che, forse, Alessandro Ferraro ha composto pensando ai cieli notturni di De Conno, oppure che l'editore ha voluto ricreare in vitro proprio qui per permettere a chi legge di fare un grande respiro silenzioso prima di oltrepassare la soglia che lo porti alla storia. 


Comunque sia andata, la cura e l'attenzione sono lì, palpabili, nella carta uso mano che ti senti tra le dita, nei colori pastosi e tenui, nelle ombre ripassate a tratteggio. Nella legatura cucita. Stiamo entrando in un libro di altri tempi, in cui il tempo per la cura del dettaglio è valore in sé. Continua il gioco di equilibri che Ferraro immagina per il testo di Matteo Razzini, a sua volta oscillante tra prosa e poesia. Anche il bambino Michele, d'altronde, è uno che rovescia ogni cosa, non ne combina mai una per dritto. Nulla, o ben poco, in questo libro è perfettamente dritto. L'instabilità è nei castelli di oggetti che Ferraro gli fa costruire e nella corsa verso la pagina che segue. Tutto oscilla, tutto si muove e va avanti. A questo si aggiunge lo stupore per gli oggetti, i moltissimi oggetti, messi in scena: diventano grandi, si personificano e si animano, camminano anche loro e vanno.



Cambia sempre la visuale, lo spazio tra testo e immagine: spesso tavole a piena pagina in cui Ferraro inventa un mondo tra la metafisica e il surrealismo, e, mi pare, ricordi un maestro di molti, Tullio Pericoli. Si sovvertono le proporzioni, si apprezzano i panorami aperti verso un grande orizzonte, si gode l'invenzione che fa viaggiare sull'acqua padelle come piroscafi, che trasforma i cuochi in Pulcinella giganti dalle maschere nere naso-beccute.


E su tutto si diffonde l'aroma del caffè appena fatto. Mentre questo accade davanti al nostro sguardo, il testo va avanti a raccontare, quasi si potrebbe dire, a cantare tanto la voce deve rimanere alta nella lettura. Questo è il merito di Matteo Razzini: quello di immaginare un testo nella sua oralità e di riportarlo, qui con una qual sapienza, sulla pagina scritta. A lui vanno anche riconosciuti due altri meriti: di aver saputo mescolare cose anche molto diverse e di aver dato un 'tono sempre in bilico' alla storia che passa per il sogno, l'assurdo, l'emotività e che nei disegni trova una meravigliosa quanto originale interpretazione.

Carla

Noterella al margine. Del tutto inspiegabilmente, Matteo Razzini ripone in me grande fiducia e stima. In nome di questa responsabilità, devo ammettere che nel testo, a mio personalissimo parere, ci sono sei righe di troppo: come al solito, le ultime. Per la precisione sole ventitré parole che sono lì a spiegare tutto ma proprio tutto e a rimettere in ordine ciò che era rimasto, meravigliosamente, in sospeso.

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