lunedì 9 dicembre 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

COLORADO

Desperado, Ole Könnecke (trad. Chiara Belliti)
Beisler 2019


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Ogni giorno Roy va all'asilo in sella al suo fido destriero Desperado.
Mamma e papà restano alla fattoria, hanno molto da fare laggiù.
Roy va volentieri all'asilo.
Ci sono tanti bambini con cui giocare, si fa merenda con i biscotti e il succo di frutta e poi la maestra è molto, molto simpatica. Si chiama Heidi."

Quando fa buio, Roy torna a casa con Desperado. Spesso canta una canzone per annunciare il suo arrivo. Il tran tran di Roy e Desperado viene rotto da un fatto inaspettato: la scuola è sottosopra, i bambini terrorizzati e soprattutto la maestra Heidi non c'è. È stata rapita da un feroce bandito che vuole sposarla a tutti i costi, nonostante lei assolutamente non sia d'accordo. 



Per Roy e Desperado non c'è altro da fare che mettersi sulle tracce di Barbanera e dei suoi scagnozzi. Attraversa il deserto (ha una borraccia con sé) e si arrampica sulle montagne. Scopre il nascondiglio in cui Heidi e prigioniera e, nascosto dietro una roccia, sente chiaramente l'ultimatum del bandito: due minuti di tempo per decidere se rimanere sua prigioniera o capitolare e sposarlo...
È Desperado che ha la soluzione. La maestra fugge con Roy, mentre il cavallo - con un abile stratagemma - si prende la rivincita, mettendo in fuga i banditi atterriti.
Scampato il pericolo, si torna indietro. Roy canta, Heidi lo accompagna alla chitarra e Desperado accenna un passo di danza. I bambini all'asilo sono felici di riabbracciare la loro maestra.
Per un coraggioso cowboy e per uno scaltro e fido destriero anche questo alla fine è tran tran.

Fino all'ultimo rigo resta un dubbio senza soluzione: ma Roy è un bambino che gioca a fare il cowboy o un cowboy che gioca a fare il bambino? L'unica cosa certa è che il suo cavallo Desperado ha delle buone idee che, aggiunte all'intraprendenza del piccoletto, fanno la differenza.


Uno dei migliori talenti che vanno ascritti a Könnecke è quello di saper raccontare l'infanzia, senza superfetazioni e senza pericolose distorsioni di visuale.
Quando mette in scena bambini come Anton (il nostro Camillo), lo fa con una lucidità e una onestà intellettuale piuttosto spiccata. Quel che ne risulta è di solito il racconto di bambini e bambine così maledettamente autentici da essere nel contempo unici e universali. Per chiarire meglio: il lettore adulto riconoscerà nei piccoli protagonisti di Könnecke forse pezzi della propria infanzia vissuta, di sicuro pezzi di infanzia visti in giro e, sperabilmente, pezzi di infanzia che corrispondono alla propria idea di infanzia.
Che cosa riconosce invece il lettore bambino? Trova pezzi di sé, nella totale inconsapevolezza di appartenere all'infanzia. Come dire, il lettore piccolo non sente nessuna voce adulta che gliela sta raccontando. E questo può essere riconosciuto come un valore in sé.
Quali sono dunque le lenti di cui Könnecke fa uso per riuscire a mantenere a fuoco così bene un bambino?



La prima: il prendere per vero. Tenendo a distanza ogni bamboleggiamento o strizzatina d'occhio, racconta come vero quello che per un bambino vero è vero. Quando un bambino gioca a fare il cowboy a un adulto non dovrebbe sfuggire il fatto che quel bambino è a tutti gli effetti un cowboy (per il tempo che lui decide di esserlo, non un minuto di più).


La seconda: il delirio di potenza. Con una grande obiettività e sospendendo ogni tipo di giudizio, testimonia della capacità che hanno specialmente i bambini di non volersi dare limiti di capacità (e non vederli nemmeno nei propri destrieri). Tanto più si è piccoli, tanto più non si dà confine alle proprie e altrui possibilità. È con il giudizio degli altri che la sfera delle potenzialità e dei requisiti delle persone si ridimensiona. La frase 'non lo so fare' (e di conseguenza non sono in grado di farlo) è un limite che si conquista con il crescere. I bambini di Könnecke non conoscono l'eventualità di non riuscire nell'impresa. L'impossibilità non esiste, ancora.


La terza: il residuale mondo dei grandi. La terza prospettiva di visuale che usa Könnecke potrebbe essere un binocolo al contrario, ovvero una rispettosa distanza dal soggetto in osservazione. Conseguenza inevitabile che ne deriva è quella di volersi 'tenere fuori', in qualità di adulto. Nelle sue storie gli adulti sono assenti o tutt'al più ai margini.
In questo specifico caso, la maestra è strumentale all'azione, i genitori altrettanto e possono serenamente essere tenuti all'oscuro dell'impresa eroica appena compiuta. I banditi, per l'appunto, sono i nemici. Spetterà agli adulti che leggono decidere se Roy taccia, nel suo ritorno a casa, perché per lui in fondo è routine, oppure perché tanto sa che non gli crederebbero, oppure perché la complicità la cerca nei suoi coetanei (perché dei grandi non ci si può fidare)...
Inevitabilmente tutto questo ha un corrispettivo nella costruzione del racconto visivo. Linea chiara da fumettista. Pochi colori, a parte un meraviglioso cielo stellato, di cui uno 'guida' (qui il rosso), come di norma con Könnecke, un cambio di passo (che ha un suo preciso riscontro nella trama) in cui diventa preponderante la sabbia del deserto che crea un effetto 'seppia' da film western, guarda caso, per tutto il tempo dell'azione in solitario. Toh, un cappello! di Jon Klassen insegna molto in proposito riguardo al sole che tramonta nel deserto messicano.
Saper usare il colore non è da tutti. Sapientemente utilizzato, il colore può dire un mucchio di cose. E diventa 'guida' silenziosa di molto altro su cui le parole volutamente tacciono.

 Carla

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