UNA STORIA DIFFICILE
Marco Magnone, autore insieme a Fabio Geda della saga ‘Berlin’, affronta nel suo ultimo romanzo, ‘Fino alla fine del fiato’, una delle più grandi paure: la strage messa in atto da un singolo, o da un piccolo gruppo, ai danni di persone incolpevoli.
Lo spunto è dato dall’episodio, tristemente noto, di Breivik, l’estremista di destra che nel 2011 uccise sessantanove persone, per lo più ragazze e ragazzi che partecipavano ad un campo estivo del partito socialista norvegese.
La storia viene trasposta in un campeggio sulle montagne vicine al paese di Castiglione; non è un campeggio qualsiasi, da molti anni i due organizzatori, Nando e René, ne hanno fatto un luogo d’incontro per discutere insieme di argomenti importanti, invitando anche personalità del giornalismo e della cultura.
L’Isola, il nome di questo campeggio molto spartano, non prevede cellulari, giochi elettronici e altre fonti tecnologiche di distrazione: la cosa più importante è stare insieme, parlare, immaginare anche un mondo migliore.
Non è esattamente questo lo spirito con cui tanti ragazzi e ragazze partecipano, allettati soprattutto da un tempo libero lontano dalla famiglia.
I personaggi principali della storia sono tre ragazzi: Seba, il suo migliore amico Filo e sua sorella , Marti, di cui Seba è innamorato.
La prima parte del romanzo racconta proprio dei legami che si intrecciano fra ragazze e ragazzi: chi cerca nuovi amici, chi sogna storie d’amore, comunque misurandosi con i propri limiti e le proprie abilità. Nonostante l’attenzione sia concentrata su questi tre personaggi, il cui punto di vista si alterna di capitolo in capitolo, l’azione è spesso corale, mostrando le diverse dinamiche di questo gruppo.
Arriva però il giorno in cui una persona qualsiasi, illividita dalla perdita del lavoro e dalla solitudine, decide di pareggiare i conti con il mondo, uccidendo la persona che ritiene responsabile della sua rovina. Solo che quella perversa sensazione di potere, data dall’imbracciare il fucile, lo induce a colpire ancora, dando la caccia a chi tenta di fuggire.
Tutto il mondo di speranze, progetti, amori nascosti e amicizie rivelate va in mille pezzi; resta la paura primordiale di essere predati, resta il coraggio di qualcuno, l’impotenza, la solitudine. E, alla fine, la conta di chi non c’è più.
Il romanzo per certi versi è sorprendente: riesce a passare con grande fluidità da un registro intimista, con l’acuta descrizione degli stati d’animo dei vari personaggi, ad un altro che ha il sapore del thriller, con un incalzare degli eventi che non dà tregua al lettore, incatenato alla pagina dal continuo cambio di scenario, che inquadra i diversi personaggi, delineandone la sorte. E’ ben riuscita anche la descrizione della montagna, con la sua bellezza, i suoi odori, le sue insidie.
La narrazione scorre veloce fino a un finale che vede vittime e sopravvissuti legati per sempre dal terribile senso di colpa per essere vivi.
Non è un romanzo consolatorio, anche se nel finale cerca di indicare una via per tornare a vivere. E’ una storia molto dura, che racconta con efficace realismo le dinamiche di una situazione che, oltre alla strage di Breivik, fa pensare alle sparatorie nelle scuole americane. Qui il carnefice è una persona in cerca di vendetta, in Norvegia la strage è stato un atto politico.
Ho un’unica, grande perplessità: perché raccontare questa storia, che espone i giovani lettori e lettrici alla rappresentazione di uno dei peggiori incubi? Qui il Male non è metafisico, non appartiene al mondo fantastico delle ombre, qui si incarna in una persona qualunque, che come tale è indistinguibile dal mondo cui i ragazzi appartengono. E, se è agghiacciante la banalità del male, lo è ancora di più l’impotenza che le vittime sperimentano di fronte a esso.
Può quindi essere proposto a ragazze e ragazzi maturi, con almeno quattordici anni, evitando accuratamente le prevedibili obiezioni dei genitori.
Lettura impegnativa, coinvolgente, fonte di salutari discussioni.
Eleonora
“Fino alla fine del fiato”, M. Magnone, Mondadori 2021
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