RAGAZZI CORAGGIOSI
Il giorno degli
eroi, Guido Sgardoli
Rizzoli 2014
NARRATIVA PER GRANDI
(dai 12 anni)
"Moretti è
Silvio, soldato semplice, 84° reggimento fanteria, brigata Venezia.
Scava la terra secca per fare una trincea. 'Lo sai cos'è la trincea,
Moretti?' gli hanno chiesto appena arrivato al fronte. 'La trincea è
la tua tomba. Prima te la scavi e poi finisce che ci muori dentro. La
tua umida tomba.' Lo dicono per mettere paura ai nuovi arrivati, ma
non sono tanto lontani dalla verità."
I
'nuovi arrivati' sono i ragazzi del '99 quelli che hanno dovuto
aspettare e che sono finiti in trincea solo al compimento del loro
diciottesimo compleanno: nel 1917, quando oramai la Grande Guerra si
combatteva già da due anni.
Questa
è la storia di uno di loro, Silvio Moretti.
La
partenza, quel mattino del luglio del 1917, segna una cesura tra
quello che era il prima e quello che è stato il dopo.
Inevitabilmente.
Il
suo prima è una famiglia contadina del Piave. Tanti fratelli, un
padre, Nane, di poche parole, un mulo sui campi, e una madre, Ada,
friulana devota a Dio e alla famiglia. Su sette, tre i fratelli
rimasti: Carlo, Aldo e la piccola Lina. Gli altri, angioleti,
dice Ada.
Da
sempre convinta che sia l'aratro e non la politica che porta il pane,
la famiglia Moretti conduce una vita povera, fatta di solo lavoro
dalla mattina alla sera quando, finalmente riunita intorno al tavolo,
può fare musica con l'armonica di Carlo mentre la vocina di Lina
canta vecchie romanze. Scemenze, le definisce il padre, mentre la
madre sorride e si riempie gli occhi dei suoi quattro figli rimasti.
La
guerra incombe ed è lì a due passi. Nel 1915 è Carlo il primo ad
arruolarsi, lo seguirà Aldo, nonostante il suo piede torto e, a
distanza di un anno, è il turno di Silvio.
E
qui comincia il dopo. La sua vita in trincea, con i compagni con cui
condivide la fame, il freddo, i pidocchi e la paura. Silvio comincia
a vedere una guerra ben diversa da quella che gli avevano raccontato,
da quella che aveva letto sui giornali. Una guerra fatta di lunghe
attese, di battaglie perdute per la conquista di poche centinaia di
metri. Un nemico a due passi, molto meglio armato, ma altrettanto
fiaccato dalla fatica e dalla disillusione di questa guerra che ogni
giorno che passa appare a chi la combatte in prima linea sempre più
inutile.
I
sogni di gloria, lo slancio patriottico che aveva mosso tutti al
principio, si sbriciola. E, per chi è al fronte, non resta altro che
aspettare che finisca e sperare di riportare a casa la pelle. E per
chi è restato a casa, non resta altro che aspettare e sperare che
chi è partito torni.
Il
contributo di Sgardoli alla causa di celebrare un anniversario
importante, il centenario della Grande Guerra, appare lontano dalla
retorica e attento a dare di questo conflitto un'immagine autentica e
complessa. In una soluzione narrativa insolita, il libro è costruito
secondo un punto di vista unico, di Silvio Moretti appunto, ma visto
contemporaneamente negli anni prima della sua partenza, e in quello
trascorso lungo la linea del Piave. I due flussi narrativi, divisi e
alternati, finiscono per intrecciarsi l'uno nell'altro dando così a
chi legge la percezione della complessità di un processo storico,
raccontato nei suoi presupposti e nelle sue conseguenze. Bella idea.
Il
secondo grande merito di questo libro sta nell'aver creato un
contesto, anzi due, particolarmente autentici. Il lavoro nei campi
accanto ai fratelli, la città dove scappa con Aldo a far borsa nera,
l'osteria del Neri dove per molti avviene l'iniziazione all'età
adulta, la cucina fumosa della cascina, il davanzale con le castagne
di Natale sono 'visibili' e se ne percepisce addirittura l'odore. Lo
stesso può dirsi per quella fossa di terra secca, scavata a fatica e
in cui cercano riparo quei tanti ragazzi arrivati da ogni parte di
Italia con il sogno di difendere la patria. La carrellata
sull'umanità che circonda Silvio è altrettanto tangibile. Dal Nane
senza una mano, al Sapienza che gira in bicicletta portando notizie,
al Rame che porta sul petto il cartellino Fermati indirizzato al
proiettile, alla Lina che si innamora di un soldato fuggiasco. Tutti
loro sono, ad evidenza, il risultato di una appassionata ricerca
fatta di testimonianze, di storie più che di Storia. E questo la
allontana da ogni appiattimento e da ogni trappola didascalica e
retorica. Il terzo elemento di valore sta nell'aver raccontato
l'eroismo dei piccoli, di quelli che non hanno contato nulla,
nell'aver mostrato la forza invincibile dell'illusione di coloro i
quali hanno creduto che, sventolando il fazzoletto bianco di una
madre, tutto potesse finire.
Carla
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