REFOLO A TRIESTE
Un pinguino a Trieste,
Chiara Carminati
Bompiani 2021
NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)
"L'Europa
è salpata. Mi sono sentito tremare lo stomaco, ma questa volta non
per colpa del mal di mare. Stranamente la mia anguilla sembrava
addormentata, forse proprio perché, grazie alla sua stazza, la nave
era molto più stabile rispetto alle piccole barche dei pescatori. Ma
intuivo che con la nave salpava anche la mia vita, verso una
destinazione sconosciuta. Per la prima volta avevo preso una
decisione tutta mia."
È il 1953, è
marzo. Refolo, all'anagrafe Nicolò D'Este di quindici anni, si è
appena imbarcato come piccolo di camera sulla grande motonave Europa,
diretta a Città del Capo. Nonostante il fatto che soffra il mal di
mare, quel ragazzino ha un motivo improrogabile per imbarcarsi. Quel
motivo lo ha appena fatto scappare di casa, quella dove abita con lo
zio - che lo ha accolto l'anno prima, in fuga da Lussino dove era
nato e dove viveva con i nonni - e Irma, una giovane sarta, che
affitta una cameretta sopra l'osteria dello zio.
Sebbene con lo zio
Franco e con Irma, Nicolò nella sua nuova vita triestina, abbia
ricostruito una parvenza di piccolo nucleo di affetti, tuttavia non
ha smesso di credere che suo padre, mai tornato dalla sua prigionia
in Africa, sia vivo da qualche parte. Complice un vecchio ritaglio di
giornale riemerso da una scatola rossa nascosta dietro l'armadio
dello zio, Nicolò adesso ha la certezza che suo padre sia tra i
pochissimi superstiti del Nova Scotia, affondato nel 1942 da un
sommergibile tedesco davanti alla costa di Durban, in Sudafrica.
Suo padre è vivo e
lui parte per cercarlo.
Questa è la storia
del viaggio di Nicolò imbarcato come tuttofare su una nave che fa la
spola tra Trieste e Città del Capo, ma è anche quella della
passeggera Susanna, una ragazzina dai grandi occhi verdi, ma è anche
la storia del passeggero Marco, giovane pinguino clandestino.
Quando ci sono belle storie 'friulane', la cosa migliore che si può fare
è sperare che Chiara Carminati le trovi e le racconti.
Non si
può dimenticare Fuori fuoco
del 2014, in cui scriveva della prima guerra mondiale attraverso lo
sguardo delle donne rimaste a casa ad aspettare. Quella era una
storia tutta di 'terra'.
Questa
invece è una storia tutta di 'acqua'.
Trieste
negli anni Cinquanta è lo scenario, ma la storia parte dall'isola
contesa di Lussino dove una coppia di vecchi, con l'arrivo dei
titini, affida il nipote - orfano di madre - a una delle tante
famiglie di italiani che tentano la fuga in barca. I nonni vogliono
che arrivi sano a salvo a Trieste dove ad aspettarlo c'è lo zio
Franco, oste dal grande e malandato cuore, che lo accoglie come un
figlio.
Questo
è l'innesco, basato su una precisa circostanza storica, per un
racconto di invenzione che si costruisce in un intreccio complesso di
molti altri frammenti di vita vissuta, ovvero di storie vere.
Di
almeno tre, Lussino a parte, ne esiste ampia documentazione.
La
grande nave Europa, del Loyd Triestino, che dal 1951 faceva servizio
celere verso Città del Capo, una volta al mese, in tandem con la sua
corrispondente, Africa.
La
nave inglese Nova Scotia che il 28 novembre 1942 mentre trasportava
prigionieri di guerra, fu affondata da un sottomarino tedesco. E dei suoi pochi superstiti.
Il
pinguino Marco 'rapito' per gioco da giovani membri dell'equipaggio
dell'Europa e poi, preso in carico dal nostromo Barrera che se ne
prese cura per poi affidarlo felicemente all'Acquario della città di
Trieste dove visse, atteggiandosi spesso come un umano (applauso per l'allusiva copertina), fino al 1985.
Come
molte delle cose triestine, anche questa storia è attraversata da un
vento, ovvero si caratterizza per i continui cambiamenti di scenario,
come di solito succede quando a soffiare è un vento bello teso. Si
parte dalla piccola Lussino occupata dai soldati di Tito, poi si
passa alla Trieste neutrale piena di soldati americani, poi si salpa
verso il Sud Africa e si attraversa il Mediterraneo, poi si arriva
nei quartieri multietnici di Città del Capo. E con la stessa
naturalezza, veniamo condotti tra la gente semplice che bazzica le
osterie e le pescherie di Trieste, ma anche tra le persone ricche che
passano l'Equatore in una cabina di prima classe in un viaggio di
piacere, con l'unico obiettivo di alloggiare nei grandi alberghi
delle metropoli sudafricane e lì visitare caffè alla moda.
Non
tutti sarebbero stati capaci di costruire con la necessaria chiarezza
e naturalezza una storia così articolata. Non tutti sarebbero stati capaci di non farci perdere l'orientamento sulla mappa. Non tutti sarebbero stati
capaci di tenere i lettori per metà libro sulle spine seguendo il
viaggio di andata di un ragazzino, e per l'altra metà altrettanto in
trepidazione per il viaggio di ritorno di un pinguino. Non tutti
sarebbero stati capaci di costruire una vera famiglia con uno zio, un
nipote orfano e una giovane e bella pensionante. Non tutti sarebbero
stati capaci di scrivere le venti pagine centrali del libro - di cui
nulla va detto qui - con tanta potenza emotiva e nel contempo con
tanta coerenza narrativa. Non tutti sarebbero stati capaci di
riempire il racconto, a ogni possibile occasione di vere e proprie
visioni: a partire da cose come per esempio
"i suoi occhi mi
correvano sul viso come mosche confuse".
Oppure
"I suoi capelli
avevano un colore che sembrava un sapore,
come fossero fatti di
cannella"
Non
tutti sarebbero stati capaci di regalare al lettore dei piccoli
'camei' di prosa poetica, a partire dal contenuto del tascapane - di
cui nulla va detto qui - di quel ragazzino. Non tutti sarebbero stati capaci di utilizzare di nuovo in un libro la parola refolo, che è bellissima.
Non
tutti, ma lei sì.
Carla
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