Il bosco addormentato, Rébecca Dautremer
(trad. Francesca Mazzurana)
ILLUSTRATI
"A te che tieni questo libro tra le mani: grazie per il tempo che gli dedicherai. L'ho scritto e illustrato con molta cura e piacere.
Guarda lì, proprio lì, nella pagina accanto, i due tizi che discutono.
Credo vogliano andare a fare una passeggiata. Che ne dici di seguirli?
E cerca di sentire cosa dicono. Racconteranno una storia che forse ti ricorderà qualcosa..."
R.D.
All'arrivo, dall'altra parte della cucitura del foglio, trovano il colore e un grande silenzio, un gran vento e una strada che li conduce in un luogo tanto reale quanto spettrale dove tutto è addormentato. Animali, uomini, donne e bambini sono immobili, colti da un sonno eterno quanto improvviso. I loro corpi, complice il peso e la rilassatezza dei muscoli, si flettono nel torpore. Curva è la schiena del cavaliere ancora in groppa al suo cavallo, ciondolano i bambini dall'altalena, si accasciano sui loro strumenti le signore dell'orchestra. Si tengono in piedi a vicenda in un abbraccio dal precario equilibrio i due pugili e la fioraia è sdraiata a terra, come caduta d'incanto nel momento in cui annaffiava i suoi vasi.
Il vecchio, nel suo monologo recitato dalla pagina bianca, ragiona su ciò che vede sulla pagina accanto: è una storia di cui si è sentito parlare, una storia strana. Questo sonno che sembra morte dura da un secolo, commenta il vecchio, ed è incredibile che nessuno si sia ribellato a questo stato di cose.
Valicare il confine che tiene separato il bianco dal colore, il nulla dal tutto, la logica dalla fiaba, il suono dal silenzio, la veglia dal sonno, la sinistra dalla destra, è un gioco da ragazzi (anzi, da ragazza). Bastava solo pensarci e affidarsi alla potenza dell'immaginazione.
E quel genio di Rébecca Dautremer lo ha fatto.
Una
costruzione narrativa di semplicità disarmante che diventa un
oggetto reale: un gioiello editoriale pieno di bellezza, di arte, di
pensiero.
Una
fiaba, quella di Charles Perrault, che è nel nostro immaginario e che diventa, nelle mani di
Rébecca Dautremer, teatro, palcoscenico per rappresentare
qualcos'altro.E questo è il primo punto di interesse. Ne seguono molti altri che però sono espressioni di un lessico che la Dautremer ha utilizzato anche in precedenti occasioni.E che riconfermano la sua altissima qualità di illustratrice.
Un'allusione silenziosa, ma evidente a tutti i Little Nemo che si sono susseguiti dai primi del Novecento fino agli anni Ottanta del secolo scorso.
D'altronde, non è forse Little Nemo l'icona per eccellenza del sonno (o del sogno) interrotto?
Riguardo all'ambito più attinente ai contenuti: l'allusione come chiave narrativa; la capacità di avere due universi comunicativi: uno che stupisce i piccoli e uno che solletica i grandi; la grande complicità tra testo e immagine; la complicità richiesta al lettore che in questo caso viene chiamato 'dentro' dall'autrice medesima; il rapporto con i classici della letteratura che sono reinterpretati secondo prospettive originali; una relazione forte tra il tempo della narrazione che avanza e quello della fiaba che è sospeso, pronto a rimettersi in moto e a sincronizzarsi con quello della narrazione solo sul finale, lo stesso accade con lo spazio: attraversabile sulla pagina bianca, conchiuso su quella colorata, pronto a ridiventare abitabile solo nella penultima tavola.
C'è di che ragionare, altro che dormire...
Carla
Noterella al margine: ancora una volta uno scivolone sul titolo che in francese suona molto più coerentemente Le Bois dormait, ovvero il bosco dormiva...Un'altra occasione persa di rimanere nell'allusione, evitando di cadere nel chiarimento.
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