16 OTTOBRE '43
Roma,
16 ottobre '43, il rastrellamento del ghetto: nella mia memoria c'è
il racconto dell'omonimo resoconto scritto da Giacomo Debenedetti nel
'44. Mi è rimasto impresso di quella lettura la presenza di un velo
di leggenda, sovrapposto al resoconto veritiero di quello che è
successo.
Ora
Anna Foa, storica molto conosciuta, ci racconta proprio quel giorno
in Portico d'Ottavia, pubblicato da Laterza nella collana
Celacanto. Anche qui un'atmosfera sospesa fra la realtà della
ricostruzione storica e l'immaginazione.
Tutto
si svolge in un palazzo del Portico d'Ottavia, conosciutissima via
del ghetto romano; lei ora ci vive e immagina di vederlo come era,
come ci si viveva negli anni della guerra. Le si presenta una
bambina, sembra un fantasma, che, come una sorta di Virgilio, la
accompagna di casa in casa, racconta della solidarietà di quelle
famiglie, di come si industriavano per sopravvivere al tempo delle
leggi razziali, sembra di sentire le voci delle donne e dei bambini
che giocano in cortile.
L'armistizio
di Badoglio e l'occupazione nazista cambiano velocemente le cose,
gira la voce che presto ci saranno dei rastrellamenti.
Addirittura
un fantasma mette in guardia i giudei, ma anche voci di strada
diffondono l'allarme; all'alba del 16 ottobre i nazisti si presentano
al ghetto, facendosi beffe dell'oro versato dagli ebrei per
conquitarsi la salvezza: chi può, aiutato dai vicini affacciati alle
finestre, che li guidano dall'alto, scappa sui tetti, nei vicoli, si
rifugia nelle chiese, nei conventi; chi non ci ha creduto, chi non fa
in tempo, viene catturato. Sono circa mille gli ebrei romani
rastrellati quel giorno e solo in sedici hanno fatto ritorno.
Chi ha
condotto Anna Foa per mano nella rievocazione di quel giorno
drammatico è Costanza, una di quelle che son riuscite fortunosamente
a scappare e a rifugiarsi nella chiesa di San Benedetto.
Sembra
una favola, una storia leggendaria ed invece è andata proprio così;
questa città, in cui si mescolano cinismo e generosità, questa
città che sembra digerire ogni tragedia, in cui sembra esistere solo
olimpica indifferenza, ha visto anche questo, è stata lo scenario di
una giornata tragica, in quegli stessi luoghi in cui ora
piacevolmente si passeggia.
Efficaci
le immagini di Matteo Berton, le diverse prospettive che raccontano
il palazzo, le sue scale, i tetti su cui fuggono i più fortunati, in
questo grigio scuro di un'alba piovosa, e poi l'incedere marziale
delle SS, dalle cupe uniformi, gli stivali che colpiscono le porte, i
fucili ben in vista. Il grigio e il rosso romano, il bianco delle
lenzuola stese, emblema di vite interrotte, spezzate.
Anna
Foa è davvero brava nel coniugare la fedele ricostruzione storica e
una narrazione 'leggera', una sorta di favola triste ed emblematica.
Anche
questo episodio è una parte importante della storia millenaria della
nostra città: raccontare, far vedere, ricordare è rendere giustizia
a chi ha subito questo orrore e a quella parte di città che ha
saputo comportarsi con umanità.
Eleonora
“Portico
d'Ottavia”, A. Foa, M. Berton, Laterza 2015
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