L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI ...TUCANO
Tucano il tucano, David
McKee (trad. Alessandra Valtieri)
Lapis 2017
ILLUSTRATI PER PICCOLI
"C'era una volta un uccello che
non aveva un nome.
Aveva un becco enorme ed era tutto
nero, tranne per gli occhi, che erano bianchi. Gli altri animali, che
invece un nome ce l'avevano, ridevano di lui. E questo lo faceva
soffrire molto. Un giorno, stufo di essere preso in giro, decise di
partire in cerca di fortuna."
Montagne e fiumi non sono per lui un
ostacolo. Arriva in città e si cerca un lavoro. Dopo un paio di
tentativi andati a vuoto, diventa un ottimo trasportatore di
pacchetti e cose varie: tra queste i barattoli di vernice, anche due
alla volta. Per questa ragione lo chiamano tutti Two Can. Il giorno
in cui Two Can prova a portarne tre di barattoli, succede uno
sconquasso: i barattoli si rovesciano, il colore si spande ovunque e
il povero tucano scivola per le scale imbrattandosi tutto di rosso,
bianco e arancio. Quella vernice non va più via e il suo umore
invece va a terra.
Riprende così la strada di casa, fiumi e montagne
superati, arriva nella foresta di partenza. Questa volta tutto
colorato. Nessuno riconosce in lui il tucano nero di partenza e
quando gli viene chiesto il nome lui risponde candido, Two can. Sarà
stato per il fruscio delle foglie o per qualche barrito più potente,
fatto sta che gli animali capiscono 'tucano'. E da lì nessuno si è
più mosso: quell'uccello dal piumaggio nero, con la pettorina bianca
e dal gran becco arancio e rosso è ormai tucano per tutti.
Per festeggiare i 40 anni, la casa
editrice Andersen Press, lo storico editore di David McKee, decide di
ripubblicare nella sua prima versione del 1964 (ne esiste un'altra
ridisegnata intorno al 1985 e totalmente diversa da questa, per volumetria e movimento dei personaggi) il suo
primo libro, Two Can Toucan.
Dell'originale rispetta ogni parte:
formato, colori, lettering e l'alternanza delle pagine a colori con
quelle solo rosse. Ed è un tuffo nel passato, nella tipologia di
libro a risparmio (laddove solo un lato del grande sedicesimo era a colori,
mentre l'altro era in B/N + un colore), nel tipo di segno di quegli
anni in cui i libri per bambini si conquistavano più libertà cromatica e il
segno si elaborava e si sintetizzava e arrivavano anche storie come
queste.
In Italia tutto questo prese forma,
dopo qualche anno, con la collana Tantibambini, ideata da Bruno
Munari per Einaudi. Che a rivederla oggi, con poco meno di una
settantina di titoli, piange il cuore pensare che sia fallita per il
prezzo troppo basso che i librai in quegli anni boicottarono.
Quadrati, un po' come Two Can Toucan,
con una grande ricchezza non sempre felice di stili e registri, se
non direttamente nel segno - sebbene i complessi intrecci della città
e delle imbarcazioni di McKee molto mi ricordano quelli di André
Francois (Il piccolo Marroncini, Einaudi 1972) - di certo nell'uso così
spregiudicato del colore non possono non venire messi in connessione.
Il mondo psichedelico anglo-americano, cui McKee con garbo e con
misura allude, prorompe qui, complice anche la decina d'anni passati
nel frattempo.
La storia di questo uccello nero, per
forma e contenuto, avrebbe potuto essere uno dei titoli di
Tantibambini.
E' innovativo a sufficienza.
A guardarlo oggi, Tucano il tucano, in
questa sua prima versione, mi colpisce, non solo per le tinte piatte
degli elefanti azzurri e delle tartarughe rosa, ma piuttosto per la
grande capacità di sintesi del tratto, in particolare nelle
geometrie delle architetture e nelle tessiture delle murature, delle
cortecce o dei barattoli, ma anche nella fila dei tetri impiegati di
banca. Il prato monocromo, rosso, su cui si impone la macchia nera
dell'uccello ancora senza nome, è un piccolo capolavoro di
modernità, un manifesto di quegli anni ruggenti.
Sebbene Tucano il tucano non sia stato
il libro che ha dato la fama a McKee, tuttavia esso ha un tema di
fondo che poi si svilupperà in Elmer, di qualche anno posteriore,
che invece ha contribuito largamente a costruire la fortuna di McKee.
A ben vedere l'emarginazione del tucano
è la stessa di Elmer, entrambi condividono l'allontanamento dal
gruppo, entrambi cercano da soli una soluzione al loro problema,
entrambi tornano 'cambiati' a tal punto da non essere riconosciuti.
Per entrambi è previsto un finale lieto, quasi edificante.
Non entro nel merito del politically
correct, perché la correttezza in questo ambito è davvero
oscillante a seconda delle epoche, mi limito a prendere atto che
Elmer è nato nella testa di David McKee dall'urgenza di scrivere una
storia che stigmatizzasse certe forme di razzismo di cui lui stesso
fu testimone, camminando per la città con sua figlia Chantel, ad
evidenza quella stessa Chantel cui ha dedicato Tucano il tucano.
Tanto per chiudere il cerchio.
Carla
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