Novella degli scacchi, Stefan Zweig, David Álvarez (trad. Valentina Vignoli)
#Logosedizioni 2025
NARRATIVA ILLUSTRATA PER GRANDI (dai 12 anni)
"Già McConnor sfiorava il pedone per portarlo sull'ultima casa quando all'improvviso si sentì afferrare per un braccio e qualcuno gli sussurrò, sottovoce ma risoluto:
'Per l'amor di Dio! No!'
Ci girammo tutti di scatto. Un signore sui quarantacinque anni, il cui viso sottile e affilato mi aveva colpito sul ponte di passeggiata per lo straordinario pallore quasi marmoreo, doveva essersi avvicinato negli ultimi minuti, mentre eravamo assorti nel nostro problema."
Un piroscafo diretto a Buenos Aires.
Una scacchiera nella smoking room.
Una voce che racconta e che appartiene a uno di quegli scacchisti che del gioco amano il gioco e non altro. Giocare a scacchi per giocare... Lui è un emigrante austriaco, diretto a Buenos Aires.
Spetta a lui raccontare che tra i passeggeri c'è Mirko Czentovič, il campione mondiale di scacchi.
Un uomo taciturno, scostante, corpulento. Semianalfabeta, fin da bambino ha dimostrato di avere un talento innato per il gioco degli scacchi. Figlio di un battelliere, presto orfano, viene accolto dal parroco del paese, ma fin da subito dimostra di essere assolutamente restio a qualsiasi tipo di apprendimento, la sua è un'ignoranza abissale, ma per gli scacchi invece ha fin da subito una capacità del tutto eccezionale di apprendere. E così apprende e gioca e vince. Comincia il suo percorso di riscatto nei confronti della società che lo aveva sempre tenuto ai margini. Ora sta andando a Buenos Aires per vincere l'ennesimo torneo internazionale.
Sullo stesso piroscafo sta navigando anche un ricco signore, un petroliere di origini scozzesi, emigrato in America dove ha fatto fortuna, Mr. McConnor. Un uomo massiccio e molto colorito in volto, dai modi spicci, impulsivo e con una innata incapacità ad accettare la sconfitta, di qualsiasi genere. Anche lui amante degli scacchi, ma decisamente senza talento. Ed è con lui che il narratore ha iniziato a giocare per poi attirare a sé l'attenzione del campione e sfidarlo: due o più scacchisti amatoriali contro il silenzioso campione.
Ma su quel piroscafo c'è anche un terzo uomo, l'esatto opposto di Mr. McConnor e di Mirko Czentovič: il dottor B. Un uomo schivo, dal profilo affilato, coltissimo, con un approccio agli scacchi decisamente meno spavaldo di quello dell'americano, ma decisamente molto, ma molto più bravo nel gioco...
Questa è la storia, presente e passata, di questi tre uomini intorno a quell'unica scacchiera...
Partiamo dal contenitore: la collana La capsula del tempo è un involucro, come dice il nome stesso, atto a contenere oggetti che si vorrebbe attraversassero il tempo.
A giudicare dagli altri titoli presenti, direi che siamo di fronte a una scelta editoriale impegnativa:
pubblicare racconti lunghi per lettori già avanti, direi lettori forti, anche classici della letteratura, corredandoli di illustrazioni altrettanto impegnative.
Il gusto di una letteratura e di un'arte di grande qualità, per incuriosire i palati di giovani lettori. Sfidante.
Nella collana ci sono due racconti di Jack London, La forza dei forti e La peste scarlatta, che hanno meritato il meglio per quel che riguarda la traduzione e l'illustrazione: Davide Sapienza e Roger Olmos. In arrivo un racconto di Rafael Pinedo: Plop che parrebbe condividere lo scenario postapocalittico del quarto titolo in catalogo: Kosmos di Matteo Meschiari. Entrambi illustrati da Roger Olmos.
Tutte storie, alcune arrivano dal passato, che parlano all'oggi perché vivano anche nel domani.
Adesso, la più recente in ordine di arrivo, una novella di Stefan Zweig, per l'esattezza la sua ultima novella, scritta tra 1941 e il 1942 a Buenos Aires, tappa finale del suo percorso di fuga dal nazismo. Conclusa poco prima del suo suicidio e quindi immediatamente intesa come suo testamento letterario.
Difficile non pensarlo, leggendola.
Difficile non convenire sul fatto che nella capsula del tempo un racconto del genere sia necessario.
Le ragioni che me lo fanno dire.
La prima, ovvia: è un racconto bellissimo e perfetto.
La seconda: ha una lunghezza bellissima e perfetta.
La terza: tocca questioni universali.
Attraversa ed esplora, per tutta la prima parte, il complicato meccanismo di pensiero che si nasconde dietro ogni sfida.
Gli scacchi sono un pretesto per indagare come funzioni la mente umana nel momento in cui essa decida di affrontare un avversario.
E non è un caso che Zweig fosse un grande amico di Freud...
Bella questione da mettere in mano a dei ragazzi.
Bella questione da infilare nella capsula del tempo.
Ma c'è di più. Se da un lato l'argomento sono i meccanismi di rivalsa tra i personaggi, dall'altro è anche un avvincente racconto sul susseguirsi di strategie nel gioco. E per questa ragione restiamo attaccati alla pagina con lo stesso interesse e la stessa tensione che proveremmo assistendo dal vivo a una gara appassionante.
Nella seconda parte, con l'entrata in scena del Dottor B., la questione che Zweig mette sulla pagina continua a riguardare la mente. E il suo doppio. Il suo Bianco e il suo Nero. Vediamo, leggendo, quali possano essere gli esiti che l'isolamento di un uomo produce. Riusciamo a toccare con mano la porta verso la follia.
Il racconto è quello di una delle tante e perverse pratiche di annientamento della persona umana, messe in atto dalla Gestapo nei confronti dei 'prigionieri', quelli considerati di serie A.
Accanto all'isolamento in una delle famigerate camere del Metropole Hotel, dove il Dottor B. racconta di aver trascorso mesi e mesi, Zweig offre al lettore anche un preciso resoconto di un agghiacciante fatto storico.
Di stringente attualità e quindi monito da non lasciare inascoltato.
Bella questione da mettere in mano a dei ragazzi.
Bella questione da infilare nella capsula del tempo.
La quarta: il punto di vista. Lo sguardo di Zweig istintivamente rivolto verso i perdenti. Per loro la felicità si rivela sempre come qualcosa di irraggiungibile.
Lui stesso ha dichiarato: "Nelle mie novelle è sempre la persona soggetta al destino ad attrarmi..."
La quinta: il racconto visuale della drammaticità di questo piccolo gioiello letterario.
Una voluta indefinitezza della grafite che rende struggenti nella loro solitudine e malinconia tutti personaggi di Zweig: queste sono le figure di David Álvarez.
Solo una prua enorme di piroscafo, che apre la novella e che punta dritto verso lo sguardo del lettore.
Poi, solo persone: di fronte, di schiena, di profilo, isolati o a piccoli gruppi, mai vittoriosi, con le spalle basse, gli sguardi solo di rado visibili, ma ciò nonostante fortemente espressivi nelle loro posture.
Spesso ritratti in modo che possano essere considerati simboli della loro condizione.
Gioca con questo su piccoli dettagli, sulle dimensioni dei pochi oggetti e sulla espressività del corpo, sul taglio della prospettiva, sulle dimensioni di singoli disegni. Un lavoro di interpretazione del testo davvero maturo.
Risultato eccellente e quindi necessario infilarlo nella capsula per salvarlo.
Carla
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