LA GRANDE QUESTIONE
Rizzoli 2023
ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni)
"Il signor Stein costruiva marionette, ma non le faceva mai vedere ai bambini.
Le creava per realizzare i propri sogni.
A poco a poco, si ritrovò circondato da una strana famiglia.
Le sue non erano marionette come le altre: il signor Stein le faceva muovere da sole, come per magia.
All'inizio creò una bambolina innamorata.
Le mise due minuscoli sassolini nel cuore.
Sfregando tra loro, le pietre produssero scintille che la fecero risplendere tutta, illuminandole gli occhi.
Ma non appena si fu accesa, la bambolina bruciò."
Per consolarsi della perdita, il signor Stein decise di costruire un piccolo cane che gli fosse di compagnia. Ma anche questo non durò. Così accadde per un uccellino che però volò.
Alla fine ebbe un'idea che gli sembrò molto buona.
Avrebbe costruito una marionetta a sua immagine e somiglianza: un fratello a cui voler bene.
Sacrificò, per costruirgli la testa, persino gli ingranaggi del suo orologio da polso; diversi carillon per la voce.
Ma alla fine della serata questo piccolo automa non è ancora finito, mentre il signor Stein è sfinito. Continuerà il mattino seguente.
Quella notte, però, la marionetta aprì gli occhi e lentamente si alzò.
La mattina il signor Stein la trovò che guardava le nuvole dalla finestra.
La marionetta, girandosi gli chiese, Sei tu mio fratello? Ma agli occhi esterrefatti e spaventati di Stein non era ancora conclusa, a vederla non era affatto somigliante: era solo un mostro da tenere lontano.
E nonostante il fratello meccanico ne implorasse l'affetto, non arrivò a lui neanche uno sguardo di considerazione.
E alla fine, all'alba, senza dire nulla, la marionetta se ne andò.
Ed è così che comincia la meravigliosa storia di Sentimento, in cerca di amore.
Come per incanto, un libro che si era dissolto con il tempo, riappare.
Evviva.
Pubblicato in Francia nel 2005 e poi in Italia l'anno successivo con Kite colpiva l'immaginario dei lettori, perché era uno dei primi libri della Dautremer a varcare il confine.
Il testo di Carl Norac è un piccolo concentrato di riferimenti letterari, dal Golem a Shelley, da Ovidio a Collodi.
Tutto ruota intorno alla grande questione: il rapporto tra un creatore e l'oggetto da lui creato.
La richiesta di un nome, la necessità di essere amato, di essere riconosciuto, il rifiuto sociale contro il quale non ha difese, a tutto questo si aggiunge la sua evidente imperfezione, ossia la sua incompletezza e di fatto la sua autonomia che non può essere accettata se non come un fallimento da parte del suo creatore e signore e quindi per questo rifiutata.
Il fatto che spetti a una bambina, un po' visionaria, il compito di scaldare quel cuore meccanico è anche quello un topos letterario ben consolidato.
Non è roba da poco. Ma è una roba che pesca talmente indietro nel tempo e pesca altrettanto in profondità nel nostro immaginario, che si ha la sensazione di essere di fronte a un vero archetipo che appartiene a tutti.
Questa è la materia, sorta di argilla che Norac e Dautremer vanno a plasmare per renderlo quel magnifico racconto che è.
Siccome si sta parlando di Norac, il livello di qualità del testo si percepisce all'istante. Una serie di dettagli compaiono qui e là per definire il senso di tutto il racconto: sassolini che che fanno scintille per illuminare uno sguardo (la cui ombra la Dautremer trasforma in un cuore); l'ingranaggio dell'orologio preferito per il cervello; i carillon per la voce; la sciarpa per combattere il freddo di una marionetta; il nome di un circo che diventa un destino; i lampioni accessi che diventano occhi.
Su questa sua innata capacità di essere immaginifico, visto che è poeta di professione, è in grado di affondare colpi potenti, veri e propri tagli che ci lacerano i sentimenti. Ma solo così si può arrivare in profondità.
E a proposito di profondità, Rébecca Dautremer. A trentacinque anni illustra questo concentrato di umanità messa giù in poesia. Una volta Baricco, a proposito di Seta che lei ha voluto a tutti costi illustrare, ha detto che le sue tavole sono di bellezza accecante e che non sembrano passare attraverso mano umana, ma arrivare direttamente dall'immaginazione.
Qui non c'è ancora la Rébecca accecante dei suoi libri più maturi, ma si vede già con molta chiarezza tutto quello che lei poi sarà. La palette di colori, la sua capacità di dare fisicità ai volumi e di torcerli a suo uso e consumo, la luce, oh la sua luce e la sua ombra, gli ambienti costruiti come veri e propri set fotografici, le texture, l'attenzione per i dettagli di cui dissemina i suoi disegni, i cambi di prospettiva spesso molto arditi nel loro essere obliqui, e, naturalmente le sconfinate profondità di campo.
Nessun sorriso esplicito, ma occhi grandi e malinconici, lievemente a mandorla.
Insomma, la Dautremer.
Carla
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