DI DOMAN NON C'È CERTEZZA (parte 2)
The Rock from the
Sky, Jon Klassen
Candlewick Press, 2021
L'intero libro è
attraversato da un diffuso e costante riferimento non dichiarato alla
transitorietà dell'esistenza e a un certo fatalismo rispetto
all'altalenante percorso di un'esistenza (quello che fa da sfondo al
viaggio del bambino di Fortunatamente, un altro libro di genio
a firma di Remi Charlip).
Forse è un azzardo pensare
che Klassen abbia voluto raccontare una catastrofe planetaria, dentro
cui a stento stiamo imparando a muovere piccoli passi, usando la
metafora del sassone che piomba dal nulla, inaspettato. Forse. Forse,
consapevole del fatto che i sassoni possono arrivare quando meno te
lo aspetti, potrebbe essere altrettanto un azzardo pensare che Klassen
abbia la consapevolezza che l'atto di guardare avanti possa generare
terrore oltre che speranza. Forse.
Forse sembrerà,
invece, meno azzardato leggere fra le righe il pensiero di Klassen
riguardo al fatto che la vita è meglio prenderla, come suol dirsi,
con filosofia, perché - oggi più di ieri - di doman non c'è
certezza.
Con la sua consueta
assenza di giudizio, Klassen però ci mette davanti due modi molto
differenti di affrontare la vita: da un lato una tartaruga rancorosa
e aggrovigliata in molte difficoltà (molte delle quali autoprodotte)
e dall'altro una talpa/armadillo che di quel poco che ha sa goderne e
che è capace di sognare e di vivere in armonia con ciò e con chi ha
intorno. E particolarmente interessante si rivela la loro relazione reciproca: l'attrarsi reciprocamente a cui si alterna la gelosia dell'una e la bonomia dell'altro.
Formalmente vicino al
'lessico' del Klassen migliore - vicino alla trilogia dei cappelli, e
in qualche modo anche alla trilogia scritta da Mac Barnett (Triangle,
Square, Circle) - si rinnova qui la sua capacità di sintesi nel
testo e nell'immagine: in prima persona, quasi solo dialogo, due
colori per distinguere le voci, il maiuscolo e il minuscolo per
segnare un timbro giusto nei dialoghi.
A questo si aggiunga la
sua scelta programmatica di disegnare tutto solo attraverso il
ricorso alle forme pure, essenziali, al limite del simbolico. Così
come l'orso in cerca del cappello aveva la forma di un dolmen, e il
pesce era così stilizzato come lo avrebbe potuto disegnare un
treenne che, per necessità di forme 'economiche' è assoluto
maestro.
Qui la tartaruga e il
serpente sono ai minimi termini, la talpa/armadillo porta in sé il
nucleo di un ibrido, la roccia è un ovale irregolare, il fiore è il
simbolo di un fiore, i tronchi degli alberi sono parallelepipedi e
l'alieno a sei gambe con il suo grande occhio non deve ispirare troppa tenerezza, vista la fine che gli viene riservata.
Ma dietro tanta
semplicità di forme c'è un ragionamento interessante: sono quelle che
di più lasciano spazio all'inventiva dell'osservatore. Corrispondono
in qualche modo al silenzio 'narrativo' che circonda gli scenari
sempre molto scarni e i testi ridotti all'osso. Tutto questo gran vuoto in cui tutto si muove ha la funzione di creare una sorta di rumore di fondo che rende la storia interessante.
Lui stesso parla di immagini 'noiose' -boring pictures - che hanno la funzione, in contrappunto perfetto con il testo, di generare aspettativa, curiosità. E' sempre il testo che dà il senso alle forme 'noiose'.
Bravo, accidenti. Bravo.
Se gli scenari sono
ridotti ai minimi termini - eccezion fatta per quelli che nel
racconto The Future sono più movimentati - non lo sono gli sfondi che attraversano una intera giornata. Sempre con la medesima delicatezza, Klassen passa da un'alba, nel primo racconto, che vede il cielo oscurarsi sempre di più
in relazione alla caduta del sassone che oscura un po' il sole, a una
giornata di imminente pioggia con un cielo pesante nel racconto The
Fall (ideale per schiacciare un pisolino).
Un sole che sta per calare, tenue e rosato per lo sfondo del sogno su un futuro
migliore. Un capolavoro, come già nel libro Toh! Un cappello! è
il suo tramonto, cui fa seguito una notte stellata che dà senso al
sonno di talpa/armadillo e serpente e alla relativa gelosia della tartaruga.
In tutte le pagine
ricorre la sua insolita, ma per lui consueta, palette di colori.
Mezze tinte, colori per
lo più caldi, ma tenui attraversati dall'acqua del pennarello,
tutti rielaborati con la tavoletta grafica: unica deroga
l'arancio/rosso (niente blu freddo in quel rosso caldo) dell'alieno nel momento
della sua massima pericolosità.
Ritorna potente il
gioco di sguardi che, sappiamo, è frutto di una rielaborazione lunga
e attenta attraverso il computer. Ma questa è storia già
conosciuta.
Il repertorio di cui si
serve per organizzare lo spazio del testo e della figura, quindi dare
un ritmo interno alla storia è quello conosciuto nei suoi altri
libri: vediamo un testo corrente sopra con le tavole doppie (Questo
non è il mio cappello) oppure
testo sulla pagina bianca di destra e immagine a sinistra
(contraddicendo volutamente un incedere incalzante che vorrebbe la
figura nella pagina di destra), solo di rado la tavola singola si
allarga di un po' lasciando al testo di destra un po' meno spazio
della facciata intera, tavole doppie senza testo che sono dei veri e
propri 'ganci' di suspense per il lettore e segnano momenti
culminanti come i finali, per esempio. A ogni cambio di capitolo
(capitoli anche in Toh! Un cappello!) che occupa ovviamente il
piatto di destra si affianca un'immagine 'introduttiva'.
Sotto il profilo dei
contenuti, è di nuovo uno dei Klassen migliori: acuto, ironico,
comico, profondo, pieno di silenzi per rispetto dei propri lettori.
E soprattutto
volontariamente lontano dall'assurdo di Sam e Dave, ma molto più
vicino a veri e propri noccioli di senso, questioni che toccano
l'etica e la filosofia, come lo era stato in Voglio il mio
cappello! e Questo non è il mio cappello,
ma soprattutto in Toh! Un cappello!
Lì
come qui, ci mette di fronte l'umanità e i suoi diversi modi di
stare al mondo, insieme o da soli.
Come
sempre, è a noi che lascia la scelta, a chi sentirsi più affine.
[Fine]
Carla
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