mercoledì 6 agosto 2025

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

COPERTI DI FANGO 

Due albi per mostrare e rendere fruibile il sotterraneo dialogo che si compie tra il sopra e il sotto, tra l’oscurità e la luce, il male e il bene. Due albi per conferire narrazione e parole all’interdipendenza tra la felicità e la rabbia, lo scontento e l’eccitazione, poli energetici apparentemente in conflitto ma facenti parte, tutti, della multisfaccettata e organica capacità umana del sentire. 
Due albi necessari, per spodestare un poco il valore che viene dato in automatico alle emozioni positive e smascherare come sia invece l’alfabetizzazione sensibile dei vissuti negativi a potenziarle, perché esattamente come per la tridimensionalità delle immagini, al nostro cuore servono anche le ombre, per vedere. 


In Sua altezza Poltiglia Principessa di Fango la consapevolezza profonda che Beatrice Alemagna da sempre dimostra per la coesistenza nell’animo bambino tra male e bene, luce e ombra è rintracciabile fin dal titolo, dove la poltiglia e il fango, elementi materici che si trovano letteralmente sotto i nostri piedi vengono legati a doppia mandata a concetti astratti quali altezza e regalità. Un titolo che è quindi una dichiarazione di intenti per quello che verrà raccontato. 


Questa è la storia di Yuki, che sconfortata dall’ennesima incomprensione con Sen, silenziosissimo e imbronciato fratello maggiore, getta le chiavi in un tombino. 
Yuki è colei scende, compiendo il passo volontario di entrare nella propria riconosciuta negatività. Perché lo dice subito, lei, di essere cattiva e intrattabile, ammette di urlare e sbattere i pugni a terra, sa di ingarbugliarsi come fili elettrici con grande facilità. Yuki butta le chiavi nel tombino e poi decide di andarle a riprendere, ed è qui, sotto lo strato di asfalto e pietrisco che separa la città del quotidiano dai suoi malmostosi sotterranei, che la sua avventura apre davvero alla consapevolezza. 



Negli oscuri cunicoli a cui approda, Yuki fa la conoscenza di sua altezza Poltiglia, la Principessa di Fango: una massa informe e bonaria che la invita cortesemente a seguirla nei luoghi in cui viene accumulato, analizzato e gestito il fango dell’anima, questa rabbia che Yuki si ritrova appiccicata addosso ma che, a quanto pare, oltre che a sporcare ha anche altre caratteristiche. Passando per la Giungla Nera, dopo aver fatto conoscenza con Caccoli, (piccoli e buffi esserini deputati allo sviluppo del senso di Colpa) Yuki oltrepassa Lagondiglio, e arriva alla Rabbioteca, dove scopre che la rabbia può essere catalogata a seconda delle sue specifiche modalità di espressione, e addirittura assaggiata, passando da sentimento informe a travolgimento scomodo sì, ma anche ricco di informazioni da degustare. 


Non solo: a corollario di questa alfabetizzazione gourmet, nei sotterranei – sempre bellissimi grazie all’illustrazione caleidoscopica e sensibile di Alemagna – Yuki mette a fuoco due questioni nevralgiche. La prima è l’interdipendenza tra il proprio sentire e le dimensioni della Principessa di Fango; la seconda è conseguenza diretta della scoperta che anche suo fratello sia passato di lì. Il fatto che tutti abbiano accesso ai sotterranei, che addirittura Sen abbia conosciuto la Principessa, che la rabbia e il suo fango appiccicoso non siano un fatto personale e solitario, legato indissolubilmente alla propria identità ma al contrario uno stato quasi fisiologico di pertinenza comune, permette a Yuki di ribaltare la gerarchia che relega il suo sentimento ai margini, come una inadeguatezza da nascondere e ignorare. È dopo aver disinnescato questi due fattori che Yuki può concepire la risalita. Mano nella mano con il fratello, approda alla calma lineare delle strade consuete, dei marciapiedi e dei muri. È tra le pareti di casa, tutte dritte, che la Principessa mostra il suo dono. 


