IL VOLTO INATTESO DEL MALE
‘Senza una buona ragione’, di
Benedetta Bonfiglioli, pubblicato da Pelledoca, è indiscutibilmente
una storia ‘nera’. E’ la descrizione di una discesa all’inferno
di una ragazza normale, normalissima, quasi banale, nella cui vita
entra il ‘male’, impersonato da una compagna di scuola.
Tutto inizia con la partenza di Carlo,
fratello della protagonista, Bianca; il ragazzo è stato ammesso alla
Sorbona e parte lasciandosi alle spalle la sorella, con cui ha
condiviso tutto, e la fidanzata Greta.
Bianca è coinvolta suo malgrado nel
dolore di Greta, che è anche una sua compagna di scuola; da quel
momento la sua vita precipita in un incubo: dagli scherzi pesanti, a
veri e propri sabotaggi, compiti sostituiti, video osceni, ovviamente
‘modificati’, furti, fino alle scritte contro un’insegnante, la
cui colpa viene addossata a Bianca. Il risultato è una bocciatura
immeritata, con grande dolore dei genitori, che con il loro bar e con
mille sacrifici hanno consentito ai figli di studiare.
La colpevole di questa cospirazione,
abbastanza machiavellica, è certamente Greta, di questo la
protagonista è convinta, ma non osa confidarsi con i suoi amici di
sempre Olivia e Chicco, ma solo con la compagna di classe Mila. Alla
fine dell’anno scolastico è con lei che partirà per una breve
vacanza al mare ed è durante questo viaggio che si svelerà la
verità.
Bianca fugge dal pullman su cui stava
viaggiando e comincia a vagare fino a essere raccolta da un ragazzo
alla fermata di un bus. Sta cercando una volontaria che deve
accompagnare a un rifugio in montagna. Bianca approfitta del
fraintendimento e inizia la sua fuga dal mondo; nel corso di due
mesi, lavorando con compagni silenziosi quanto lei, ma partecipi nei
limiti del possibile al suo dolore.
Un passaggio necessario per poter
guardare al passato senza disperazione.
Il romanzo è dunque concepito in due
parti, la discesa all’inferno, grazie all’intervento sistematico
di una coetanea, e la lenta risalita, grazie alla presenza di
estranei solidali. La prima parte alterna il racconto dal punto di
vista di Bianca, scritto in seconda e terza persona, alle pagine del
diario della persecutrice, di cui si intravedono le motivazioni. Da
una parte, dunque, l’inconsapevole ‘caduta’ di Bianca che
subisce le violenze crescenti senza riuscire ad arginarle, presa in
una spirale depressiva che la porta all’autolesionismo. Dall’altra
una voce carica di odio e di rancore, come se la distruzione di
Bianca fosse l’unico rimedio a una vita non sopportata. Sullo
sfondo le famiglie, dove campeggiano inesorabilmente genitori
distratti dal lavoro o dai disastri coniugali, fatti di separazioni,
adulteri, distrazioni. Padri e madri che poco sanno e meno vogliono
sapere dei propri figli, salvo disperarsi quando sono messi di fronte
ai loro drammi.
La forza di questo racconto di
adolescenze perdute non sta nella plausibilità, perché davvero che
nessuno veda, si insospettisca, si ponga dei dubbi è un po’
forzato; così come lo sono le figure di adulti, che sono più che
altro attori muti e passivi che fanno da sfondo al dramma che consuma
i loro figli. La vera forza sta nel descrivere quello che davvero può
succedere fra una vittima e il suo carnefice. Una vittima che in
qualche modo introietta la responsabilità di quanto accade e se ne
fa annichilire, una carnefice che riesce a trovare una sorta di
riparazione ai propri disastri, distruggendo la vita degli altri. Un
meccanismo feroce che difficilmente può essere smontato da chi lo
vive direttamente. La solitudine che gli e le adolescenti vivono è
spesso il frutto delle lenti deformanti di un’identità in
costruzione, che si percepisce unica e sola di fronte a un mondo
ostile; questo spesso non consente loro, come in questo romanzo, di
chiedere aiuto.
Il racconto di Benedetta Bonfiglioli ha
tutte le caratteristiche del noir, costruendo una storia che porta
inesorabilmente il lettore e la lettrice ad aspettarsi un finale che
poi viene addolcito da un necessario colpo di scena. Una svolta
imprevista che consente alla protagonista di uscire dal tunnel in cui
era finita, con una nuova vita tutta da scrivere.
La durezza delle situazioni e il
linguaggio esplicito mi spingono a consigliare la lettura dopo i
sedici anni.
Eleonora
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