COLORADO
Desperado, Ole Könnecke
(trad. Chiara Belliti)
Beisler 2019
ILLUSTRATI PER PICCOLI
(dai 4 anni)
"Ogni giorno
Roy va all'asilo in sella al suo fido destriero Desperado.
Mamma e papà
restano alla fattoria, hanno molto da fare laggiù.
Roy va volentieri
all'asilo.
Ci sono tanti
bambini con cui giocare, si fa merenda con i biscotti e il succo di
frutta e poi la maestra è molto, molto simpatica. Si chiama Heidi."
Quando
fa buio, Roy torna a casa con Desperado. Spesso canta una canzone per
annunciare il suo arrivo. Il tran tran di Roy e Desperado viene rotto
da un fatto inaspettato: la scuola è sottosopra, i bambini
terrorizzati e soprattutto la maestra Heidi non c'è. È stata rapita
da un feroce bandito che vuole sposarla a tutti i costi, nonostante
lei assolutamente non sia d'accordo.
Per Roy e Desperado non c'è
altro da fare che mettersi sulle tracce di Barbanera e dei suoi
scagnozzi. Attraversa il deserto (ha una borraccia con sé) e si
arrampica sulle montagne. Scopre il nascondiglio in cui Heidi e
prigioniera e, nascosto dietro una roccia, sente chiaramente
l'ultimatum del bandito: due minuti di tempo per decidere se rimanere
sua prigioniera o capitolare e sposarlo...
È
Desperado che ha la soluzione. La maestra fugge con Roy, mentre il
cavallo - con un abile stratagemma - si prende la rivincita, mettendo
in fuga i banditi atterriti.
Scampato
il pericolo, si torna indietro. Roy canta, Heidi lo accompagna alla
chitarra e Desperado accenna un passo di danza. I bambini all'asilo
sono felici di riabbracciare la loro maestra.
Per
un coraggioso cowboy e per uno scaltro e fido destriero anche questo
alla fine è tran tran.
Fino
all'ultimo rigo resta un dubbio senza soluzione: ma Roy è un bambino
che gioca a fare il cowboy o un cowboy che gioca a fare il bambino?
L'unica cosa certa è che il suo cavallo Desperado ha delle buone
idee che, aggiunte all'intraprendenza del piccoletto, fanno la
differenza.
Uno dei migliori talenti che vanno
ascritti a Könnecke è quello di saper raccontare l'infanzia, senza
superfetazioni e senza pericolose distorsioni di visuale.
Quando
mette in scena bambini come Anton (il nostro Camillo), lo fa con una
lucidità e una onestà intellettuale piuttosto spiccata. Quel che ne
risulta è di solito il racconto di bambini e bambine così
maledettamente autentici da essere nel contempo unici e universali.
Per chiarire meglio: il lettore adulto riconoscerà nei piccoli
protagonisti di Könnecke forse pezzi della propria infanzia vissuta,
di sicuro pezzi di infanzia visti in giro e, sperabilmente, pezzi di
infanzia che corrispondono alla propria idea di infanzia.
Che
cosa riconosce invece il lettore bambino? Trova pezzi di sé, nella
totale inconsapevolezza di appartenere all'infanzia. Come dire, il
lettore piccolo non sente nessuna voce adulta che gliela sta
raccontando. E questo può essere riconosciuto come un valore in sé.
Quali
sono dunque le lenti di cui Könnecke fa uso per riuscire a mantenere
a fuoco così bene un bambino?
La
prima: il prendere per vero. Tenendo a distanza ogni bamboleggiamento
o strizzatina d'occhio, racconta come vero quello che per un bambino
vero è vero. Quando un bambino gioca a fare il cowboy a un adulto
non dovrebbe sfuggire il fatto che quel bambino è a tutti gli
effetti un cowboy (per il tempo che lui decide di esserlo, non un
minuto di più).
La
seconda: il delirio di potenza. Con una grande obiettività e
sospendendo ogni tipo di giudizio, testimonia della capacità che
hanno specialmente i bambini di non volersi dare limiti di capacità (e non vederli nemmeno nei propri destrieri).
Tanto più si è piccoli, tanto più non si dà confine alle proprie e altrui
possibilità. È con il giudizio degli altri che la sfera delle
potenzialità e dei requisiti delle persone si ridimensiona. La frase
'non lo so fare' (e di conseguenza non sono in grado di farlo) è un
limite che si conquista con il crescere. I bambini di Könnecke non
conoscono l'eventualità di non riuscire nell'impresa.
L'impossibilità non esiste, ancora.
La
terza: il residuale mondo dei grandi. La terza prospettiva di visuale
che usa Könnecke potrebbe essere un binocolo al contrario, ovvero
una rispettosa distanza dal soggetto in osservazione. Conseguenza
inevitabile che ne deriva è quella di volersi 'tenere fuori', in
qualità di adulto. Nelle sue storie gli adulti sono assenti o
tutt'al più ai margini.
In questo specifico caso, la maestra è
strumentale all'azione, i genitori altrettanto e possono serenamente
essere tenuti all'oscuro dell'impresa eroica appena compiuta. I banditi, per l'appunto, sono i nemici.
Spetterà agli adulti che leggono decidere se Roy taccia, nel suo
ritorno a casa, perché per lui in fondo è routine, oppure perché
tanto sa che non gli crederebbero, oppure perché la complicità la
cerca nei suoi coetanei (perché dei grandi non ci si può fidare)...
Inevitabilmente
tutto questo ha un corrispettivo nella costruzione del racconto
visivo. Linea chiara da fumettista. Pochi colori, a parte un meraviglioso cielo stellato, di cui uno 'guida' (qui il rosso), come di norma
con Könnecke, un cambio di passo (che ha un suo preciso riscontro
nella trama) in cui diventa preponderante la sabbia del deserto che
crea un effetto 'seppia' da film western, guarda caso, per tutto il
tempo dell'azione in solitario. Toh, un cappello! di Jon Klassen
insegna molto in proposito riguardo al sole che tramonta nel deserto
messicano.
Saper
usare il colore non è da tutti. Sapientemente utilizzato, il colore
può dire un mucchio di cose. E diventa 'guida' silenziosa di molto
altro su cui le parole volutamente tacciono.
Carla
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