mercoledì 7 agosto 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

IN QUALI ALTRI MODI LA FOTOGRAFIA POTRA' SORPRENDERCI? 


Si può parlare di fotografia ai bambini in vari modi, ma ce ne vengono in mente soprattutto due: il manuale tecnico (e in commercio ce ne sono già) oppure il racconto della sua storia, dai primi tentativi agli ultimi straordinari esiti della tecnica. Cosa non facile quest’ultima, considerata la distanza siderale che intercorre tra le origini della fotografia e quello che oggi siamo abituati a maneggiare in grande quantità e con estrema disinvoltura, tanto che si fa fatica ad ammettere che si stia parlando della stessa cosa. 
Allora come colmare questo grande gap? 
Sarà sufficiente raccontare cosa hanno fatto F. Talbot e L. J. M. Daguerre nel diciannovesimo secolo e come questi tentativi siano stati di volta in volta elaborati? Evidentemente no, se ci sono dei bambini che potrebbero sapere poco di quello che nell’Ottocento in generale accadeva e soprattutto, potrebbero essere poco interessati a saperlo. 
Le autrici di questo libro, Elisa Lauzana e Irene Lazzarin, scelgono di fare entrare i bambini nel racconto storico, e non bambini in senso astratto, ma proprio quelli che hanno realmente contribuito alla realizzazione del libro, partecipando ai giochi che le due autrici hanno proposto e mettendo in scena un dialogo immaginato con i pionieri della fotografia. Aprendo le bandelle della copertina infatti si possono vedere i ritratti fotografici degli alunni della classe seconda con i quali le autrici hanno condotto questo divertente esperimento. 


I piani su cui la conversazione si sviluppa sono due: quello del dialogo tra i bambini che hanno partecipato a questo esperimento e le autrici, e quello aperto e mai concluso tra i protagonisti della storia della fotografia e i lettori di oggi. Ma non esiste una distinzione netta e i due piani, che si relazionano senza soluzione di continuità, contribuiscono a fornire a chi apre le pagine del libro la sensazione di prendere parte attiva alla costruzione dell’intreccio. 
Diversamente da quanto solitamente accade, il laboratorio non è stato progettato partendo dal contenuto del libro, ma è stato quest’ultimo a venire alla luce sulla scorta dalle suggestioni e stimoli provenienti dalle esperienze laboratoriali. 
Infatti le domande e i commenti riportati sono precisamente quelli che hanno formulato i giovani partecipanti, tanto che, come le autrici riportano nell’introduzione rivolta agli adulti, possono considerarsi a tutti gli effetti co-autori del libro. 
Il testo si snoda attraverso quattro capitoli: La camera oscura: dal disegno alla fotografia, Ritratti e costumi: dal dagherrotipo alla “carte de visite”, Raccontare la realtà: la fotografia come documento, Non solo realtà: la fotografia come arte. 
Nel primo, il racconto si svolge tutto a partire da una scatola dipinta di nero (la camera buisssima appunto) e sulle indicazioni precise di come costruirne una. Raccogliendo l’eredità rinascimentale degli studi sulla prospettiva e gli escamotage che Canaletto nel Settecento adottava per riprodurre fedelmente il paesaggio che vedeva dalla sua finestra, J. N. Niépce ha tentato i primi esperimenti di scrittura con la luce. I bambini hanno riprodotto quella situazione (utilizzando però della carta fotografica), i loro elaborati sono stati inseriti nelle pagine del libro e costituiscono, per ogni giovane lettore, degli esempi di stimolo per fare altrettanto. D’altro canto sfido chiunque a non provare meraviglia di fronte alla proiezione capovolta di un’immagine reale sulle pareti di una camera oscurata. Le suggestioni che possono nascere da una simile esperienza sono tantissime e vale davvero la pena provare insieme magari a un gruppo di piccoli curiosi. 
Il secondo capitolo mostra un passaggio importante. La fotografia si distacca dall’elaborato grafico e diviene mezzo autonomo di conservazione della memoria: il ritratto fotografico, così come lo è stato per secoli quello pittorico, rappresenta un nuovo incredibile mezzo per superare il tempo e consegnare ai posteri un’immagine realistica. Ma scoprire come venivano realizzati questi ritratti è altra cosa che semplicemente osservali. Perché, per esempio, le pose dei soggetti era tutte così somiglianti? Soprattutto come mai quelle persone assumevano atteggiamenti così rigidi e statici?


L’esposizione a quelli ingombranti apparecchi fotografici era estremamente lunga, si arrivava anche a venti minuti, durante i quali il soggetto doveva sforzarsi di rimanere immobile, pena una foto mossa. Quanto può essere bello allora proporre ai bambini di vestire i panni di uomini e donne vissuti più di un secolo fa e far provare loro a posare per una foto! Il gioco del travestimento non manca mai di suscitare entusiasmo, ma proposto in questo modo permette di riflettere anche su un aspetto della fotografia, il tempo di esposizione, che gli attuali sistemi per lo più regolano in automatico. 


Con la messa in scena dei bambini, la fotografia diventa già racconto; superare la staticità di una posa è già immaginare una situazione in divenire, una premessa e uno sviluppo. Le autrici hanno quindi invitato i bambini a scegliere degli scatti, ad accostarli con un criterio narrativo o espositivo e così facendo gli hanno coinvolti nella composizione di un racconto per immagini. E le storie possono essere quelle reali o possono essere quelle inventate che nascono semplicemente dalla suggestione di una immagine.


Gli ultimi due capitoli del libro narrano del grande salto compiuto dalla fotografia nel momento in cui la pratica è uscita dai limiti angusti dello studio ed è diventata portavoce di fatti ed eventi anche molto lontani. Diventata testimonianza e documentazione di popoli e luoghi sconosciuti, contribuisce ad allargare l’universo del conosciuto e di conseguenza dell’immaginato.


Nelle ultime pagine il racconto si sviluppa intorno a quel dialogo tuttora aperto tra un’immagine fedele alla realtà e una che allontanandosi prova a reinventarla. Si può facilmente intuire che il dibattito tra le autrici e i bambini sia stato molto acceso e a dimostrazione di questo ci sono le numerose riflessioni riportate in una conversazione intavolata, tra gli altri, con Julia Margaret Cameron, donna pioniera di una fotografia audace, di una sperimentazione impavida, che considera l’errore un’occasione più che un inciampo. Muovendo dai tentativi della Cameron il libro invita i bambini a sperimentare, a provare a utilizzare materiali diversi come vetri, plastiche imballaggi che possano modificare la visione degli oggetti, a lavorare sulla deformazione e sulla rielaborazione. 
La strada che si vuole indicare è quella della ricerca di uno sguardo differente e che si eserciti a trovare modi e sentieri non ancora battuti. 
Il libro può essere proposto a partire dai 6 anni.

Teodosia  

"La camera buisssima. Viaggio alle origini della fotografia tra storie, invenzioni ed esperimenti" E. Lauzana, I. Lazzarin, Quinto Quarto 2023

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