lunedì 3 maggio 2021

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

DE RERUM NATURAE
ovvero sulla Natura e roba del genere


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se le cose fossero andate diversamente, con ogni probabilità questi libri avrebbero meritato una riflessione separata, una per il nuovo libro di Emma Adbåge che si intitola Natura e una per L'erbaccia di Quentin Blake. La circostanza, non casuale, che abbiano viaggiato assieme in una unica busta, è stata presa come spunto, forse pretestuoso, per metterli assieme in una riflessione sulla questione comune intorno a cui ruotano.
Per tenerli insieme, a parte il tema, si potrebbe dire, per esempio, che dove finisce uno inizia l'altro.
Emma Adbåge racconta con voce di bambino cosa sia la sua, del bambino, percezione della natura circostante. Il ragionamento di questo ragazzino si muove intorno ad alcune constatazioni di fatto. Via via che la sua osservazione si costruisce e delinea, si deduce che il rapporto con la natura e le persone che il ragazzino ha intorno a sé sia difficile.
Ed è proprio da qui, ovvero da una oggettiva situazione di impedimento che parte il libro di Blake.
Procediamo con ordine: nel libro della Adbåge l'io narrante parte dalla constatazione che distinguere tra il paesino in cui lui e le persone, un po' di animali -come cani e roba del genere- vivono e le altre cose -come boschi, lago, cespugli, mare- che si possono chiamare Natura. Prosegue constatando che alle persone piace la Natura mentre alla Natura non piace nulla in particolare, quindi neanche le persone. Lei va avanti e basta.
La sua successiva presa d'atto attesta che alle persone la Natura piace fino al momento in cui essa non diventi di intralcio: per esempio il tiglio, che perde tutte quelle foglie che poi devono essere raccolte, è meglio tagliarlo. 
 

Per non parlare della troppa neve che si accumula e che si scarica nel lago, o delle erbacce (!) che vanno tirate via e sostituite con del liscio e pulito asfalto, o del vento che va ostacolato con un molo più resistente, o del caldo che va combattuto a cubetti di ghiaccio in piscina... Il fresco arriva dall'aria condizionata nelle macchine, perché fuori il caldo aumenta ed è in arrivo anche un gran temporale, con i fulmini che portano il fuoco e poi il vento che distrugge tutto quello che ha intorno. E quando tutto si placa di nuovo, e questa è la constatazione finale, da una parte c'è il paesino - più che altro case, asfalto e roba del genere e dall'altra la Natura - come boschi, lago, cespugli, mare.
E da una situazione del genere sembra partire la storia di Blake che esordisce esattamente così: 
 
"Il mondo stava diventando secco e arido e sempre più difficile da abitare. Finché un giorno, senza alcun preavviso, nella terra si aprì una profonda spaccatura e la famiglia Dolciprati ci si ritrovò sul fondo."
 
I Dolciprati, in teoria, potrebbero essere tra gli abitanti del paesino della Adbåge? In linea di principio, sì. A vederli, però, sembrano molto più simpatici e decisamente più sprovveduti, in fondo a quella buca. 
 

Padre, madre, Marco e Lily i due fratelli, e il loro merlo indiano parlante, Octavia, che, apertale la gabbietta, vola in alto e torna con un semino che lascia cadere in una crepa del terreno, in fondo alla voragine, ai piedi dei Dolciprati che la guardano pieni di stupore. All'istante, da quel seme comincia a crescere una pianta. Parrebbe solo un'inutile erbaccia, se non fosse che, diventando sempre più grande, sempre più alta e robusta con le sue foglie tutte diverse sembra adattissima, come suggerisce con saggezza indiana il merlo Octavia, a portarli fuori di lì.
Un ibrido tra il robusto fagiolo della fiaba e un albero dei desideri che provvede ad appagare con la dovuta cura la fame dei singoli componenti della famiglia Dolciprati e un arbusto intelligente e generoso nel mettere in salvo i quattro da eventuali cadute, per poi farli atterrare sani e salvi, di nuovo in superficie.
Dove la Natura, sempre lei, si è ripresa un po' di spazio.
Del legame tra le due trame si è detto fin qua.
Dei distinguo, di alcuni e non tutti, che da qui in poi vengono messi in elenco, ognuno poi proverà a trarre le proprie conclusioni.
Emma Adbåge costruisce, come è suo costume fare, una storia nata dall'osservazione della realtà. Qui, parrebbe, con minor distacco del solito.
Quentin Blake parte da un piccolo dato di realtà e poi racconta una fiaba che per molti versi porta in sé semi ben più antichi, che verrebbe da definire di radice biblica.
Emma Adbåge si mette ad altezza bambino, come è suo costume fare, per raccontare dei fatti. Questa è una delle grandi capacità che le vanno assegnate e una delle qualità che distinguono i suoi bellissimi libri.
Quentin Blake ha il tono di un vecchio sapiente che sta raccontando un apologo di valore filosofico. 
 

Emma Adbåge è tagliente nel disegno sbilenco, come nelle parole,come è suo costume fare, e riconferma qui la sua dote naturale nel saper raccontare senza filtri pietosi la realtà per come la può vedere un bambino: senza sovrastrutture, armato solo della forza dei fatti. L'ironia e talvolta il sarcasmo di testi e disegni arrivano un po' dopo e, forse, solo ai più grandi. Il tono, che Samanta K. Milton Knowles traduce felicemente, è quello di un parlato veloce, spontaneo, diretto. Volutamente e con sapienza sempre un passo prima della sgrammaticatura.
Quentin Blake di contro è empatico con i suoi personaggi. 
 

È quasi affettuoso con loro e alla fine se ne fa carico e li porta sempre e comunque 'a casa'. Lui ha un tono lento e attento, curato, direi profetico nella voce del merlo. Nessun giudizio, nessun sarcasmo.
Emma Adbåge ha evidentemente una sua denuncia da fare, ha una questione che le preme venga affrontata, ha una sua precisa lettura della realtà intorno a cui costruisce un discorso polemico di cui quel bambino è consenziente portavoce. Come a dire, se non fosse già chiaro, che il pensiero del suo protagonista coincide con il suo.
Quentin Blake ha prima di tutto una bella storia da raccontare, una storia che ha del magico in sé e che contiene un germoglio - è proprio il caso di definirlo così- dalle grandi potenzialità, con il compito di svilupparsi ed eventualmente sbocciare, quando sarà il tempo, nelle coscienze di ciascuno.
 

La sua posizione, il suo messaggio vola alto con Octavia, per ridiscendere e ancorarsi alla realtà, solo nelle sei parole della dedica finale.
 
Carla


La Natura, Emma Adbåge (trad. Samanta K. Milton Knowles)
Camelozampa, 2021
L'erbaccia, Quentin Blake (trad. Sara Saorin)
Camelozampa 2021


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