IL 'SALTO DI SPECIE'
Iperborea 2021
ILLUSTRATI PER PICCOLISSIMI (dai 3 anni)
"Guarda Amleto. Amleto non contento.
Mamma di Amleto cattiva. Papà di Amleto morto.
Amleto si becca altro papà. Altro papà supercattivo.
Papà di Amleto adesso spettro. Spettro che parla."
La storia, così come l'ha concepita Shakespeare, è nota: Il re di Danimarca è morto; il figlio ed erede al trono, il principe Amleto, sugli spalti del castello di Elsinore, ne vede lo spettro che gli rivela di essere stato avvelenato dal proprio fratello Claudio che ne ha poi sposato la vedova, la regina Gertrude, e ha usurpato il trono.
Amleto giura al padre di vendicarlo e comincia a fingersi pazzo per poter scoprire la vera verità, ma è tormentato da dubbi e indecisioni.
In uno dei suoi raptus, respinge anche Ofelia, figlia del ciambellano Polonio, che pur ama e da cui è riamato; mentre interroga in un drammatico colloquio la madre, già che c'è, uccide Polonio, sorpreso a spiare dietro una tenda.
Ofelia, intanto, impazzita dal dolore, si annega; suo fratello Laerte decide di vendicare la sua morte e quella del padre. Di questa situazione approfitta Claudio, che invita i due giovani a confrontarsi in un duello incruento; in realtà fa avvelenare la punta della spada di Laerte, nonché il vino da offrire ad Amleto, in caso di sua vittoria.
Il giovane principe viene ferito, ma riesce comunque a uccidere sia Laerte, che prima di morire gli rivela la verità, sia lo zio usurpatore; e come se non bastasse, la regina Gertrude muore per aver bevuto, inconsapevole, il veleno destinato ad Amleto.
Totale dei morti: il padre di Amleto, la madre di Amleto, lo zio di Amleto, Ofelia, suo fratello Laerte, suo padre Polonio e, naturalmente, Amleto.
Forse una delle storie più raccontate al mondo. Una delle tragedie di Shakespeare che ha valicato i confini dei teatri ed è entrata nel nostro immaginario per fermarcisi.
Se si dice Amleto, immediatamente viene in mente quel ragazzo malinconico, cereo e vestito di nero, che si aggira tra le nebbie che avvolgono Elsinore con un teschio in mano, nella sua inguaribile e perenne incertezza, sussurrando frasi, che sono diventate l'espressione per eccellenza del macerarsi nel dubbio.
Shakespeare si sarebbe detto una roba da adulti o, tutt'al più, da ragazzi già grandicelli.
Vista la bellezza della storia, ne esistono infatti interessanti riduzioni letterarie, talune anche magnificamente illustrate, tutte però immaginate per lettori che superano ampiamente il metro di altezza. Eppure.
E qui arriva il colpo di genio, l'ennesimo verrebbe da aggiungere, di Barbro Lindgren.
Consapevole dell'impatto emotivo che questa storia ha dimostrato di avere nel corso dei secoli, quanto meno nel nostro emisfero, consapevole altresì del fatto che, al pari delle più grandi narrazioni, l'Amleto parla una lingua universale, quella della fiaba e del mito, in grado di dire sempre qualcosa a ciascuno di noi, la Lindgren ha azzardato il 'salto di specie' e lo ha trasformato in un racconto per bambini piccolissimi.
Ossia quei bambini e bambine che sono ancora lì a prendere le prime misure del mondo e dell'umanità circostante e che per maggiore efficacia (ben lontani dal manicheismo dei grandi) ragionano per macro categorie: buono, cattivo; bello, brutto; grande, piccolo; triste, allegro; freddo, caldo.
L'unico modo possibile per rendere questo grande classico della letteratura accessibile a dei bambini davvero piccoli è quello di provare a entrare in sintonia con loro, raffinando - setacciare pulire sfrondare limare - la lingua fino a farla diventare talmente leggera, scevra da ogni impurità, in altre parole, talmente esatta nei confronti del concetto che ne è la base, da trasformarla in un codice che capirebbe anche un marziano (e sto pensando al marziano per antonomasia, che si faceva capire con un codice elementare ma di tale efficacia che, a distanza di quarant'anni, il suo lessico è ancora scolpito nelle nostre memorie).