 
Accolta, nominata, conosciuta e condivisa, sua Altezza Poltiglia si mostra per quello che è, un accadimento naturale quanto la pioggia, da attraversare senza paura come si attraversa la gioia, passeggero come passeggero può essere lo sporco che imbratta i vestiti, scomoda, certo, ma non per questo priva di angoli di bellezza. 


Percorso inverso quello de Il sasso più bello, anche se sempre giocato sulla linea retta che divide il sopra e il sotto, il limaccioso e l’aereo, il ristagno della palude e il movimento della corrente. Fin dalle prime pagine siamo accolti da tavole scure e avvolgenti, che pur suggerendo staticità sono percorsi da fremiti e bagliori, un’inquietudine dorata che sembra cercare una strada per oltrepassare i tratteggi fittissimi. 


Di questo si tratta: di un luogo dove l’acqua ha smesso di scorrere, dove le cose sono quello che devono essere e nulla si muove. In questo albo non si scende: siamo già sotto. La melma ha invischiato ogni vitalità, riempie gli occhi del panettiere fin dal primo mattino, l’acqua trattenuta ristagna a bordo del tavolo della colazione e per raggiungere i banchi e insegnare qualcosa le maestre devono strappare giunchi e ninfee. Primi piani della vegetazione si alternano a visioni notturne di treni e stazioni, dove i ricordi dell’infanzia si susseguono rapidi, frammenti che pur luminosi non possono che essere fagocitati dal martellante ritmo delle giornate. A quanto pare, non esiste sasso che possa rimbalzare su acque di questo genere, perché a stare sott’acqua ci si fa l’abitudine. 


Eppure, anche in un luogo così immobile è possibile che qualcuno azzardi il cambiamento. Accade una notte che bagliori e macchie trovino una strada per arrivare al cielo: un signore fa rimbalzare dei sassi sulla superficie irreprensibile dell’acqua, e questa in risposta risponde schioccando, come fosse uno strumento musicale. Dalla riva, suo figlio batte le mani e ride. Risvegliati dalla misteriosa melodia che sembra una lingua sconosciuta, altri bambini risalgono dalle profondità limacciose e, liberi dalle costrizioni del fango, si raccolgono attorno all’uomo alla ricerca del sasso più bello, quello con cui eseguirà il lancio perfetto, che rimbalzerà fino all’orizzonte e poi oltre, all’infinito. 


Questo uomo, senza nome, con la barba incolta e i vestiti stazzonati, è colui che risale. Colui che per amore si ribella alla rassegnazione compiendo un gesto che ha l’audacia del gioco e le radici profonde della memoria. Con una tecnica impeccabile, questo uomo al pari di un mago ha il potere di far scoppiare fuochi d’artificio e di accendere nei cuori altrui la meraviglia a il desiderio di emulazione, moltiplicando l’energia originaria nei gesti e nella gioia di tutti. Tutti i colori che serpeggiavano furtivi nelle illustrazioni, quasi inquinando le massicce campate di nero, convogliano liberi nei ricchi fondali marmorizzati e dinamici per sostenere questo slancio: arrivato sull’altra sponda il sasso non si ferma, trascina con sé l’acqua della palude, lo stagno comincia a gonfiarsi trasformandosi velocemente in onda gigantesca, in torrente, in fiume. 


Eccoli: Sua altezza Poltiglia principessa di Fango e Il sasso più bello
Due albi in cui si parla di ciò che sta sotto, il luogo dove la materia tutta decade, si frammenta, si decompone e dopo aver preso una pausa, si riconfigura. Il luogo del fango, un elemento che sporca, macchia, spesso maleodora e trattiene, da cui si cerca di allontanarsi ma in cui maturano i presupposti della fertilità futura. Perché è sempre qui, a contatto con la frantumazione minima, che si sviluppa la capacità di posizionare la gioia. È attraverso l’esaurimento dell’esperienza che è possibile risalire alla trasformazione. Perché in ogni frammento è conservata una minima parte del tutto, forse una luce giallo acida che non va perduta mai, nemmeno quando in apparenza sembra di essere tutti coperti di fango. 


Giorgia

“Sua altezza Poltiglia principessa di fango” Beatrice Alemagna, Topipittori, 2025 
“Il sasso più bello” Gilles Baum, Joanna Concejo, (traduzione di Lisa Topi), Topipittori, 2025 


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