DE RERUM NATURAE,
ovvero sulla Natura e roba del genere
Se le cose fossero
andate diversamente, con ogni probabilità questi libri avrebbero
meritato una riflessione separata, una per il nuovo libro di Emma
Adbåge che si intitola Natura e una per L'erbaccia
di Quentin Blake. La circostanza, non casuale, che abbiano viaggiato
assieme in una unica busta, è stata presa come spunto, forse
pretestuoso, per metterli assieme in una riflessione sulla
questione comune intorno a cui ruotano.
Per tenerli insieme, a parte il tema, si
potrebbe dire, per esempio, che dove finisce uno inizia l'altro.
Emma Adbåge racconta
con voce di bambino cosa sia la sua, del bambino, percezione della
natura circostante. Il ragionamento di questo ragazzino si muove
intorno ad alcune constatazioni di fatto. Via via che la sua
osservazione si costruisce e delinea, si deduce che il rapporto con
la natura e le persone che il ragazzino ha intorno a sé sia
difficile.
Ed è proprio da qui,
ovvero da una oggettiva situazione di impedimento che parte il libro
di Blake.
Procediamo con ordine: nel libro
della Adbåge l'io narrante parte dalla constatazione che distinguere
tra il paesino in cui lui e le persone, un po' di animali -come cani
e roba del genere- vivono e le altre cose -come boschi, lago,
cespugli, mare- che si possono chiamare Natura. Prosegue constatando
che alle persone piace la Natura mentre alla Natura non piace nulla
in particolare, quindi neanche le persone. Lei va avanti e basta.
La sua successiva presa
d'atto attesta che alle persone la Natura piace fino al momento in
cui essa non diventi di intralcio: per esempio il tiglio, che perde
tutte quelle foglie che poi devono essere raccolte, è meglio
tagliarlo.
Per non parlare della troppa neve che si accumula e che si
scarica nel lago, o delle erbacce (!) che vanno tirate via e
sostituite con del liscio e pulito asfalto, o del vento che va
ostacolato con un molo più resistente, o del caldo che va combattuto
a cubetti di ghiaccio in piscina... Il fresco arriva dall'aria
condizionata nelle macchine, perché fuori il caldo aumenta ed è in
arrivo anche un gran temporale, con i fulmini che portano il fuoco e
poi il vento che distrugge tutto quello che ha intorno. E quando
tutto si placa di nuovo, e questa è la constatazione finale, da una
parte c'è il paesino - più che altro case, asfalto e roba del
genere e dall'altra la Natura - come boschi, lago, cespugli, mare.
E da una situazione del
genere sembra partire la storia di Blake che esordisce esattamente
così:
"Il mondo stava
diventando secco e arido e sempre più difficile da abitare. Finché
un giorno, senza alcun preavviso, nella terra si aprì una profonda
spaccatura e la famiglia Dolciprati ci si ritrovò sul fondo."
I
Dolciprati, in teoria, potrebbero essere tra gli abitanti del
paesino della Adbåge? In linea di principio, sì. A vederli, però,
sembrano molto più simpatici e decisamente più sprovveduti, in
fondo a quella buca.
Padre, madre, Marco e Lily i due fratelli, e il
loro merlo indiano parlante, Octavia, che, apertale la gabbietta,
vola in alto e torna con un semino che lascia cadere in una crepa del
terreno, in fondo alla voragine, ai piedi dei Dolciprati che la
guardano pieni di stupore. All'istante, da quel seme comincia a
crescere una pianta. Parrebbe solo un'inutile erbaccia, se non fosse
che, diventando sempre più grande, sempre più alta e robusta con le
sue foglie tutte diverse sembra adattissima, come suggerisce con
saggezza indiana il merlo Octavia, a portarli fuori di lì.
Un
ibrido tra il robusto fagiolo della fiaba e un albero dei desideri
che provvede ad appagare con la dovuta cura la fame dei singoli
componenti della famiglia Dolciprati e un arbusto intelligente e
generoso nel mettere in salvo i quattro da eventuali cadute, per poi
farli atterrare sani e salvi, di nuovo in superficie.
Dove
la Natura, sempre lei, si è ripresa un po' di spazio.
Del
legame tra le due trame si è detto fin qua.
Dei
distinguo, di alcuni e non tutti, che da qui in poi vengono messi in
elenco, ognuno poi proverà a trarre le proprie conclusioni.
Emma
Adbåge costruisce, come è suo costume fare, una storia nata
dall'osservazione della realtà. Qui, parrebbe, con minor distacco
del solito.
Quentin
Blake parte da un piccolo dato di realtà e poi racconta una fiaba
che per molti versi porta in sé semi ben più antichi, che verrebbe
da definire di radice biblica.
Emma
Adbåge si mette ad altezza
bambino, come è suo costume fare, per raccontare dei fatti. Questa è
una delle grandi capacità che le vanno assegnate e una delle qualità
che distinguono i suoi bellissimi libri.
Quentin Blake ha il tono di un vecchio sapiente che sta raccontando
un apologo di valore filosofico.
Emma Adbåge è tagliente nel disegno sbilenco, come nelle parole,come è suo costume fare, e riconferma qui la sua dote naturale nel
saper raccontare senza filtri pietosi la realtà per come la può
vedere un bambino: senza sovrastrutture, armato solo della forza dei
fatti. L'ironia e talvolta il sarcasmo di testi e disegni arrivano un
po' dopo e, forse, solo ai più grandi. Il tono, che Samanta
K. Milton Knowles traduce felicemente, è quello di un parlato
veloce, spontaneo, diretto. Volutamente e con sapienza sempre un passo prima della
sgrammaticatura.
Quentin Blake di contro è empatico con i suoi personaggi.
È quasi
affettuoso con loro e alla fine se ne fa carico e li porta sempre e
comunque 'a casa'. Lui ha un tono lento e attento, curato, direi
profetico nella voce del merlo. Nessun giudizio, nessun sarcasmo.
Emma Adbåge ha evidentemente una sua denuncia da fare, ha una
questione che le preme venga affrontata, ha una sua precisa lettura
della realtà intorno a cui costruisce un discorso polemico di cui
quel bambino è consenziente portavoce. Come a dire, se non fosse già
chiaro, che il pensiero del suo protagonista coincide con il suo.
Quentin Blake ha prima di tutto una bella storia da raccontare, una
storia che ha del magico in sé e che contiene un germoglio - è
proprio il caso di definirlo così- dalle grandi potenzialità, con
il compito di svilupparsi ed eventualmente sbocciare, quando sarà il
tempo, nelle coscienze di ciascuno.
La sua posizione, il suo messaggio vola alto con Octavia, per
ridiscendere e ancorarsi alla realtà, solo nelle sei parole della
dedica finale.
Carla
La Natura, Emma Adbåge (trad. Samanta K. Milton
Knowles)
Camelozampa, 2021
L'erbaccia, Quentin Blake (trad. Sara Saorin)
Camelozampa 2021
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