lunedì 8 aprile 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DI STORIE E DI PANE 

Misha. Io, i miei tre fratelli e un coniglio
Edward Van de Vendel, Anoush Elman, Annet Schaap 
(trad. Laura Pignatti) 
Sinnos 2024 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dagli 8 anni) 

"Quando c’è da risolvere qualcosa, papà dice sempre: 'Lasciamo che Hamayun sia la nostra bocca'. Hamayun spiegò perché eravamo lì, e la ragazza disse: 'Certo che abbiamo dei coniglietti. Sono qui dietro. Venite, ma fate attenzione... uno alla volta...'. 
La seguimmo tutti quanti pian piano, in un ambiente stretto nel quale si sentiva odore di pelliccia calda. La ragazza disse: 'Qui ci sono diversi coni...'. Ma io guardai e puntai il dito ed esclamai: 'QUELLO!' . Era un coniglietto nano. Appena eravamo entrati nel negozio, lui si era sollevato sulle zampe posteriori. Sembrava che pensasse: 'Ehi!'. E anch’io pensai: 'Ehi!'. Ma subito dopo pensai 'Sìììì!', perché anche il coniglietto nano pensò: 'Sìììì!'. 
Lo potevo vedere e sentire nella mia testa. E un’altra cosa che sentii nella mia testa era il suo nome. 
Lo comprammo, e io lo presi in braccio, Hamayun pagò, e quando fummo fuori dissi ai miei fratelli: 'Misha'. 'Si chiama così?', domandarono. 'Sì', dissi io. 
E loro dissero: 'Oh'". 

Roya, la bambina che non piange mai, e i suoi tre fratelli più grandi sono in un negozio di animali perché il desiderio della piccola di casa per festeggiare l'arrivo in un appartamento tutto loro è quella di avere un animale da compagnia: un coniglio, piccolo e bianco. 
Così Misha arriva a casa. 


La bambina è la sua custode, ma in verità tutti in casa se ne prendono cura e lo considerano uno di famiglia. Hamayun per esempio è maestro di carezze e insegna agli altri che a Misha non piace essere toccato intorno alla bocca, mentre Navid cerca senza successo di insegnargli a battere il cinque. Alla mamma invece, in segno di affetto, Misha fa pipì sulla pancia e con Bashir si rifiuta di fare il bagno. Con il papà, invece, sgranocchia insalata fresca, perché a lui le carote non piacciono proprio. 
Questa è la storia di una famiglia fuggita dall'Afghanistan che, arrivata in Olanda, dopo un lungo viaggio pericoloso durato sei mesi, dopo le tante richieste e gli altrettanto numerosi rifiuti da parte del governo, dopo essere passata per diversi centri di accoglienza e aver vissuto nell'assoluta incertezza e precarietà, dopo essersi spostata mille volte da un luogo all'altro, ora finalmente, dopo cinque anni di attesa, ha ottenuto il diritto di cittadinanza e può pensare ai giorni che verranno con la giusta tranquillità. E piangere, finalmente. 

Ci sono tre cose preliminari da dire: la prima è che Van de Vendel sa scrivere con una sua grazia inconfondibile (candidato all'H.C. Andersen 2024), che Anoush Elman ha una storia davvero importante da raccontare, che Annet Schaap non poteva fare meglio di come ha fatto nel dare aspetto agli 8 personaggi della storia (una famiglia di 6 persone, 1 coniglio nano e 1 vecchietta sospettosa). 


Forse ce n'è anche una quarta che va detta: questa storia cresce lenta, un po' come una pagnotta in forno: ha sempre del miracoloso guardare dal vetro e vedere che si dora e che il lievito sta facendo il suo lavoro. 
Anche in questa storia c'è una spinta interna che non si vede a occhio nudo, un lievito invisibile almeno fino 40 pagine dalla fine, che agisce in sordina e ti consegna qualcosa d'altro da ciò che era in partenza. Cos'era in partenza? Una storia vera e scomoda che sta lì per muovere le coscienze. 
La storia di una famiglia afghana scappata dalla propria terra e approdata in Olanda. Poi c'è la non risposta dell'Olanda, un silenzio che dura 5 anni, in cui la famiglia afghana subisce l'ingiustizia di essere un corpo estraneo in un paese straniero che non vuole prendersene cura. Poi c'è la soluzione: ossia un diritto di cittadinanza e finalmente la sensazione di trovarsi in sicurezza per queste persone. 
Tutto questo è il punto di partenza, che ha il merito di essere una storia vera: quella di Anoush Elman e della sua famiglia. 
Il lievito di questa storia sta proprio in questo suo essere vera e capace di diventare tangibile. 


Dimostra di avere una potenzialità - qui parliamo di strumenti letterari - che le dà modo di raggiungere una sua tridimensionalità, un suo spessore umano diverso dalla piattezza di quello che si sente raccontare in modo sempre più generico e che, appunto, livella tutte le singole storie di migranti in una unica grande narrazione che li contiene tutti ma che non è di nessuno in particolare. Insomma un racconto onnicomprensivo che nessuno ascolta più veramente. 
Il lievito che fa crescere questa storia e la fa diventare pane, non so quanto di vero e quanto di inventato ci sia, sta proprio i quei corpi veri (Annet Schaap, ritrattista d'eccezione) che si muovono attraverso spazio e tempo, nelle teste ragionanti e nelle anime di queste otto persone (ci metto anche il coniglio) e, in particolare, nei loro rapporti interpersonali.


Per capirci: sembra che partano come personaggi, mentre invece, cammin facendo, diventano persone a cui inevitabilmente ci si affeziona perché, a furia di sentirli e guardarli, sono oramai gente di famiglia anche per chi li ha 'solo' letti. 
Conquista quel loro modo naturale di fare squadra, di volersi bene - sarebbe stato ben complicato attraversare ciò che hanno attraversato, senza potervi ricorrere. Piace quella loro attitudine a dire sempre come stanno le cose, anche se difficili da raccontare. Piace il loro modo di saper vedere sempre il lato migliore delle circostanze. Si invidia quella loro attitudine a essere gentili - e non è vero che solo Hamayun lo sappia fare...  Quel loro innato rispetto reciproco... Si apprezza quel  naturale modo che hanno di lasciare spazio alle emozioni - proprie e degli altri - quando arrivano a galla. 


E anche, non ultimo, è tanto bello il loro modo di voler bene a un coniglio. 

Carla

Nessun commento:

Posta un commento