lunedì 2 settembre 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


IO NON SONO SOLTANTO (UN) CANE

Il cane dal cuore giallo, o la storia dei contrari, Jutta Richter
(trad. Bice Rinaldi)
Beisler, 2019


NARRATIVA PER GRANDI (dai 10 anni)

"È una porta bella alta. La targa con su scritto D.O deve stare lì in cima. E una cosa è certa: dove c'è una targa ci vive qualcuno, e se ci vive qualcuno c'è qualcosa da mangiare. Come minimo c'è un bidone della spazzatura. Come minimo. E infatti mi appoggio alla porta e non è chiusa. Cigola un po'. Si apre una fessura. Mi ci infilo dentro e sono nel giardino di D.O."

Così racconta il cane parlante che i due fratelli, Lotta e Prinz Neumann, stanno ospitando nel capanno degli attrezzi, fintanto che il nonno Schulte è fuori. Il cane è nero, magro e con il pelo sporco. E parla, non con tutti, ma solo con chi gli va a genio; conosce molte lingue e ha girato parecchio; ha incontrato gente diversa e ha belle storie da raccontare. La migliore, quella che racconta ai bambini, è quella che lo ha portato da D.O, il grande inventore. Nel suo giardino bellissimo, ha conosciuto la pace assoluta. In armonia con gli altri animali e con la natura circostante, con il cielo sempre sereno, ha passato la miglior parte della sua esistenza. In quel giardino che tanto sembra un 'paradiso terrestre' -continua il suo racconto - ha incontrato anche Lobkowitc, all'epoca collaboratore stretto di D.O e suo interlocutore privilegiato per quel che riguarda gli aspetti creativi che deve affrontare un grande inventore. Lobkowitc, una creatura inquieta. A tal punto insoddisfatto da decidere di andarsene per la sua strada, sebbene da D.O. si stesse 'da dio'.
Così è la vita: un cane è spesso randagio e ancora più spesso si fa pastore. E così è finita che diventa compito di quel cane narratore recuperare la pecorella smarrita, Lobkowitc, anche a costo di riprendere la porta del giardino, questa volta in uscita. Come ci ha insegnato Peter Pan, però, non sempre le finestre (o le porte) restano aperte per sempre. Una volta andati via dal giardino, sembra impossibile tanto per il cane, quanto per Lobkowitc, potervici tornare.
E a entrambi non resta che trovarsi un proprio angolino nel mondo e un briciolo di amore da coltivare nel cuore.
E questa è la storia di tanti, ma sopratutto di quel cane nero, goloso di pelle di galletto.

Cose che questo bel libro, datato 1998!, non è.
La prima, non è un libro semplice. Denuncia immediatamente la sua complessità nell'articolazione e intreccio della narrazione. Un racconto nel racconto nel racconto. Vi si accede dalla storia che il cane riporta ai due bambini che lo accolgono. Si tratta dell'avventura migliore che gli sia capitata: quella che lo ha portato a conoscere D.O (G.Ott in originale!). A questo racconto si intreccia quello che il cane ascolta da D.O su Lobkowitc, e di cui diventa a sua volta narratore in seconda.
Intorno ai due racconti che si intersecano, si sviluppa una sorta di storia cornice, che riferisce della condizione attuale dei personaggi: due bambini, un cane, un gatto, dei topi cattivi e un nonno di ritorno.
Questo continuo passaggio da una narrazione all'altra prevede una cronologia stratificata che fortunatamente funziona come un orologio (ammesso che un orologio lo sia sappia leggere).
Da qui la seconda cosa che questo libro non è: non è un libro sciatto.
Al contrario è la risultante di un attento lavoro di precisione, paragonabile a quello di un orologiaio che sta operando con la sua lente su uno strumento di precisione. Basterebbe solo ragionare sulla nomenclatura, così piena di ulteriori significati.
La terza cosa: questo libro non è un libro che opti per un registro unico. Al contrario, è costruito su continui passaggi tra una realtà riconoscibile e il meraviglioso. È un susseguirsi di simboli che generano una grande metafora di come potrebbero essere andate le cose all'inizio del mondo.
E di come ancora oggi per certi versi vadano.
Fin dalla prima riga, la meraviglia di un cane parlante diventa la normalità per quei due bambini e per i lettori. Si tratta di un tacito patto di fiducia, di un dialogo, che chi scrive stabilisce con chi legge. È una felice alternanza tra detto e non detto, tra evidenza e ombra. Non è forse il libro dei contrari?
La voce di chi narra prevede che chi legge ci metta tanto del suo per entrare nelle pieghe del racconto per capirne fino in fondo il senso.
Chi conosce la Richter, la ama anche per questo.
La quarta cosa, che è un po' la risultante delle precedenti: non è un libro liquido. Al contrario è pastoso e denso, carattere che prevederebbe, lo si è detto, un consumo lento, ponderato, misurato e attento. Se lo si vuole leggere tutto d'un fiato, come bere un bel bicchier d'acqua, nulla osta. Ma sarebbe un vero Peccato...
La quinta cosa che questo libro non è: 'manicheo'.
Mai esserlo, soprattutto con i bambini. Suggerire loro che il mondo non si può dividere in buoni e cattivi, anche se sarebbe tanto più facile, è cosa buona e giusta.
Nonostante tutta la storia affronti la questione degli opposti, dei contrari, per quel che riguarda il Bene e il Male, non ne riconosce mai il valore assoluto, checché se ne scriva.
Il racconto si costruisce invece sulla consapevolezza che il mondo non è l'arena dove i contrari si combattono. La bellezza di questa architettura narrativa, leggera e allo stesso tempo articolata e profonda, che Jutta Richter monta per i suoi piccoli lettori sta proprio nella sua sensibilità e attenzione alla complessità della natura umana.
La Richter quindi decide di lavorare sulle sfumature di tono, più che su colori assoluti. D.O, più che un Creatore, si comporta come un vecchio padre saggio (che affinità con nonno Schulte!) e Lobkowitc non è il Diavolo, ma un figlio fragile che sbaglia, inciampa.
A tale proposito è impossibile non ricordare un altro suo grande libro, piuttosto ignorato, purtroppo, che intorno alla questione si interroga ancora e ancora.
Giusto per completare lo scenario.

Carla


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