lunedì 21 novembre 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DIRE LA VERITA' 

Parole di caramello
, Gonzalo Moure, Maria Girón (trad. Francesco Ferrucci) 
Kalandraka 2022 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dagli 8 anni) 

"Kori finì di mangiare le sue lenticchie e andò in cortile. Si guardò intorno e non vide né sua madre, né la sorella maggiore, e nemmeno i suoi fratellini. Trovò le vecchie forbici con cui sua madre tagliava l'erba, e scegliendo ogni singolo stelo, ciascuno in un punto diverso in modo da non far notare la loro mancanza, preparò un ciuffo nella sua mano. Una volta finito, rimise le forbici dove le aveva trovate e guardò la piccolissima coltivazione d'orzo: non se ne sarebbe accorto nessuno. Nascose la mano con il ciuffo d'erba sotto la camicia e andò verso i recinti." 

Un fascetto di erba d'orzo è il suo primo regalo per in nuovo nato. 
Nel recinto dove i suoi zii allevano la dromedaria, è nato un piccolo. Kori lo va a trovare tutti i giorni e lo considera il suo unico amico. Quasi tutto il suo tempo Kori lo passa al di qua della rete a parlare e ad ascoltare quello che il piccolo dromedario, cui lui ha dato il nome di Caramello, ha da dirgli. 
Kori è un bambino sordo. Dalla sua bocca non escono suoni, ma nella sua testa riesce a leggere i segni diversi che fanno le labbra delle persone ma legge anche sulle labbra del piccolo dromedario sulle sue labbra che masticano l'aria versi e frasi. 


Nasce in Kori l'assoluta necessità di scrivere per ricordare quanto ascolta da Caramello. 
Kori così torna a scuola e con molta fatica e impegno impara a scrivere per non dimenticare. Riempie le pagine con i suoi pensieri, sono vere e proprie poesie, e con i pensieri di Caramello. 
Il dromedario cresce e dopo un anno il suo destino è segnato. Nella povertà in cui vivono tutti in quel campo di rifugiati saharawi in mezzo al nulla del deserto algerino, non c'è alcuna possibilità di allevare un dromedario maschio: le femmine danno il latte, i maschi... la carne. 

Due cose colpiscono chi legge questo racconto di Gonzalo Moure (Trenor) e tutte e due hanno a che fare con il saper raccontare la verità, nuda, per ciò che è. 
Sembrerebbe un compito semplice, quasi naturale, e invece non lo è affatto. Soprattutto, se si considera l'ambito in cui ci si trova: la letteratura per l'infanzia. 
Gonzalo Moure conduce il lettore, lo prende letteralmente per mano, per spiegargli con grande chiarezza e dovizia di dettagli, il luogo e il contesto in cui tutto avviene. La povertà assoluta di poche case di terra cruda in mezzo al nulla: non un albero, né un po' di erba. 
Ogni tanto qualche camion che nella polvere attraversa il villaggio per portare acqua o bombole di gas diventa per i ragazzini il divertimento della giornata. Inseguirlo, attaccarsi al paraurti e scendere al volo quando gli uomini seri che lo guidano scendono per liberarsene, dei ragazzini. 
E su tutto questo un immenso cielo azzurro da cui non cade neanche una goccia d'acqua. 
Qui vive Kori che è un bambino sordo: non ha nulla per sé, né suoni né voce, a parte l'affetto dei pochi adulti che gli girano attorno. Il loro tempo e la loro attenzione, però, è sottomessa a obblighi e faccende quotidiane. Così in famiglia nessuno si accorge per tempo della sua fuga con il piccolo dromedario e suo zio non ha mezzi per permettersi di allevare un secondo dromedario. 
In questo modo la verità diventa scomoda da raccontare, con tanti spigoli. Eppure. 
Nessuna ricerca di arrotondarli, gli spigoli, nessun tentativo di ammorbidire i toni, o di addomesticare la sequenza dei fatti per addolcire la lettura. Altro che parole di caramello.
Ma sono bambini... 


Ecco, è proprio questo il punto: sarà più saggio e utile nascondere loro certe durezze o piuttosto è più intelligente, serio e soprattutto onesto prenderli per mano e fargli attraversare questo piccolo dolore - che non va dimenticato è pur sempre letterario - per poi farli ragionare che così può essere la vita: con diversi spigoli contro cui sbattere? 
Potrebbe sembrare una domanda retorica, ma non lo è affatto, purtroppo. 
Ma erano due le cose che avevano relazione con il racconto del vero: la seconda è nell'altro lato di questo racconto, ossia nelle immagini. 
Maria Girón dimostra innanzi tutto una grande sapienza nel segno, nella tecnica e nella resa della luce, ma soprattutto un grande talento nel saper disegnare i bambini e, forse più in generale, i corpi umani. 
E, più in particolare, saperli ritrarre nell'atto di agire, di muoversi nello spazio. E nel farlo applica una regola d'oro, ovvero l'onestà di cui si parlava prima. 
Nessuna smanceria o leziosità, nessuna strizzatina d'occhio. 
Qui, forse, è anche l'impegno del testo che le ha indicato una direzione da rispettare. 
Ma anche altrove non mi pare di vedere mai quel repertorio di stereotipi da cui pescano spesso e volentieri i cattivi disegnatori dell'infanzia (calzettoni rigorosamente uno su e uno giù, possibilmente maglietta a righe, possibilmente molte lentiggini sul naso rigorosamente all'insù e ginocchia sporche...) Kori è ritratto più volte nell'atto di agire, nella grande serietà che mette in tutto quello che fa, che sia tagliare l'erba da portare al dromedario o sia imparare a scrivere a scuola.


Indossa sempre la stessa maglietta e le stesse braghe, ad eccezione del momento della fuga, in cui fa la sua comparsa il turbante. A parte la tavola con la lacrima, tutto quello che le immagini descrivono ha un suo preciso rigore interno, lo stesso che traspare dalle parole. Con la stessa serietà e oggettività si racconta il contesto. 


L'unico canale attraverso cui passano le emozioni è il colore che letteralmente vibra attraverso la luce.

Carla

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