LA RAGIONE LO FARÀ CROLLARE
GLI
STRANIERI, Armin Greder
Orecchio
acerbo, 2012
ILLUSTRATI
PER GRANDI (dai 10 anni)
"Era
una terra di sabbia e poco altro.
Ma
era la patria di un popolo.
Su
questa terra la gente si occupava
delle
proprie capre
e
aspettava il maturare delle olive
e la sera i vecchi raccontavano
le
loro storie ai giovani,
così
che potessero ricordare chi erano."
Così
bello a leggersi, che sembra una poesia.
Per
raccontare la storia che ha luogo su quel terreno fatto di pietre e
sabbia, Greder usa parole così lucide, così nitide e perfette, e
allo stesso tempo così pesanti e dense, che potrebbero davvero
appartenere a una poesia.
Una
poesia che racconta di come una tempesta un giorno portò su quella
stessa terra gli stranieri che la rivendicarono come propria. Siamo
tornati per restare, dicono e sono molti, molti di più del popolo.
E
così, è la guerra. Una guerra vinta da chi lotta per conquistarsi
una patria e persa da chi quella terra non la vuole abbandonare. E
così, al principio sono solo le tombe di chi era caduto in guerra ad
occupare quel terreno, ma poi arrivano le bandiere e i campi
coltivati. Gli stranieri, ormai padroni, cominciano a prosperare e a
spingersi con i confini sempre un po' più in là. Nulla vale
protestare o pretendere giustizia: nessuno ascolta il popolo. Alla
rabbia dei forconi che imbracciano rispondono i potenti cannoni dei
carri armati stranieri. Ancora morti e ancora tombe. Così gli
stranieri costruiscono il muro, un muro che li protegga, dicono. E
questo muro da quel giorno non ha mai smesso di crescere per poi
diventare per il popolo prigione e moritficazione.
Gli
stranieri hanno il muro dalla loro, hanno il potere e la forza ma il
popolo, dalla sua, ha il tempo e la consapevolezza che un giorno la
ragione lo farà crollare, come accade a tutti i muri, prima o poi.
E nel
frattempo continuano
a
oliare le chiavi delle loro case
che li
aspettano dietro il muro
Testo
e immagini asciugati entrambi fino all'osso, fino al nocciolo del
tema. In un
continuo togliere, la complessità si fa semplicità (Calvino ce lo
ha insegnato nella sua prima lezione americana sulla Leggerezza) e
la storia che ci racconta Greder diventa allo stesso modo la storia
del popolo palestinese e della sua terra sottratta da Israele e una storia dai toni
molto più profondamente universali. Greder ci ha abituato a questo suo
particolare modo di leggere il mondo. Penso all'Isola (Orecchio
acerbo, 2008), vera e propria icona per raccontare il
pregiudizio e l'emarginazione, o alla Città (Orecchio
acerbo, 2009), emblema del tema della fatica del crescere e
del lasciar crescere. I suoi racconti, dunque, si rivelano sempre
così emblematici e portatori di valori condivisi e compresibili
dall'umanità intera, che diventano all'istante veri e propri
manifesti. Ogni parola porta il peso e il dramma del suo significato,
ogni immagine riassume un pensiero, contiene le sue mille varianti.
Il
muro di separazione israeliana diventa subito tutti i muri che
dividono i popoli, il popolo palestinese è nel contempo tutti i popoli oppressi,
i territori diventano la patria, il suolo d'origine, per antonomasia.
Ecco
dunque che un libro in prosa che racconta la cruda realtà
israelo-palestinese diventa, nel suo continuo essere allegorico,
metaforico e iperbolico, a tutti gli effetti poesia dai toni
universali.
E come
solo la poesia sa esserlo, anche i libri di Greder ci appaiono sempre
così drammaticamente urgenti che, dopo averli avuti in mano, non si
può più far finta che non esistano, impossibile ignorarli, perché al loro passaggio nulla può essere più
come prima.
Carla
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