DELLA LEVRIERITUDINE
Corraini 2022
ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)
"Per chi non sapesse cos'è un levriero, è un cane che ricorda il ghepardo, se non fosse per il muso troppo lungo e per la mancanza di pois.
Ma soprattutto, a differenza del ghepardo, è un animale estremamente prudente e timoroso.
Eppure il levriero è alto ed elegante. Potrebbe essere fiero come un cavallo... se non avesse paura di tutto. Ma proprio tutto."
Le cose che un levriero nella norma teme sono i piccioni, i palloncini, i funghi sul cammino, gli ombrelli aperti (beninteso, anche chiusi), di tutto ciò che va su ruote, ovviamente dei gatti, del vento. E di molte altre cose. Questo genera in lui uno sguardo sempre sull'orlo della lacrima e poi, fa come il vento, e va a nascondersi. Nei posti consueti per i cani: sotto e sopra il letto, ma sotto la coperta, ma anche in molti altri posti che si direbbero impensabili... come per esempio la cima degli alberi o in qualunque tipo di vaso o di contenitore.
Stanarlo non sarà facile, perché i metodi tradizionali, ovvero un salamino o una palla da tennis lo lasciano del tutto indifferente.
Così come dice il proverbio che chiodo scaccia chiodo, nel caso dei levrieri spavento scaccia spavento. Il fatto è che lo spavento porta sempre con se il desiderio di fuga e la ricerca di un nuovo nascondiglio...
Un po' come dire che siamo davanti a un classico caso di 'cane che si morde la coda' per intendere che la soluzione alla convivenza spensierata con un levriero a tutti gli effetti non sembra esserci.
Questo libro è dedicato a una levriera in particolare, Alma, che, con la testa nascosta in un innaffiatoio, ha avuto la fortuna di assurgere alla ribalta, solo per aver vissuto due giorni con Andrea Antinori, che intorno a lei ha montato un intero libro, salato in almeno due sensi.
L'unica accezione dell'aggettivo 'salato' che qui val la pena di menzionare è quella che allude alla sapidità e arguzia della storia.
Della seconda accezione, di cui Antinori non è direttamente responsabile, non val la pena dire nulla o recriminare. Ormai è andata...
I libri di Antinori sono spesso gustosi, nel senso che hanno sempre un qualche ingrediente che li rende inconfondibili, di piacevole lettura e, in qualche modo, indimenticabili.
Probabilmente dipende dal modo che ha di guardare il mondo, con uno sguardo che è sempre un poi straniato, stupito e in attesa degli eventi. Di certo, divergente. Forse questo modo di percepire e poi interpretare un segmento di esistenza lo avvicina un bel po' a quello che è il modo di sentire di chi è nuovo al mondo, di chi è piccolo e non appesantito troppo dall'esperienza.
Questa leggerezza è uno dei caratteri che gli si possono attribuire, una leggerezza che è sempre al limite dell'ingenuità ma che poi è in grado di ritrovare una propria forza data dalla consapevolezza. Ormai Antinori ha sulle spalle un considerevole curriculum che si è costruito nel tempo senza mai fare deroghe al suo stile molto particolare. Una serie di riconoscimenti avuti qui e lì ne attestano il valore.
Come in altre sue storie, anche in questo libro su un levriero, non smentisce il suo gusto ironico nell'oscillare volutamente tra finzione e realtà. Molti dei caratteri che attribuisce a questo stranissimo cane sono frutto di invenzione, un'invenzione che gioca sul crescendo; tuttavia è fatto salvo il senso finale di questo prontuario per saper gestire la timidezza di questo affilato cane.
I levrieri, e ne parlo con una certa cognizione di causa, sono effettivamente animali molto schivi, che nei consimili non dimostrano interesse, mentre invece hanno un gran bisogno del prossimo, di quello su due zampe, attenzione però non di tutto il genere umano: si affezionano solo ai propri umani e con difficoltà riescono a gestirne gli allontanamenti. Effettivamente tutto il resto sembra aver poco valore, topolini a parte di cui sono strenui cacciatori. E allora lì dimenticano tutto.
Ma per tornare al levriero che appartiene all'immaginario di Antinori, e che il vero levriero Alma gli ha suggerito, non si può non notare la capacità di riassumere in un segno la natura di questo personaggio: in un lago di azzurro un vaso bianco contiene la curva tipica che distingue - anche nella realtà - il profilo di un levriero da ogni altro cane. In sostanza Antinori è stato così sapiente da rendere attraverso pochi emblematici tratti la levrieritudine.
Come spesso accade nei suoi libri, sebbene il segno a prima vista possa sembrare ingenuo, con questo tratto di matitona nera, ma più spesso di pennarello a volte volutamente impreciso nei registri tra un colore e l'altro, tuttavia dimostra una efficacia nel rendere l'essenza dell'oggetto/animale/persona che vuole raffigurare. E bravo.
Grande espressività dimostra il levriero con i suoi occhioni sempre spalancati, o il cavallo che è in fila per mettersi in mostra sulla cima del monte. Anche in questo ultimo libro si riconosce la costruzione del disegno da parte di Antinori: quel suo uso molto particolare del fondo bianco di una pagina, spazio virtuale in cui spesso mette a galleggiare oggetti, o persone, ignorando in modo programmatico - così come lo farebbe un bambino - la giusta collocazione prospettica in uno spazio reale, tridimensionale. La pagina, il suo bianco, Antinori non lo vuole riconoscere come potenziale contenitore di volumi, al contrario non perde occasione per esaltarne la bidimensionalità.
E dunque chi meglio di un levriero, seppure nascosto, starebbe meglio nello spessore minimo di un foglio di carta?
Carla
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