mercoledì 9 novembre 2016

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


VOLARE ALTO

Il vento, Alessandro Riccioni, Simone Rea

ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"La gente, colta alla sprovvista da quella furia, cercava in tutti i modi di ripararsi: chi si teneva stretto il cappotto con le mani aperte sul petto, chi abbassava la testa per poter camminare senza polvere negli occhi, chi cercava scampo nei negozi e nei caffè. Nessuno però riuscì a salvare il cappello."

Quella mattina, nel bosco, il vento si è svegliato di cattivo umore perché l'azzurro del cielo lo rende nervoso. E, quando il vento è arrabbiato, soffia. E anche questa volta succede tra le vie di quella città.



Tutti camminano inclinati per vincere la resistenza, le mani sono aggrappate ai cappotti così i cappelli volano per aria indisturbati. Il vento furioso li strappa dalla testa di un bambino che vede il suo berretto a due colori decollare in mezzo ai tetti, dalla testa di una vecchina - e quello era un regalo del marito - un cappello con veletta e infine il vento si porta via anche il cilindro di un omino che è sotto il portico a far la statua umana.
Stanco di svicolare tra i palazzi, il vento si dirige verso il mare. Qui si riposa e mentre è lì con il naso all'aria vede proprio i tre cappelli di prima che finiscono in buone mani: una balena con la veletta, un granchio con berretto a pon pon e un cilindro sulla testa di un gabbiano di passaggio. Impossibile per il vento resistere alla risata che, fragorosa, alza un bel po' di sabbia. 


I sole splende di nuovo e il vento si è placato e tutto sembra tornare come prima...ma qualcosa di diverso c'è.

A Trieste esiste un angolo nascosto dove, in un ordine tutto personale, un signore che pare serio dietro i suoi occhiali, tiene un piccolo museo in cui colleziona follemente venti e cose che con il vento hanno un nesso. Dalle poesie agli aquiloni, dagli anemometri ai tubi sonori, dalle corde per la bora ai cappelli con le piume. Nella sua collezione di volumi pieni di vento questo libro non dovrebbe mancare.
Il vento che racconta Alessandro Riccioni e che Simone Rea disegna come un grigio gigante gonfio e tondo ricorda parecchio la bora che ogni tanto arriva a spettinare i triestini, inforcando la Porta di Postumia nelle Alpi Giulie e che poi, esaurita la sua energia, va a riposarsi sulla sabbia in riva al mare.


Talvolta il vento si insinua in belle storie per bambini, penso al vento che porta le lettere di Scoiattolo a Formica (Feltrinelli, 2015), piuttosto che la insuperata Filastrocca ventosa con il fiato corto (Topipittori, 2004) o l'ombrello rosso che trasporta in giro per il mondo il cagnetto disegnato dai coniugi Schubert (Lemniscaat, 2011), o ancora il recentissimo Come? Cosa? (Orecchio acerbo , 2016) che si porta via le persone e le parole in un gigantesco e irresistibile gioco di telefono senza fili...
Due o tre motivi per cui anche questo piccolo libro pieno di vento e di cappelli che volano può entrare a far parte del gruppo.
La prima cosa che colpisce chi apre il libro sono i suoi risguardi che, come ogni tanto accade, sono chiave importante per cogliere appieno il senso della storia. 


Ma ad attirare lo sguardo non è solo lo scoiattolo che si affaccia al principio e alla fine con qualcosa di cambiato, quanto piuttosto i tronchi chiari che costituiscono una trama fitta di rametti che produce un vero e proprio trompe- l'oeil 'boschivo'. Bravo Rea, qui. E a tanto chiarore del bosco nebbioso si contrappone invece una città molto colorata e articolata nei suoi volumi che diventa una sorta di strumento musicale nelle mani, molte più di due, del gigante del vento. Bravo Rea, anche qui. Il gigante, tuttavia, pur essendo il protagonista centrale della storia è, per paradosso, colui che convince meno dal punto di vista della resa: un corpaccione informe con braccini che vanno in mille direzioni e con le fauci dentate sempre aperte, banalizza forse un po' il testo che invece nel suo nitore vola alto. Che a Riccioni la rarefazione lo solletichi, mi pare evidente se ripercorro a ritroso i suoi libri che, in un modo o nell'altro, mi hanno sempre attratto. Penso al Cielo bambino (Topipittori, 2012) o all'Eco (Lapis, 2013). E ritrovo, felicemente anche in questo suo ultimo libro, alcune costanti che ne caratterizzano l'opera: un uso calibrato e schivo delle parole, una sonorità che le rende adatte a una lettura condivisa e nodi di senso che si affacciano attraverso il racconto senza prevaricarlo, anzi, al contrario, sollevandolo verso l'alto, quasi a metterlo in mostra. Come dovrebbe essere in ogni buon libro degno di questo nome. E bravo Riccioni, qui.

Carla

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