“Be’, su di me si sbaglia. Mi fissi pure quanto le pare, ma non riuscirà a guardarmi dentro, perché lì non c’è niente. Il fatto che Alice fosse fuori di testa era sotto gli occhi di tutti. Non voglio parlare male di lei, ma è così. Io, invece, ho avuto solo una brutta giornata e ora tutti me la fanno pagare:”
Jeff, quindici anni, è il protagonista di questa storia che si svolge nell’arco di quarantacinque giorni, periodo durante il quale è previsto che lui rimanga in una clinica psichiatrica come conseguenza di un tentativo di suicidio, compiuto la notte di Capodanno senza un apparente motivo e fallito grazie al tempestivo intervento dei suoi genitori.
La sua è una famiglia composta da due genitori che lo amano e da una sorella più piccola con la quale ha un rapporto che potrebbe definirsi normale.
Il ricovero in psichiatria è stato disposto per supportarlo farmacologicamente e per chiarire a lui e ai suoi parenti come procedere per evitare recidive.
Di che cosa si parli in questo romanzo è chiaro sin dal titolo, il tentativo di togliersi la vita non rappresenta la conclusione di una vicenda, ma è il suo innesco narrativo. Immediatamente immerso nei pensieri del ragazzo, il lettore incontra subito quegli elementi che dimostrano come non si tratti di una storia semplice, come la posta in gioco non sia bassa e come le questioni che verranno affrontate sono tutt’altro che banali. È della vita che si ragiona, della scelta inaccettabile compiuta da un quindicenne. Ma prima che si arrivi a comprendere cosa abbia potuto scatenare questa volontà funesta occorre che si proceda nella lettura, che si conosca la vita di Jeff, che si accetti che anche un ragazzo che all’apparenza conduce una vita normale, possa maturare tali propositi. Non sarà facile arrivare a capire, dal momento che lo stesso protagonista compie opera di depistaggio. Nel tentativo condotto lungo tutta la narrazione, la sua voce è quella di chi cerca di convincere gli altri e il lettore che quello che ha compiuto è stato sì, un gesto irresponsabile e altamente rischioso, ma che non è il caso di insistere, lui non ha niente a che spartire con quegli altri che come lui sono costretti a sostare in reparto e nulla da dover riferire a medici e infermieri che si ostinano a rivolgersi a lui con atteggiamento premuroso.
Lo scontro aperto è soprattutto con lo psichiatra che lui, disprezzando, chiama dott. Tanto Pus e verso il quale dimostra una chiusura completa: le sedute sono tutti tentativi del medico di avvicinare la parte più profonda dei pensieri del ragazzo, per riuscire a far emergere quelle criticità che lui si ostina a non vedere e a insabbiare, tentativi ai quali Jeff risponde in modo sprezzante e descrivendo al lettore una figura di medico patetico e inadeguato.
Non mancano nella storia momenti di ironia e sarcasmo, come non mancano momenti di grande tenerezza, soprattutto nella descrizione di uno dei personaggi più complessi e affascinanti, Sadie, ragazza dall’atteggiamento duro, legata a un destino ineluttabile. Sarà l’amicizia che lo lega a lei, così come la grande sensibilità che Jeff dimostrerà di avere nei confronti della piccola Martha, che pian piano lo ricondurranno a una dimensione di realtà, a fargli abbandonare la posizione ostile e rabbiosa e a condurlo verso un’apertura progressiva.
Ma come in molti casi accade, l’elemento che scompagina realmente le carte, che conduce appunto alla riscrittura della vita come recita il sottotitolo, e a scontrarsi con un’evidenza che non si può più negare, arriva da dove non ci aspetteremmo. Le sedute di psicoterapia individuale e di gruppo, la ritrovata vicinanza emotiva e affettiva con alcuni degli ospiti del reparto, prepareranno il terreno a quella deflagrazione che avverrà a opera di un altro ragazzo, Rankin, che, come una meteora, sosta in reparto solo per pochi giorni, tempo sufficiente però a determinare il contatto di Jeff con quella parte di sé che ancora non ha trovato piena legittimità.
La grande questione al centro di questo racconto viene proposta compiendo una scelta di prospettiva molto precisa. La frizione tra individuo alla ricerca del proprio posto nel mondo, da una parte, e schemi sociali consolidati dall’altra, si potrebbe raccontare mettendo in campo entrambi gli attori. Invece Michael Thomas Ford sceglie:
a) una narrazione in prima persona che consente al lettore di arrivare al nocciolo della questione nel momento in cui ci arriva lo stesso protagonista
b) esclude di fatto, se non in un breve riferimento nel finale, il problema delle difficoltà che si possono incontrare in un mondo che deve ancora crescere e che, rispetto alle grandi prove di coraggio compiute dagli individui, stenta ad evolversi.
Come a dire che questo poi rappresenta il passo successivo, ma che la grande battaglia va prima compiuta sul fronte interno.
L’inizio del romanzo, la sospensione tra la vita e la morte, alla luce di quanto poi emerge alla fine della storia, assume un significato diverso. Non sono stati i genitori e il personale sanitario a riportare Jeff sulla Terra, ma è stato il suo lento e indubbiamente doloroso percorso di crescita a riportarlo in vita. Prendere atto di quello che si è e di quello che si desidera è il primo passo verso una vita che non dovrebbe avere le caratteristiche di un limbo, ma di un territorio da esplorare in tutti i suoi aspetti, luminosi e bui.
Quello stesso limbo che in qualche modo può essere accostato all’infanzia, se non addirittura al momento in cui esistiamo accolti nel grembo materno. Nascere è respirare un’aria putrida, ma è anche aprire i polmoni a nuovi odori e sensazioni.
Per le situazioni raccontate consiglierei la lettura del romanzo a lettori di almeno 14 anni.
Teodosia
"Suicide notes. A volte serve riscrivere la propria storia" di Michael Thomas Ford, traduzione di Loredana Baldinucci, Rizzoli 2025
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