Trovata la lingua adatta, si potrebbe però obiettare che sono i contenuti dell'Amleto di Shakespeare a non essere adatti a un pubblico poco più che infante: tutta questa carneficina molti adulti la potrebbero considerare inappropriata per piccolissime orecchie e teste. Eppure.
E qui, purtroppo, a parte ribadire fino allo sfinimento il concetto che non esiste nulla che non possa essere raccontato a un bambino (compresa la morte, anche cruenta), a patto di farlo con le necessarie modalità, mi vedo costretta a raccontare due piccoli pezzettini della mia vita personale.
Per etica professionale e pudore, cerco sempre di lasciare fuori le mie esperienze, perché hanno valore 1; ma qui potrebbero essere illuminanti.
Primo pezzettino: mio padre a spasso con mia figlia margherita di tre anni a cui raccontava, schiacciando pinoli, di Sigfrido (da Wagner presumo), di Achille, di Orlando (furioso), passando allegramente dalla mitologia classica a quella norrena, attraverso l'epica cavalleresca: niente Cappuccetto Rosso, ma Nibelunghi. A distanza di ben più di quindici anni quella stessa margherita apprese che tutta quella gente che aveva abitato il suo nascente immaginario di allora, oggi esisteva 'davvero' sulle pagine di grandi libri, nei libretti di grandi opere...
Bel corto circuito, bravo nonno!
Secondo pezzettino: per ragioni che non è importante spiegare qui, nel 2018 su fotocopie in bianco e nero traduco all'impronta e leggo a un preciso bambino di meno di 3 anni Titta Hamlet, per vedere l'effetto che fa. L'unica cosa che mi prendo l'arbitrio di aggiungere, nella lettura ad alta voce, è la parola zacchete a ogni colpo di spada.
Risultato: il bambino è entusiasta e, alla terza lettura consecutiva che pretende, è già lì che brandeggia una spada immaginaria e all'unisono con i miei zacchette, l'affonda nell'aria circostante.
E a ogni finale, ridiamo di gusto insieme dicendo: buona notte, buona notte!
Per prevenire qualsiasi commento bacchettone o purista, io posso solo replicare: signori, ma questo è Shakespeare.
A tutto questo si è poi aggiunto un finale ulteriore.
Il libro dopo poco esce con Thule in spagnolo, lo compro e su pezzetti di carta incollo la traduzione (gli zacchete restano) fatta all'epoca, coloro a pastello (una sorta di rigatino da restauratori) i pezzetti di testo che sono nelle belle tavole della Höglund e lo regalo a quello stesso bambino ormai quattrenne.
Ancora a due anni di distanza, il libro esce finalmente anche in italiano per merito di Iperborea (Odino li protegga).
Ne ricevo una copia, la metto nello zaino e la porto a casa di quel bambino che ormai ha 5 anni compiuti e chiedo alla madre se per caso abbia ancora il libro homemade. Va alla libreria, lo prende e me lo mette in mano. Lo sfoglio e lo rileggo.
Continuo a pensare che sia un piccolo capolavoro di Lindgren che ha il coraggio di raccontare Shakespeare con tanta esattezza e di Höglund che non ha paura della cupezza del grigio e del rosso sangue e non teme di scrivere il nome Amleto con le ossa.
E, per parte mia, sono molto orgogliosa di averlo messo nelle piccolissime mani di quel bambino che quando sarà più grande, di Amleto ricorderà la triste storia.
Ne sarà valsa la pena: provare per credere.
Carla
Noterella al margine: molto immodestamente non riesco tuttavia a staccarmi dalla mia traduzione del cuore. A parte il valore affettivo, Iperborea mi perdonerà se in nome di quella esattezza di cui si parlava, continuerò a leggere, invece di Buona nanna!, un più shakespeariano e onesto Buona notte! (Buona notte!)
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