PLEISTOCENE
Mi aspettavo un romanzo più ‘facile’, e l’autore non me ne voglia, e invece ho trovato un romanzo che squaderna una serie di questioni spinose all’interno di una trama coinvolgente, dal finale inaspettato. Si tratta de ‘L’ultimo cacciatore’, firmato da Davide Morosinotto per i tipi di Mondadori.
Partiamo dalla trama: l’azione si svolge alla fine del Pleistocene, in una zona dell’attuale Florida. Protagonisti un gruppo di ragazzini, cinque nati quasi contemporaneamente e una sorella di loro, che restano improvvisamente soli, dopo che un incendio devasta il loro villaggio e uccide le loro famiglie. Sono in un’età di passaggio, ancora non hanno fatto la prima vera caccia, ma non sono più bambini. Il protagonista della storia è uno di loro, Roqi, un po’ più piccolo, un po’ imbranato, senza una vera ‘vocazione’, o talento o abilità. È relegato in fondo al gruppo, insieme alla più piccola, Hana, che un talento ce l’ha e riguarda gli animali, che ama e non vorrebbe venissero mai uccisi.
Il mondo in cui vivono è popolato da animali giganteschi, la cosiddetta megafauna: mammut, megateri, ovvero bradipi terricoli, tigri dai denti a sciabola e così continuando.
Non a caso la prova di coraggio che segna il passaggio all’età adulta è proprio la caccia al mammut. Gli avvistamenti di questi giganteschi mammiferi si fanno sempre più rare, perché? Alla fine dell’ultima era glaciale, i cambiamenti climatici hanno messo in difficoltà numerose specie animali e la contemporanea presenza di un predatore sistematico come l’uomo le ha spinte progressivamente verso l’estinzione.
Questo è lo sfondo su cui si svolge l’azione. Il gruppo di Roqi, dunque, cerca di organizzarsi sfruttando le proprie competenze e abilità, sopravvivendo come può a tutte le insidie che li circondano. Il primo di loro a cadere non sopravvive alle ferite riportate nello scontro con un volatine gigantesco, intento a sottrarre una preda. L’incontro con un viaggiatore solitario sembra, viceversa, portare loro conforto. Li accompagna da un’altra tribù e i ragazzi portano in dono l’avvistamento di un mammut, avvistamento che attribuisce momentanea gloria a Roqi. Si organizza quindi la caccia non tanto al maschio solitario quanto al piccolo branco di femmine che lui sta seguendo.
L’esito della caccia è tragico, anche se porta alla tribù tutta la carne necessaria a superare l’inverno. Roqi viene accusato di portare il malocchio e viene bandito da tutti, anche dai suoi vecchi amici. Comincia il suo peregrinare solitario, basato sulle sole regole della sopravvivenza che gli richiedono di trovare tutti i giorni da mangiare, da bere e un riparo per la notte. Ma ci sono ancora sorprese: Roqi incontra sul suo cammino il vecchio maschio di mammut e decide di affrontare da solo la sua iniziazione e ricompare Hana, la bambina che non lo ha dimenticato e lo ha seguito fin lì grazie al fiuto del cucciolo di megaterio (almeno penso che sia quello l’animale descritto), adottato all’inizio della storia.
Morosinotto, come sua consolidata attitudine, ricostruisce l’ambiente con documentata precisione, inventandosi un lessico allusivo, che fa indovinare dietro gli strani nomi, gli animali che discendono da quelli preistorici; così come ricostruisce gli usi e i costumi di un’antica tribù di cacciatori raccoglitori, enumerandone non solo gli strumenti, ma anche le abitudini, le credenze; ne descrive la fragilità di fronte ai predatori, alle malattie, alle stesse superstizioni.
Tutto questo fa de ‘L’ultimo cacciatore’ un sapiente romanzo d’avventura. Ma c’è il finale a scompaginare le carte, perché non è il finale che ci si aspetterebbe in un romanzo per ragazze e ragazzi; non c’è un ‘happy end’ consolatorio, al contrario la descrizione di un mondo, quello del Pleistocene, al suo tramonto, mentre la specie cui apparteniamo già mostra le sue capacità distruttive.
Quanto al protagonista, Roqi rivela tutta la sua umana fragilità di fronte ad una natura soverchiante, ma al tempo stesso vittima di un agire umano inconsapevole.
Tutto questo non è rassicurante, non disegna la gloriosa storia dell’umanità come una linea retta che corre verso il futuro; e mette in luce i mali e le superstizioni di un piccolo gruppo umano, disarmato di fronte alle piccole e grandi tragedie della vita.
È un romanzo che apre numerose questioni: sul ruolo che abbiamo avuto e abbiamo nella biosfera dell’unico pianeta che abbiamo, su cosa sia vero coraggio, talvolta il non fare sarebbe meglio del fare, ma non siamo capaci di fermarci. Siamo ancora quel piccolo caparbio cacciatore, che non può vedere a cosa porterà uccidere tanti mammut, che non può pensare il futuro?
Non è un romanzo ‘facile’, nonostante sia avvincente, sostenuto dal ritmo dei colpi di scena, delle battute di caccia, delle svolte narrative, delle delusioni e dei tradimenti che portano il protagonista alla solitudine; è, al contrario, spiazzante, molto più denso di quanto potrebbe apparire a dare una scorsa alla trama. Un romanzo utile ad aprire questioni, direi quasi necessario, per diventare grandi.
Lettura caldamente consigliata a ragazze e ragazzi, partire dai dodici anni.
Eleonora
“L’ultimo cacciatore”, D. Morosinotto, ill. di F. Visintin, Mondadori 2021
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