mercoledì 31 luglio 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (lbri per incantare)


IL NIDO
Il nostro albero, Mal Peet (ill. Emma Shoard) trad. Sante Bandirali
Uovonero 2019


NARRATIVA PER MEDI (dai 10 anni)

"'Allora, Benjamin' disse mio padre. 'Questo sì che è quello che si può chiamare albero. Un vero albero.'
Rivedo me stesso mentre gli prendo la mano e alzo lo sguardo. Vorrei riuscire a ricordare com'ero. Cosa indossavo e tutto quanto. Ma non ci riesco. L'albero era una grande torre grigia che puntava contro il cielo la chioma di foglie verde chiaro. Attraversandola, il sole faceva un caleidoscopio di luce."

Sono passati più di vent'anni. Vent'anni di lontananza da quella casa d'infanzia, venduta in fretta e furia. E ora, quasi per caso, Benjamin ci passa davanti con il suo furgone. Si ferma e parcheggia un po' più in là. E' strano vedere la sua vecchia casa abitata da altri, ma è soprattutto 'il Nido' andato in malora a spezzargli il cuore e a riaccendere i ricordi di quel tormentato periodo. Il Nido, così l'aveva battezzata suo padre, quella casa sull'albero e l'aveva anche costruita per farne un rifugio, un luogo sicuro, da condividere con il suo bambino.
Un uomo sensibile che chiedeva scusa all'albero per ogni chiodo piantato nei suoi rami, un uomo dolce che aspettava l'alba con il suo bambino arrampicato lassù per sentire il canto dei primi uccelli, un uomo ingegnoso che sapeva costruire un piccolo arredo perché le ore lassù trascorressero nel migliore dei modi.
Un uomo particolare. Di certo non adatto alle routine familiari cui non riesce a star dietro. Sempre più solitario è lui che si arrampicherà su quell'albero, in quel nido e che vi troverà rifugio da un malessere e da un amore finito. A terra c'è una donna che non ha più molto da dirgli e dalla finestra si limita a guardare il vecchio faggio e a stramaledirlo davanti a quel bambino, a Benjamin, che a dieci anni e non capisce. 
A tutto ci si adatta e così i due genitori trovano una routine che li tenga lontani l'uno dall'altra: unico punto di contatto quel ragazzino. Fino al momento in cui compare sul prato quel maledetto cartello con su scritto AFFITTASI.

Un racconto scabro e per questo interessante. Nessuna valvola consolatoria si apre per andare verso un lieto fine. Al contrario, la bellezza di questa storia risiede proprio nei grandi silenzi sul tempo trascorso, nell'incertezza dei sentimenti, nell'incertezza del finale. Benjamin ora è grande ed evidentemente quell'albero e quella casa sull'albero -ultimo nido del padre- sono ancora una ferita aperta che lascia spazio al racconto del passato, ovvero a un pezzo della sua infanzia che drammaticamente arriva alle immagini, ha quasi il tono della sceneggiatura, del disagio e della separazione dei genitori. 



Un altro iato e il racconto torna al presente e alla conferma della fragilità emotiva di quell'uomo di fronte a un dolore grande e ancora in cerca di pace. Comincia così una sequenza di verbi al condizionale - avrei voluto dire, sarei venuto, mi sarei portato... tutti riferiti a una ipotetica ricostruzione di quel nido ormai in pezzi - che si concludono con un gesto che solo apparentemente sembra routine, ma che qui può diventare un simbolo, raccogliere ' le cose da buttare' che lo circondano. Sedersi e infine sentirsi bene per fare conversione a U.
Detestabili, perché pericolosi, sono i libri a tema.
Sebbene qui il tema, o forse dovrei dire i temi pensando al male di essere di Sean, sia forte e di sicuro impatto sulle animule vagule e blandule di ragazzi e ragazze che la separazione tra genitori l'hanno vissuta in prima persona o ne sono stati testimoni, tuttavia Il nostro albero ha una sua bellezza che va al di là di tutto questo, saltando a piedi pari la retorica, lo stereotipo, la consolazione, la soluzione facile.
Al contrario, mette solide radici nella questione, pur mantenendo nei suoi confronti la giusta distanza che permetta a ogni lettore o lettrice di trovarsi il proprio margine di confronto. In qualche modo si è già detto del percorso che Mal Peet sceglie di intraprendere e che lo libera dal pantano del libro a tema. La ruvidezza e la giusta distanza e solide radici, tre caratteri che condividono con quel vecchio faggio. 
Il racconto lucido di una sequenza di fatti, la volontà di affidare quasi esclusivamente ai pochi dialoghi e agli scarni gesti la descrizione degli stati d'animo dei protagonisti, rendono Il nostro albero un piccolo meccanismo di grande efficacia. Emma Shoard ne centra il tono, sfumando ed evitando contorni precisi, facendo una scelta cromatica sapiente che, al pari delle scarne descrizioni del testo, ha il merito di far intuire più che di affermare.


Mal Peet si concede solo il tempo necessario per girare intorno alla storia con il suo taccuino, prendendo appunti su quello che immagina, tenendosi a distanza, abbassando lo sguardo con pudore, quando è necessario. Lontano da ogni voyerismo e da ogni morbosità. E poi, in silenzio, anche lui come Benjamin si allontana.
Emma Shoard fa esattamente lo stesso con il suo pennello bagnato in tanta acqua e pochi colori. 



Impossibile non notare un'affinità, che trova conferma nelle poche parole entusiastiche sul libro, con David Almond.
Per entrambi si può parlare di una scrittura 'coinvolgente inquietante e splendida'.

Carla

Noterella al margine. Non si può non gioire del fatto che una storia così concepita sia in grado di attraversare intere generazioni, parlando a tutti quelli che la vorranno leggere o ascoltare, giovani o adulti che siano. Senza remore e con coraggio si va avanti nel testo illustrato, in un dialogo bello tra parola e figura.


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