DELL'INQUIETUDINE
Emons Edizioni 2023
NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 9 anni)
"Avanzava lentamente, con la testa sollevata. Le corna era due tronchi ripartiti in tanti rami sui quali gli uccelli stavano appollaiati. Sembrava enorme. E in effetti lo era. Sulla fronte, lo spazio tra le corna risplendeva d'una luce accecante, come se vi avessero piazzato la lampada di un faro. O il potente fanale di una jeep.
'Elzè?'
'Lo vedo.'
Si fermarono entrambe. Parlavano con gli occhi piantati su quel superbo Cervo. Dovevano proteggersi gli occhi dalla luce emanata dalla fronte dell'animale.
'Cos'è quello?'
'Che ne so?'
'Caspita, però, quant'è grande!'
'Già'."
Elzè, tredici anni e sua sorella Greta, otto, da sole, stanno facendo quello che una tradizione lituana della vigilia di Natale richiede: girare per tre volte, sempre a sinistra, intorno alla propria casetta. La loro non è propriamente una casetta, ma un palazzone di dodici piani. E mentre son lì che girano in tondo, al freddo e allo scuro, incrociano questo grande animale che cammina, altero. Enorme a tal punto da finire con le sue corna a toccare fili dell'alta tensione dei filobus. L'elettricità dei due cavi fulmina il grande cervo che prima si ferma e poi stramazza al suolo in un sussulto. Gli uccelli restano lì. Le due bambine si avvicinano con cautela per vedere se sia morto. E mentre si avvicinano e sembra loro di vederlo respirare, sentono anche una voce: un uomo sta correndo verso di loro e verso il cervo a terra. E' il guardiano del deposito, Barnardas...
Questa è la loro storia: natalizia e magica quanto basta. Quella di due bambine che, sole alla vigilia di Natale, trascorrono un Natale diverso e magnifico, insieme a quel guardiano premuroso e abile riparatore di molte cose oltre ai filobus, e a un cervo che potrebbe star meglio. E forse ci riesce.
Il deposito dei filobus è una delle dieci storie, ammantate di scuro e attraversate da un brivido gelato. Tutti e dieci i racconti sono tenuti insieme da un nesso che li lega alla tradizione lituana, tra mito e leggenda, tra fiabe popolari e racconti favolosi.
Tutti e dieci i racconti sono scritti e tradotti con sapienza e grazia.
Tutti e dieci racconti toccano questioni ancestrali.
Ciascuna storia parte da un nucleo originario rappresentato dai racconti che il padre di Kotryna, un signore dai lunghi baffi spioventi, le faceva quando lei era piccola. Presumibilmente, turbandola quel tanto da renderne il ricordo indelebile.
E infatti, a distanza di anni, ciascun racconto paterno è poi diventato a sua volta qualcosa d'altro: una storia del tutto diversa, spesso ambientata nel contemporaneo ma che con il nocciolo originario condivide l'atmosfera ombrosa, misteriosa, magica. Continuando a turbare e a rimanere altrettanto indelebile.
Insomma, quel "quasi" che anticipa la parola paura, non rilassi nessuno. Anzi, abbia il compito di accentuare il senso di incertezza che, a ben vedere, è quello che si rivela più perturbante di qualsiasi orrendo mostro o strega crudele.
Qui siamo in quella dimensione ambigua, dell'inquietudine, in cui tutto potrebbe accadere. La trepidazione, il turbamento, nelle narrazioni, spesso e volentieri, si genera camminando su un sottile filo tagliente che segna il confine tra la realtà e il possibile. E' una cosa diversa dalla paura, che tutto sommato, funziona come un interruttore 'salvavita' che mette un persona nella condizione di autoconservarsi. O almeno nel tentare di farlo.
E per rimanere ancora un momento sulla questione del filo, non si può non dire due cose sulle illustrazioni del lato 'grafico' della medesima Kotryna.
Rigorosamente in bianco e nero, va da sé, sono disegni in cui, con un preciso programma, nulla appare con chiarezza e precisione: un segno tremante, un filo appunto, a prima vista poco più che uno scarabocchio che si muove come il volo di un insetto, spesso punta verso una direzione per poi sterzare brusco e prenderne tutt'altra. Ma è quanto di più lontano ci sia da uno scarabocchio, perché nel frattempo crea magicamente profondità di campo e nessi di senso. E non solo.
Figurine mai troppo regolari che sembrano uscite da una mano incerta di bambina di talento, per poi invece mostrarsi in tutta la loro sapiente resa tridimensionale: le mani, le caviglie ossute, le planimetrie di un appartamento o la profondità degli armadietti in una palestra...
Una vera goduria, i tagli prospettici.
Bell'intreccio, bel ricamo con il testo, bello davvero.
E se al testo infine si torna, va detto forte e chiaro che nei dieci racconti di Kotryna Zilė questo gusto per il non detto fino in fondo, questo senso di magico e di mistero sempre latente fanno la differenza. E costituiscono un buon gancio per il lettore che con difficoltà deciderà di chiudere il libro anzi tempo. Non prima di aver cercato di capire ben bene cosa gli è stato appena raccontato.
In questo dimostra una bella dimestichezza nel costruire l'architettura del racconto senza dire, se non sul finale, come stanno davvero le cose.
Un po' come capita quando si svela la sembianza di un nuovo monumento cittadino: un grande telo lo copre, poi qualcuno ne prende una cocca e con un gesto plateale lo mostra a tutti. E partono gli applausi del pubblico stupefatto e pieno di meraviglia. Ecco, qualcosa del genere accade spesso anche qui.
Così succede in Latte, La piscina, Prossima fermata, per citarne tre, tra i miei preferiti.
Poi arrivano i racconti ispiratori, quelli del papà e allora, come per incanto, tutto va a comporsi in un quadro chiaro, anche se spesso ben pieno di magia.
Essi hanno il dono di fare luce, appunto, hanno il tono della chiacchiera tra amici e l'obiettivo non dichiarato di stemperare tutta la tensione. Per poi riaccenderla al racconto successivo.
Gran finale: in qualsiasi sequenza di racconti nasce spontanea la gara per il preferito. E anche questa volta è andata così.
Su tutti ce n'è uno che mi sembra brillare più di ogni altro, per profondità di sguardo e per umanità, parola da intendersi qui nella sua doppia accezione: L'armadio.
Su questo, per altrettanto profonda disumanità, tacerò.
Carla
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